Minacce azere (Osservatorio Balcani e Caucaso 29.02.16)
Venerdì scorso si è tenuto a Roma un incontro organizzato da Amnesty Italia e FNSI per parlare delle violazioni dei diritti umani e delle libertà di espressione in Azerbaijan. L’incontro è stato ostacolato con lettere dell’ambasciata dell’Azerbaijan e tentativi di boicottaggio si sono ripetuti in sala. Richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.
“Azerbaijan e la repressione invisibile”, è il titolo dell’incontro organizzato da Amnesty Italia nella sede romana della Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) che si è tenuto venerdì 26 febbraio a Roma. Un incontro a cui hanno partecipato, Beppe Giulietti presidente FNSI, Riccardo Noury portavoce di Amnesty International Italia, Simone Zoppellaro, corrispondente di OBC, Elena Gerebizza, dell’associazione Re: Common, e Dinara Yunus, figlia di due noti dissidenti azeri Leyla e Arif Yunus, entrambi incarcerati e poi rimessi in libertà vigilata per motivi di salute.
Si è trattato di un’importante occasione per parlare in Italia di un regime repressivo come quello dell’Azerbaijan, della violazione dei diritti umani, delle gravi limitazioni alle libertà di espressione di stampa in atto nel paese caucasico. I lettori di OBC sanno che da anni cerchiamo di portare l’attenzione su questi temi, sia in Italia che a livello internazionale. Ben venga quindi che insieme ad Amnesty e FNSI si sia riusciti ad organizzare un incontro a Roma dove poter parlare pubblicamente e apertamente di questioni poco conosciute e poco presenti sui media italiani.
Perché scrivere di questo? Per il semplice fatto che l’ambasciata dell’Azerbaijan ha provato con tentavi di “intimidazione”,come li ha definiti Riccardo Noury, con avvertimenti e numerose lettere recapitate alla FNSI e ad Amnesty Italia di impedire che un evento come questo si svolgesse. Beppe Giulietti, nel suo intervento introduttivo, ha precisato di aver ricevuto una ventina di lettera dell’Ambasciata dell’Azerbaijan che chiedevano di sospendere l’incontro, lettere che ovviamente sono tornate al mittente. Il clima che si è creato prima ancora che si tenesse l’incontro ha richiesto la presenza dei Carabinieri e infine anche della Digos. Questo non ha impedito che alcuni individui, identificati dagli organizzatori come legati all’ambasciata dell’Azerbaijan, filmassero e fotografassero i presenti all’incontro.
Gli organizzatori hanno quindi scelto di non lasciare spazio al dibattito, per evitare che si arrivasse ad uno scontro verbale dai toni accesi. Cosa che però non è stata evitata fino in fondo. Nonostante la richiesta di non dibattere esplicitata da Beppe Giulietti nell’introduzione all’evento e ripetuta da Ricardo Noury a conclusione dello stesso, c’è stato qualcuno che ha alzato la voce in sala cercando di mettere in discussione quanto detto dai relatori.
L’intervento della Digos ha prima bloccato le inopportune lamentele, poi la polizia ha scortato i relatori dell’evento, con Dinara Yunus visibilmente scossa per l’accaduto, fino a che non sono saliti su un taxi.
Simone Zoppellaro ci ha raccontato di cori da stadio in sala che scandivano “Khojaly”, il riferimento è al massacro di Khojaly avvenuto il 25-26 febbraio 1992, quando l’esercito armeno uccise centinaia di civili azeri nella città omonima, durante la guerra nel Nagorno Karabakh.
Ora, come far capire alla Baku ufficiale che parlare di diritti umani in Azerbaijan, di gravi violazioni delle libertà di espressione e dei media, di diritti civili ecc., non significa negare che ci sia stato un massacro di civili azeri a Khojaly e soprattutto che non significa assolutamente essere filo armeni. Sulle pagine di OBC abbiamo sempre parlato nel modo più oggettivo possibile dei crimini commessi da tutte le parti in conflitto, nei vari conflitti di cui ci siamo occupati. Ma allo stesso tempo abbiamo sempre fatto in modo di non prestare il fianco a regimi autoritari e repressivi, anzi ne abbiamo sempre cercato di denunciare la cattiva condotta.
Ci occupiamo di quasi una trentina di paesi, compresi gli stati de facto, in un’area che va dalla Slovenia all’Azerbaijan. Con nessuno di questi paesi abbiamo mai avuto problemi per quello che scriviamo, ad eccezione dell’Azerbaijan che di regola quando pubblichiamo un articolo ritenuto “scomodo” ci recapita una lettera tramite la sua ambasciata in Italia.
Forse se oltre ai pochi giornalisti e attivisti dei diritti umani che si occupano di questi temi, ad Amnesty e alla FNSI, ci fosse qualcun altro, comprese le alte sfere della politica e dell’economia, che portasse l’attenzione su questo tipo di comportamento da parte delle autorità azere, ci sentiremmo meno soli nel lavoro che stiamo facendo e forse ancora si eviterebbero situazioni altamente sgradevoli come quelle dell’incontro di Roma.
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