«Monsieur Aznavour», il cantautore della vita (Il Manifesto 14.12.24)

Diretto da Mehdi Idir e Grand Corps Malade, Monsieur Aznavour ripercorre la costruzione di un monumento: la storia di un uomo dalla volontà di ferro, nato Aznavourian cento anni fa. Dal ragazzino figlio di profughi armeni agli esordi nella canzone in coppia con Pierre Roche, poi l’incontro con Edith Piaf fino ai primi successi e al decollo di un’incredibile carriera musicale che lo vedrà metter in fila più di 1.300 canzoni, molte delle quali destinate alla gloria. Ne esce fuori un sorprendente omaggio a una figura unica, il cui percorso artistico ed esistenziale merita ammirazione e rispetto perché disseminato di mille difficoltà, che non gli impediscono tuttavia di realizzare i suoi sogni più folli, nonostante l’accanimento feroce dei suoi detrattori, che fin dall’inizio della sua carriera non hanno mai smesso di mettere in croce «le petit Charles», questo figlio di profughi basso e brutto, senza grazia, con la voce nasale, velata e come arrugginita.

Lui però ha capito che solo il lavoro poteva essere la chiave per arrivare laddove sognava di arrivare. Per cui non ha mai smesso di faticare: «17 ore al giorno» fino alla fine. La sua giovinezza se ne va via così in un soffio. Colui che diventerà il più internazionale dei «cantautori» francesi non ha avuto il tempo di frequentare nessuna scuola, se non quella della strada, e qualche veloce corso di teatro.

Ogni capitolo prende il nome da una canzone: quasi a dimostrare quanto la vita dell’artista (le sue lotte, i suoi amori, i suoi incontri) abbia nutrito il suo lavoro: da Les deux guitares, scritta per ricordare la sua infanzia, a La Bohème, un brano degli anni ’60 che parla invece della sua giovinezza, e così via. Ma il successo straordinario del film è dovuto soprattutto all’imponente lavoro di identificazione fisica dell’attore franco-algerino Tahar Rahim con il suo modello canoro. Una scelta apparentemente inopportuna, visto che l’interprete del Profeta di Audiard somiglia poco e niente ad Aznavour. Invece guardando il film il risultato man mano viene fuori ed è impressionante. Rahim rende la messa in scena del suo personaggio non solo credibile, ma sempre più realistica attraverso i suoi gesti, gli sguardi, le intonazioni, fino a essere perfettamente Aznavour anche quando canta. È lui infatti a interpretare tutte le canzoni del film, tranne alcuni passaggi su note talmente acute da rendere il suo timbro troppo diverso da quello del cantante armeno. Come è noto, il «botto» nella carriera del nostro chansonnier avviene quando, per uscire dal tunnel dell’anonimato decide di «ridimensionare» il suo imponente naso.

ALLO STESSO modo Tahar Rahim, aiutato da alcuni accenni di protesi, riesce a fondersi con il personaggio e a trasmettere i suoi gesti e la sua energia in particolare nelle interpretazioni di brani come Je m’voyais déjà o Comme ils disent sulla vita notturna di un travestito. Degli altri attori, da ricordare Bastien Bouillon nella parte di Roche, il pianista compositore in coppia con Charles nel periodo a cavallo tra gli anni ’40 e ’50; e soprattutto Marie-Julie Baup nel ruolo di una sontuosa Édith Piaf.
Un biopic un po’ saggio e a volte accademico nella sua struttura narrativa, ma gli va riconosciuto che si tratta di un grande film di attori. Una messa in scena che si muove tra il classico e la nouvelle vague, anche se a volte rischia movimenti di macchina ambiziosi di grande effetto. Quello che gli manca è forse un po’ di profondità, di cattiveria critica, come per esempio la tragedia e la morbosità che Olivier Dahan vedeva in La Môme, il film su Piaf. Così nonostante le canzoni e le emozioni, Monsieur Aznavour non riesce a farci arrivare il lirismo, a volte doloroso, di quel modo di fare musica tipico di Monsieur Aznavour.