Mons. Minassian: il Papa ha toccato il cuore di tutti gli armeni (Radio Vaticana 04.07.16)
E’ trascorsa una settimana dal rientro del Papa dal viaggio in Armenia, tre giorni in cui Francesco ha lanciato molti messaggi: ha chiesto di custodire la memoria, fonte di pace e di futuro, ma ha soprattutto reso omaggio al primo popolo cristiano. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale:
R. – Il messaggio del Santo Padre è arrivato, è arrivato immediatamente nel cuore di tutto il popolo armeno, anche nella diaspora: parliamo di un messaggio che ha penetrato il cuore di 13 milioni di armeni nel mondo. Lui è venuto per il primo popolo cristiano, che durante tutti questi secoli è riuscito a resistere a tutte le tentazioni della vita di un popolo. Il genocidio è stato già proclamato il 12 aprile del 2015 e quindi non era questo né lo scopo, né la meta della visita del Papa. E’ piuttosto questo legame spirituale di un pastore verso il gregge di Gesù.
D. – La memoria del passato per disinnescare le vendette, gli scontri, per portare perdono e riconciliazione. Mons. Minassian, è stato potente questo messaggio del Papa…
R. – Ha perfettamente ragione, perché in questo messaggio c’era il lavoro per la pace, il lavoro dell’unità nella testimonianza evangelica. E questo viene proprio dal cuore del pastore che sa dove va e per quale scopo va. Questo messaggio è arrivato pure negli animi di tutti quelli che lo hanno incontrato, lo hanno sentito o lo hanno visto anche solo sullo schermo televisivo. Io non mi aspettavo di vedere questa gente, questo popolo così ardente nella sua fede, che è riuscito ad esprimerla completamente nella pura semplicità, nella sua povertà, con i sacrifici, però era presente. La presenza alla Messa del Santo Padre, del 25 giugno, si è basata su un sacrificio, perché voi non conoscete il popolo e come vive, vivono tutti nei villaggi, ma sono venuti, hanno lasciato le loro famiglie, le loro mucche, le loro pecore, il lavoro quotidiano, per venire a vedere e sentire e toccare il Papa. Questo è un segno molto popolare della fede popolare.
D. – Lei ha ringraziato più volte il Papa nei suoi interventi…
R. – E’ vero. Io ho usato il ringraziamento in tutte le mie parole, ma in ogni mio ringraziamento c’era un desiderio, un modo di esprimere e di chiedere di continuare questo legame. E’ stato fatto un primo passo, adesso tocca a noi. Il messaggio era per noi, per noi clero. E qui non faccio differenza fra armeno cattolico e apostolico, tutto il clero è chiamato al servizio delle anime. Questo passo del Santo Padre in Armenia è un richiamo al servizio profondamente attivo. Un primo passo che ha cambiato l’amicizia, la fratellanza tra il clero cattolico e apostolico. Questo lo abbiamo avuto: abbiamo cancellato tutto il passato con questa collaborazione assieme al servizio del Santo Padre, il Santo Padre è al servizio di tutto il popolo.
D. – In settembre la visita in Azerbaigian del Papa: ci si possono aspettare frutti?
R. – Primo: il Papa è libero di andare dove vuole. Secondo: anche il parlare con il nemico è un passo positivo per una pace internazionale. Io credo sempre all’ottimismo, perché in ogni contatto c’è un punto positivo.
D. – Difficile spostare questo ottimismo sul fronte della Turchia, dopo le critiche forti lanciate al Papa…
R. – La gente è libera di criticare e di esprimersi nel modo che vuole. Come padre spirituale di tutta la Chiesa cattolica nel mondo, il Papa ha il dovere di dire la verità e di andare avanti. La missione è quella di dire la verità. Noi dobbiamo difendere la gente che ha bisogno della nostra assistenza e poi gli altri sono liberi di esprimersi nel modo che vogliono. Non è una nostra preoccupazione cosa diranno di noi: la nostra preoccupazione è cosa dirà di noi il nostro Salvatore Gesù, se abbiamo compiuto il nostro dovere o no. Le altre cose sono secondarie…