Mons. Marayati: “Noi armeni di Siria riviviamo il dramma del Genocidio” (Zenith.org 12.05.16)
In queste ore la città siriana di Aleppo è tornata ad essere teatro di una furiosa battaglia. La labile tregua, che aveva offerto un po’ di ossigeno alla martoriata popolazione, anche se ufficialmente non è stata interrotta, nei fatti è ormai già un ricordo. L’ennesimo attacco missilistico dei ribelli jihadisti nei quartieri controllati dall’esercito regolare ha colpito un ospedale provocando diverse vittime tra i civili.
E gli scenari futuri non appaiono confortanti. Secondo l’agenzia di stampa russa Interfax, i jihadisti del Fronte al-Nusra stanno ammassando munizioni cariche di cloro nelle loro postazioni alle porte di Aleppo. La disperazione della popolazione trapela dalle parole di mons. Boutros Marayati, arcivescovo degli armeni cattolici della città siriana. Ospite del Settore Est della Diocesi di Roma, il presule ha incontrato quest’oggi il clero in presenza del vescovo ausiliare, mons. Giuseppe Marciante. Al termine dell’incontro, ha rilasciato a ZENIT l’intervista che segue.
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Eccellenza, qual è attualmente la situazione ad Aleppo?
È molto drammatica. Il cessate il fuoco è ormai terminato e da circa una settimana sono ricominciati i bombardamenti. Nella città arriva una pioggia di missili, che colpisce i quartieri cristiani. Malgrado noi come Chiese stiamo facendo di tutto per aiutare la gente a rimanere, sta avvenendo un nuovo esodo da Aleppo. Del resto manca tutto: l’acqua, l’elettricità, le medicine. Diminuisce il cibo e il suo prezzo diventa molto alto. La nostra speranza è che ci siano i margini affinché le parti in conflitto si mettano d’accordo per un nuovo periodo di tregua. Il popolo di Aleppo sogna la fine di queste atrocità, è davvero stanco di subire.
Chi lancia questi missili?
Aleppo è divisa in due parti. Una delle due è sotto il controllo dei ribelli jihadisti. Sono questi ultimi a lanciare missili, bombe e colpi di mortaio nell’altra parte della città, che è controllata dall’esercito regolare ed è il luogo in cui vivono le comunità cristiane e i musulmani moderati. Il punto è che i ribelli hanno in mano la centrale elettrica e l’acquedotto, dunque controllano gli approvvigionamenti e non consentono di farli arrivare a noi. Chi paga il prezzo più alto di questa contrapposizione tra i due blocchi siamo noi civili, soprattutto i bambini. In questa ultima settimana i più piccoli hanno vissuto l’inferno.
Quello in Siria è un conflitto che coinvolge anche interessi stranieri…
Purtroppo è così. Non si combatte mai per niente. Esistono interessi e disegni internazionali. La soluzione di questo conflitto è nelle mani delle grandi potenze, degli Stati Uniti e della Russia. Entrambe queste potenze vogliono mantenere la propria influenza sulla Siria. Penso alla presenza delle basi militari, al controllo dei pozzi petroliferi e delle centrali di gas, allo sbocco sul Mar Mediterraneo… Con tutti questi elementi si intreccia poi l’aspetto religioso, che viene strumentalizzato. È una guerra che riguarda la geopolitica internazionale, ma che si consuma sulla pelle dei siriani. Ripeto: le chiavi per accedere alla pace le possiedono a Washington e a Mosca. Dobbiamo soltanto sperare che si arrivi a un’intesa tra loro per aprire un futuro di speranza per la Siria.
Finché non si troverà una soluzione in Siria, proseguirà anche la crisi dei profughi in Europa…
Se l’Europa ha davvero interesse a risolvere il dramma dei profughi, deve impiegare tutte le sue energie per far cessare la guerra in Siria. A cosa serve parlare di barriere da abbattere ai confini, quando non c’è l’impegno ad aiutare queste persone a non fuggire dalla propria terra? Ricordo sempre che prima che iniziasse questa guerra, noi siriani non eravamo mai stati dei profughi. Al contrario, era la Siria ad aver sempre ricevuto persone che fuggivano dalle guerre: dal Libano, dalla Giordania, dall’Iraq… E ora è arrivato il nostro turno. Una cosa che sembrava davvero impensabile, perché la Siria è storicamente un Paese di convivenza, di pace, di cultura.
Cosa stanno facendo le Chiese cristiane per arginare l’esodo di cristiani da quelle terre?
Le Chiese cristiane, insieme alle varie onlus impegnate in Siria, stanno dando un grande contributo, mandando aiuti. Tuttavia la gente è stanca di soffrire e di dover ricevere per questo assistenza. I siriani non vogliono più piangere i loro morti, non vogliono più veder scorrere fiumi di sangue. Ciò che chiediamo è che l’impegno che viene profuso per mandarci gli aiuti venga impiegato per far pressione alle potenze internazionali affinché cessino i bombardamenti.
Eccellenza, il destino dei cristiani mediorientali è lontano dalla loro terra?
La Siria ha bisogno dei cristiani. Pur essendo una minoranza, essi hanno da sempre rappresentato una ricchezza. Non si può pensare a un Medio Oriente senza cristiani, tuttavia è inevitabile che scappino se sono sotto il tiro dei mortai dei ribelli jihadisti. E scappando, continueranno a non trovare pace. Un profugo ha sempre delle difficoltà, perché si trova a vivere in un contesto diverso da quello che gli è proprio, è uno sradicato.
Questa realtà a voi armeni evoca lo spettro del Genocidio di un secolo fa…
Noi armeni stiamo vivendo un doppio trauma. Ancora non si è rimarginata la ferita del Genocidio del 1915, che oggi ci ritroviamo ad essere di nuovo dei profughi, a fuggire da chi ci vuole uccidere. Un secolo fa fu proprio la Siria ad accoglierci, a consentirci di integrarci nella cultura araba costruendo una nostra indipendenza. E oggi ci ritroviamo a dover abbandonare tutto ciò che abbiamo costruito e ad affrontare un nuovo esodo. Abbiamo nostalgia della Siria precedente allo scoppio della guerra. Lo scrittore armeno Antranik Zaruguian parlava di una “Aleppo dei sogni”. Oggi, purtroppo, quei sogni si sono trasformati in incubi.