Nagorno Karabakh: artisti di frontiera (Osservatorio Balcani & Caucaso 03.04.19)
“Per noi, creare significa sopravvivere. A volte evitiamo addirittura di comprare determinate cose, così abbiamo soldi per la nostra arte”, afferma Satenik Hayiryan. Satenik è una stilista e vive con il marito Serob Mamunts, un ceramista. Questa coppia di appena 28 anni si è preposta un obbiettivo ambizioso: aiutare la rinascita della vita artistica nello stato non riconosciuto del Nagorno Karabakh. Tuttavia, per molti abitanti in questo territorio montuoso, che è tecnicamente ancora in guerra con il vicino Azerbaijan, le priorità restano la sicurezza e la difesa nazionale.
Serob e Satenik si sono incontrati all’università e si sono sposati durante l’ultimo anno dei loro studi, a 23 anni. La coppia si è trasferita per lavoro diverse volte nei primi 6 anni di matrimonio; Serob proviene da Martakert, nell’estremo nord del Karabakh, solamente 4-5 chilometri dalla linea del fronte.
Entrambe le loro vite sono state toccate dal conflitto. Serob ha perso il padre durante la feroce guerra che è infuriata in quest’area negli anni ’90, guerra a cui attribuisce la responsabilità di aver cambiato profondamente la sua prospettiva sulla vita e sulla sua passione più grande: l’arte. La moglie di Serob, Satenik, proviene dal villaggio di Sghnakh nel sud del Karabakh. Dopo il matrimonio si è trasferita nella città natale di Serob per due anni, dove ha trovato lavoro insegnando arte in una scuola locale. Nell’aprile 2016 il conflitto è scoppiato nuovamente e quest’area di frontiera ha subito pesanti bombardamenti. Satenik, allora incinta del loro primo figlio, è stata evacuata da Martakert il 2 di aprile: “Quei fatti hanno cambiato la mia visione del mondo, nonostante non abbia ancora creato qualcosa a tema militare”, sottolinea Satenik. “La guerra è un argomento molto sensibile e ognuno gli si deve rapportare con cautela”. Dopo quest’esperienza, Satenik ha giurato di rimanere nel Karabakh, che ritiene essere la propria casa.
Dopo un breve periodo a Stepanakert, la capitale, la coppia si è recentemente trasferita nella città storica di Shushi, dove si trova a ricominciare tutto da zero. “Dal 2012 stiamo lavorando al Centro di Riabilitazione Lady Cox (chiamato così in onore della baronessa Caroline Cox, membro della Camera dei Lord britannica e sostenitrice della causa armena durante gli anni della guerra degli anni ’90, ndr). Tengo un corso terapico di arte ceramica sia per bambini che per adulti con disabilità fisiche e psichiche. Satenik insegna a creare bambole”, spiega Mamunts, che ha dovuto cercare un secondo lavoro a seguito della nascita del secondo figlio.
Artisti come Serob e Satenik devono solitamente trovare altri lavori per arrivare a fine mese. Per lo stesso motivo, gli artisti del Karabakh devono spesso scegliere tra la loro passione o il loro paese: molti finiscono per trasferirsi nella capitale armena Yerevan, dove vedono opportunità migliori per accrescere le loro capacità, anche attraverso una comunità artistica più attiva.
Per quelli che rimangono nel Karabakh, l’industria del turismo è un’importante ancora di salvezza. Mentre solo pochi abitanti del posto hanno abbastanza soldi da spendere nell’arte, i turisti invece lo possono fare. Questo permette agli artigiani locali di guadagnare dei soldi extra durante i mesi estivi ed è un mercato cruciale per manufatti tradizionali, tappeti riccamente decorati e i Kilim per cui il Karabakh è famoso. Di conseguenza i diplomati dai pochi istituti artistici del territorio, come l’accademia di belle arti dell’Università di Artsakh nella capitale e l’Istituto di arte applicate Hagop Gyurjyan a Shushi, spesso finiscono con l’utilizzare le proprie abilità per produrre manufatti da vendere ai turisti piuttosto che lavorare su opere d’arte.
L’arte è però qualcosa in più che la mera vendita e creazione di manufatti artigianali. Alcuni artisti del Karabakh si lamentano del fatto che il mancato riconoscimento del territorio li isoli completamente dagli ultimi trend artistici internazionali. Con poche eccezioni, come il Festival internazionale di arte moderna del Karabakh, la maggior parte degli artisti provenienti dall’estero che presentano i propri lavori in Karabakh provengono dalla diaspora armena, che sostiene finanziariamente e politicamente il territorio. La ragione è semplice: coloro che mettono piede qui e rendono pubblica la loro presenza (obbligatorio per qualsiasi aspirante artista) rischiano di essere messi sulla lista nera azera, con la conseguente negazione dell’ingresso in Azerbaijan.
Sarine Hayiryan (non è parente di Satenik) è una ex giornalista culturale che ora lavora come organizzatrice di eventi al Roots Life Center, un’istituzione culturale a Stepanakert. Lei non crede che il mancato riconoscimento del Karabakh possa avere effetti negativi sulla vita artistica del paese e evidenzia che per il terzo anno di fila la sua istituzione ha aiutato a creare una mostra itinerante di opere artistiche dal Nagorno Karabakh in varie città francesi.
Aggiunge che alcuni artisti internazionali hanno comunque affrontato con coraggio la lista nera azera e hanno esibito o svolto delle performance nel Karabakh; crede perciò che un migliore lavoro diplomatico possa superare qualsiasi problema politico. Sarine ritiene inoltre che parte del problema sia causato da bassi livello di sostegno finanziario per l’arte da parte dello stato. “Penso che il ministero della Cultura non debba aiutare gli artisti solamente attraverso l’acquisto di materiale per il loro lavoro, ma anche creando un’atmosfera e un ambiente migliori per loro,” spiega. “In passato promuovevano almeno dei seminari per artisti, mentre ora non lo fanno più. I nostri giovani artisti non hanno contatti con i loro colleghi all’estero”, aggiunge, mentre sottolinea che il Karabakh ha comunque organizzato alcuni eventi internazionali, tra cui festival di scultura e di musica classica. “Ci sono molti artisti talentuosi nel Karabakh e molti professionisti internazionali ammirano il loro lavoro. Queste persone creano ciò che possono, ma sfortunatamente non dureranno tanto. Prima o poi si arrenderanno,” conclude Sarine.
Dal suo budget annuale del 2019 di 113 miliardi di dram armeni, il governo del Nagorno Karabakh ne ha stanziati solamente 2.1 miliardi al ministero della Cultura, del Turismo e della Gioventù. A sua volta il ministero punta a spenderne solamente 224 milioni per eventi culturali. Ciononostante Lernik Hovhannisyan, ministro della Cultura, è irremovibile sul fatto che lo stato stia facendo del suo meglio per supportare la vita artistica. “Forniamo diversi tipi di aiuto. A volte il ministero invita artisti per coinvolgerli in alcuni eventi e ci sono casi in cui gli artisti stessi chiedono al ministero di aiutarli nell’organizzazione di eventi o convegni,” inizia a spiegare il ministro. “Nel 2019 stiamo pianificando di organizzare più di 10 eventi culturali con un budget totale di 104.5 milioni di dram [$214.108]. Questo bilancio include anche viaggi interni e all’estero, concorsi, mostre e altri eventi per i nostri artisti. Inoltre utilizzeremo 120 milioni di dram [$245.886] per la preservazione e il restauro di monumenti storici,” aggiunge Hovhannisyan.
In questo contesto, organizzazioni come quella di Sarine hanno iniziato a giocare un ruolo importante nel mantenere a galla la vita culturale del Karabakh. Non è una coincidenza che l’unico vernissage di Stepanakert, dove gli artisti locali vendono i loro prodotti, sia collocato esattamente di fianco al Roots Life Center, il quale organizza con frequenza mostre delle opere di artisti locali.
Non di minore importanza è il Centro Culturale Nazionale Armeno, con sede a Stepanakert. “Ci focalizziamo soprattutto nell’aiutare giovani artisti provenienti dalle aree rurali, specialmente dai villaggi di confine,” spiega la sua direttrice Hermine Avagyan. “Cerchiamo di trovare nuovi talenti e rendere la vita culturale più attiva, usando i nostri mezzi di comunicazione e finanziari per esporre opere di giovani artisti nel Karabakh, in Armenia e anche all’estero. Mostriamo il Karabakh al mondo attraverso il lavoro dei nostri artisti,” continua, aggiungendo che il centro sta per tenere una mostra nella capitale libanese, Beirut.
Ma qualunque siano gli sforzi, è difficile riuscire a vivere come artista in questo territorio. Ad oggi, il reddito annuale di Satenik e Serob è di solamente 190.000 dram (meno di 400$). Nel frattempo, il bilocale che la coppia ha affittato per sei mesi a Shushi, per cui pagano 40.000 dram (circa 82$), non ha nemmeno un angolo in cui svolgere il loro lavoro artistico. La loro arte è sparsa ovunque nella loro modesta casa. Vicino agli schizzi di Satenik sulle pareti della cucina sono appesi i primi tentativi artistici del figlio Hayk di 5 anni. Sotto questi gattona il loro figlio più giovane, Mihran, di 2 anni e mezzo.
Satenik afferma che lei è prima di tutto una stilista, solamente dopo una pittrice. “Tutto è iniziato con una piccola collezione di vestiti chiamata ‘Paraside Garden’. Li ho decorati con figure di uccellini comuni nei manoscritti armeni”, racconta Satenik. Durante gli anni è riuscita a costruire una cerchia di clienti che periodicamente le hanno ordinato diversi vestiti. Gli orizzonti di Satenik non finiscono ai confini non riconosciuti del Karabakh; tuttavia, nonostante la possibilità di Satenik di vendere i vestiti all’estero usando Internet, afferma che problemi finanziari e tecnici le hanno sino ad ora impedito di andare in quella direzione. “Mi piacerebbe molto avere un piccolo gruppo di persone che mi aiutino a realizzare un maggior numero di mie creazioni, visto che la richiesta sta aumentando,” spiega Satenik. “Poche persone capiscono il mio stile, e ovviamente non si può vivere solamente con i guadagni dal mio lavoro di stilista. Insegno anche alla scuola d’arte di Shushi e al collegio Arsen Khachatryan”, conclude.
Ad un primo sguardo questo collegio nella città di Shushi non è granché. E’ all’interno di una palazzina a tre piani, tutt’attorno solo mura, con erba e alberi che vi crescono all’interno. E’ avvenuto per molti edifici di Shushi, bruciati e bombardati durante gli anni della guerra (1991-1994). Serob insegna qui ceramica da ormai cinque anni. Ha iniziato a sperimentare con la ceramica nel 2012, mentre era ancora uno studente nell’Accademia di belle arti dell’Università statale di Artsakh. C’erano pochi professionisti nella ceramica a Artsakh allora e la situazione non è cambiata molto nonostante gli sforzi di Serob. “Sfortunatamente poche persone sono interessate alla ceramica. Molti dei miei studenti preferirebbero guadagnarsi da vivere come operai piuttosto che come ceramisti,” sospira.
Le pareti della sua aula sono decorate con le creazioni delle classi degli anni passati. Le sue finestre offrono una bellissima vista sulla cattedrale Ghazanchetsots del XIX secolo, uno dei pochi edifici di Shushi che è riemerso dalla guerra illeso. Serob non crea niente qui da solo. “Non ho un laboratorio separato. Lavoro soprattutto all’Istituto d’arte Naregatsi a Shushi. Lì ho insegnato l’arte della ceramica ai bambini per due anni,” spiega. “La scorsa estate il direttore dell’Istituto d’arte di Shushi Hayk Papyan ed io abbiamo promosso un primo ciclo di conferenze sull’arte della ceramica, a cui hanno partecipato 10 artisti dal Karabakh e diverse città dell’Armenia,” afferma Serob. “Questo è il nostro modo di sviluppare l’arte della ceramica nel Nogorno Karabakh e di rendere il Karabakh conosciuto nel mondo. Quest’anno le conferenze saranno internazionali”.
Anche l’arte di Satenik sta avendo successo, e con essa lei spera anche una piccola parte del Karabakh. Alla fine di questo mese, una delle gallerie più grandi di Beirut ospiterà la mostra “Artsakh In My Hand”, organizzata dal Centro Nazionale Culturale Armeno. L’evento mostra il lavoro di 14 artiste donne dal Karabakh, inclusa la collezione di Satenik. “La nuova collezione include elementi ornamentali armeni e delle pitture miniaturizzate. Questa volta farò del mio meglio per adeguarlo al gusto degli armeni della diaspora,” spiega Satenik. “Ho già un’idea generale; ora sto lavorando ai dettagli e alla scelta dei tessuti. E’ una buona opportunità per presentare la mia arte al di fuori del Karabakh e al di fuori dell’Armenia,” aggiunge.
Lo spettro della Guerra dei Quattro giorni, nome con il quale sono conosciuti gli scontri armati del 2016, aleggia ancora sul Karabakh. È stata una delle poche volte in cui Serob ha lasciato il suo lavoro incompleto e in cui non ha toccato l’argilla per diversi giorni. Ma anche in quei giorni, Serob non identificava l’inutilità dell’arte. “Ci sono delle difficoltà e dei limiti in tutto, dall’opportunità di fare mostre alla disponibilità dei materiali. Ciò però non significa che un artista deve smettere di creare,” conclude Serob.