Nagorno Karabakh: ecco cosa ha lasciato la guerra tra Armenia e Azerbaijan (Osservatoriodiritti 15.02.21)
La neve scesa durante la notte imbianca al mattino la collina di Yerablur, a Yerevan. Un luogo dove gli orrori del conflitto e le conseguenze della guerra del Nagorno Karabakh sono visibili in tutta la loro drammaticità e spietatezza. È su questa collina, infatti, che si trova il cimitero militare e vengono celebrati ogni giorno i funerali dei ragazzi caduti durante i combattimenti.
Guerra Naborno Karabakh: nel 2020 almeno 6 mila morti
Secondo le stime governative, i soldati armeni morti durante i giorni di scontri sono oltre 3.000, quelli azeri 2.800, ma in molti tra giornalisti e osservatori internazionali credono che le stime siano state arrotondate per difetto e che dal lato armeno siano almeno 5.000 le vittime militari.
Il conflitto del Nagorno karabakh è stato un Vietnam caucasico per l’Armenia e a simboleggiarlo oggi ci sono migliaia di tombe di giovani ragazzi che hanno perso la vita sulla linea del fronte. Le foto sulle lapidi sono quelle di uomini nati solo 18, 19, 20 anni fa e non c’è più la propaganda che incendiava la capitale nei giorni di guerra e nemmeno i proclami irredentisti che invitavano alla lotta ad oltranza in montagna. Ci sono invece madri e padri senza risposte e consolazione che abbracciano le lapidi, accarezzano i nomi dei propri figli incisi sul marmo, accendono incensi e depongono fiori.
Storia della guerra caucasica più violenta degli ultimi 20 anni: Azerbaijan contro Armenia
Il primo conflitto nell’epoca del nuovo coronavirus e il più violento scontro caucasico degli ultimi 20 anni ha avuto inizio il 27 settembre in seguito a un’aggressione da parte dell’Azerbaijan ai danni del Karabakh armeno.
Dopo 44 giorni, la guerra è terminata con la vittoria azera, il successo diplomatico russo e la sconfitta armena.
Nagorno Karabakh oggi: vinti e vincitori della guerra
In base agli accordi firmati, gli armeni si sono dovuti ritirare dai sette distretti contesi del Karabakh e anche la storica città di Shushi è rimasta sotto controllo azero.
Duemila soldati russi sono stati schierati nel corridoio di Lachin, la strada che collega l’Armenia con il Karabakh, con un incarico di cinque anni prorogabile di altri cinque e l’Azerbaijan ha ottenuto che venga costruita anche una strada di collegamento, attraverso il territorio armeno, con l’enclave del Nakhchivan e con la Turchia.
Il racconto di Karen e Lilith: «La guerra è un orrore assurdo e ingiusto»
«Mio figlio aveva diciott’anni, l’hanno chiamato sul fronte che ancora non aveva terminato il servizio militare ed è morto al quarantesimo giorno di combattimenti. Per chiamarlo a combattere non hanno avuto esitazioni, ma le autorità militari non hanno avuto il coraggio di dire a noi, che siamo i suoi genitori, che lui era morto».
Sono parole di dolore assoluto, inconsolabile, quelle di Karen e Lilith, padre e madre di Aren, ed è il papà a spiegare: «I politici chiamano eroe mio figlio, ma io non accetto questa retorica, non voglio che venga chiamato eroe, avrei preferito che fosse qui con noi ora e continuasse a studiare e vivere, piuttosto che essere un eroe».
E poi, soppesando ogni singola sillaba, Karen conclude così: «Io mando le mie più sincere condoglianze a tutti i genitori azeri che hanno perso i propri figli in guerra. Non posso dire che gli armeni siano buoni e gli azeri cattivi… soltanto che la guerra è un orrore assurdo e ingiusto».
Essere genitori dopo il conflitto in Nagorno Karabakh
Oggi sono i genitori coloro che devono sopportare il peso più grande del conflitto, in alcuni casi per tutti i giorni della loro vita dovranno affrontare l’incolmabile vuoto dettato dalla perdita di un figlio. E nessuna medaglia, nessuna celebrazione postuma, potranno mai risarcire e compensare il dolore subito.
In altri casi, ancora devono fronteggiare la responsabilità di dare ai propri figli la speranza di un futuro che il conflitto invece sembra avere loro negato. E poi ci sono mamme e papà che dei propri figli non sanno più nulla: dispersi sulla linea del fronte durante i combattimenti.
A Stepanakert ci sono due anziani genitori, Angela e Nikolay Asryan che ogni mattina si recano al palazzo presidenziale per sapere se ci sono notizie di loro figlio Sasun di 31 anni, di cui nessuno sa più nulla da metà ottobre.
La madre ricorda le madri di Plaza de Mayo, dei desaparecidos argentini, e procede a passo lento e mostra a tutti la foto del suo ragazzo. «Non sappiamo nulla» e «se sapremo qualcosa vi varemo sapere», sono le risposte che da più di due mesi ricevono i genitori, unicamente queste.
«Mio figlio viveva a Shushi e amava andare a caccia, a pesca, a nuotare nel fiume, tante persone lo conoscevano», racconta Angela. Che aggiunge:
«Sasun non era sposato ma aveva una fidanzata che ogni giorno mi chiama e mi chiede se ci sono sue notizie. E io continuo a dirle che non so nulla e allora parliamo di lui e io le dico che mi sarebbe piaciuto che avessero avuto dei bambini».
I genitori non hanno più speranze che loro figlio sia vivo, ma vorrebbero almeno che venisse ritrovato il corpo per avere così una tomba su cui piangere e poter portare un fiore.
Una terra controllata da Russia e Azerbaijan
Oggi a Stepanakert i combattimenti sono cessati, decine di miglaia di persone sono tornate alle proprie abitazioni, i mercati hanno riaperto e frutta e carne sono esposti sui banchi. Ma la pace, quella ancora latita dal Nagorno Karabakh.
La regione contesa è infatti oggi militarizzata e presidiata dalle truppe arrivate dalla Russia e il Cremlino ha fatto della regione contesa una propria satrapia caucasica. Sono i peacekeepers russi, in sinergia con i soldati azeri che presidiano tutti gli ingressi ai territori conquistati, a decidere chi entra e chi esce e ovunque si vedono svnetolare le bandiere russe, mentre le mezzalune di Baku e di Ankara garriscono prepotenti dai bastioni della storica città di Shushi
Nagorno Karabah oggi: le conseguenze della guerra
La pace manca in tutti coloro che convivono e dovranno convivere per sempre con l’eredità del conflitto. Nell’ospedale militare gestito dall’ong Support for wounded soldiers (Sostegno ai soldati feriti) si incontrano i giovani soldati che sono rimasti feriti e mutilati durante i combattimenti. Oltre 200 ragazzi sono ospitati nella clinica, alcuni hanno perso entrambi gli arti, altri non riescono più a camminare a causa dei danni che hanno riportato, altri ancora hanno lesioni al sistema nervoso e devono reimparare i più elementari gesti, come impugnare una posata o alzarsi e sedersi su una sedia.
«La maggior parte dei ragazzi che sono qui ricoverati ha tra i 18 e i 20 anni. Hanno iniziato da poco la loro vita adulta e sono in queste condizioni. Noi diamo loro anche supporto psichiatrico perché molti hanno gravi problemi psichici a causa di ciò che hanno visto e vissuto».
A spiegare la situazione è la dottoressa Lucine Poghosyan. Che aggiunge: «Un ragazzo è stato portato qua che non aveva più le braccia, neppure le gambe e gli mancava anche una parte del ventre. Lui era cosciente e noi non sapevamo come aiutarlo. È stato terribile. La guerra è terribile».