MONDO Armenia: fra tensioni interne e nuovi venti di guerra (RSI 11.05.24)
La sconfitta dell’Armenia nel Blitzkrieg del 2023 con l’Azerbaigian ha innescato da un lato nuove tensioni interne nella piccola repubblica del Caucaso, dall’altro – insieme con il processo di pacificazione che va a rilento – ha lasciato aperta la porta a nuovi venti di guerra. Le tensioni tra le due repubbliche ex sovietiche del Caucaso, che dalla caduta dell’URSS si sono scontrate militarmente quattro volte, proseguono concretamente sulla lunga linea di confine, circa 1’000 km, e soprattutto nelle varie exclavi createsi nel corso degli anni su entrambi i lati. Lo scorso aprile i due paesi comunque si sono accordati – dopo la ripresa del controllo azerbaigiano sul Nagorno Karabakh, regione a maggioranza armena al centro del conflitto lo scorso anno – al ritorno dei confini stabiliti con gli accordi di Alma Ata del 1991.
La pace difficile
La road map verso il rispetto delle intese è però densa di ostacoli, poiché da una parte in Armenia le forze nazionaliste e di opposizione sono restie nel sostenere il governo del premier Nikol Pashinyan, accusato di essere troppo accondiscendente verso la controparte azerbaigiana. Sull’altro versante il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev ha accentuato a sua volta la retorica patriottica e militarista, suscitando preoccupazione anche nella comunità internazionale per il pericolo di una nuova escalation che possa coinvolgere le potenze limitrofe: dalla Russia, storica alleata dell’Armenia, alla Turchia, partner strategico dell’Azerbaigian.
Le difficoltà interne dell’Armenia
Le recenti proteste a Erevan contro il governo e il premier Pashinyan sono solo le ultime di una lunga serie che ha scosso la fragile democrazia caucasica negli ultimi anni. L’Armenia è il più povero degli stati ex sovietici del Caucaso ed è sempre stata molto dipendente economicamente dalla Russia, sia nei rapporti commerciali che energetici. Inoltre Mosca, che ha una base militare a Gyumri, nel nord del paese, ha assunto negli scorsi decenni il ruolo di mediatore nelle diatribe con l’Azerbaigian, inviando vari contingenti di peacekeeping nell’ambito di missioni internazionali. Dal 2018, con l’elezione di Pashinyan, le relazioni con la Russia sono però peggiorate e allo stesso tempo, dopo le sconfitte nelle guerre del 2020 e del 2023, il Paese ha dovuto affrontare crescenti turbolenze. Il premier, nonostante l’indebolimento su entrambi i fronti, è riuscito a rimanere in sella, anche a causa del fatto che la disunita opposizione non ha mai rinserrato le fila e non ha proposto alternative credibili. Il conflitto più recente, con la perdita del Nagorno Karabkh e la questione dei confini, stanno però mettendo in pericolo la già precaria stabilità.
Il ruolo della Chiesa
Le grandi manifestazioni di piazza a Erevan, guidate dall’arcivescovo Bagrat Galstanian, capo della diocesi della chiesa ortodossa armena di Tavush, al confine con l’Azerbaigian, hanno acceso il confronto politico, che ora ha appunto un nuovo protagonista. La decisione tattica da parte del governo armeno di cedere all’Azerbaigian, unilateralmente, quattro villaggi di confine, sarebbe dovuta servire secondo Pashinyan a gettare acqua sul fuoco. Ma parte della popolazione armena ha visto nel primo ministro una sorta di traditore e si è riunita dietro Galstanian, che sta incarnando l’anima religiosa e nazionalista di una buona fetta di armeni. Il governo ha invece accusato l’arcivescovo di essere al soldo della Russia e voler provocare un’altra guerra. Pashinyan da parte sua mercoledì scorso era a Mosca, dove ha incontrato Vladimir Putin, che ha confermato il ritiro di alcuni contingenti russi dal paese, mentre truppe del Cremlino rimarranno comunque per sorvegliare il confine meridionale, quello con l’Azerbaigian e l’Iran.
Il disimpegno russo
I difficili rapporti tra Putin e Pashinyan, che sta tentando di allontanare il paese dall’orbita del Cremlino, e il fatto che Mosca è comunque impegnata sullo scacchiere ucraino, stanno conducendo a un progressivo e almeno temporaneo disimpegno russo nel Caucaso. Il problema per l’Armenia è che così il Paese rimane più esposto alle tensioni con l’Azerbaigian e con la Turchia, mentre gli attori occidentali, UE e Stati Uniti, rimangono di fatto alla finestra. Concretamente il doppio rischio è quello della crescente stabilità interna e di nuove fiammate di guerra, con l’asse tra Baku ed Ankara che preme per aprire un corridoio nel sud dell’Armenia, collegando direttamente i due paesi.