Migrazioni: dal sogno americano alla prigione (Osservatorio Balcani e Caucaso 06.11.24)

La storia di Eric, un armeno di quarant’anni che ha cercato di migrare negli Stati Uniti, partendo dall’Armenia attraversando l’Europa, la Cina e il Messico. Il suo approdo da migrante irregolare negli USA è coinciso con il carcere. Uscito di prigione grazie ad un avvocato ora prova a rifarsi una vita

06/11/2024 –  Armine Avetisyan Yerevan

Il sogno americano è la convinzione che in America le persone possano raggiungere successo e prosperità indipendentemente dal loro background sociale o dalle loro circostanze, se hanno diligenza e determinazione. Si basa su idee come opportunità economiche, libertà, uguaglianza e miglioramento della qualità della vita. Questo sogno spesso ispira i migranti e le loro famiglie in cerca di una vita migliore, anche se in realtà molti affrontano sfide e ostacoli.

“Ho trascorso due mesi in prigione; non avevo mai sperimentato una sofferenza simile in vita mia. Era il caos”, inizia Eric (nome di fantasia), un uomo armeno di 40 anni arrivato di recente negli Stati Uniti.

Residente a Yerevan, circa un anno fa ha iniziato a presentare domanda all’ambasciata degli Stati Uniti, ma non ha mai ottenuto il visto. Dopo l’ennesimo rifiuto, ha condiviso il suo sogno con un caro amico, che gli ha consigliato di contattare un’organizzazione speciale che avrebbe potuto aiutarlo.

“Ho chiamato e ho incontrato un uomo. Non era armeno. Mi ha assicurato che poteva aiutarmi ad arrivare negli Stati Uniti. Il servizio costava 25mila dollari, che avrebbero coperto tutto: voli, sistemazione in hotel e così via. Non avevo tutti quei soldi, ma avevo una bella macchina, che ho venduto”.

Eric ha ottenuto un visto Schengen, che gli avrebbe permesso di entrare nell’UE e poi in Messico per raggiungere gli Stati Uniti. È stato avvisato che doveva essere pronto a partire in qualsiasi momento. Quel momento è arrivato molto rapidamente e inaspettatamente.

Racconta che, dopo aver ricevuto il visto, chiedeva aggiornamenti quasi ogni giorno, ma riceveva sempre la stessa risposta: “Oggi non è il giorno giusto”. Un giorno, circa due ore dopo la solita risposta, ha ricevuto una chiamata che lo invitava a recarsi velocemente all’aeroporto perché il suo volo era imminente.

“Sono partito da Yerevan per Barcellona. Secondo l’accordo, avrei dovuto rimanere lì per una notte e poi viaggiare in Messico. Una volta arrivato a Barcellona, sono stato portato in un hotel. C’era un altro uomo lì, anche lui arrivato con lo stesso ‘servizio’, e dovevamo partire insieme. Quella notte, ho dormito a malapena, e anche lui. Abbiamo fumato e parlato del futuro; entrambi sentivamo di essere sulla strada giusta”.

Il giorno dopo, tuttavia, sono stati informati che avrebbero dovuto aspettare un altro giorno. Il giorno dopo, un’auto li ha portati all’aeroporto. Tuttavia, il piano non si è concretizzato.

“All’aeroporto ci hanno controllato i documenti e non ci hanno permesso di imbarcarci sul volo per il Messico. Il nostro contatto ha mandato un’auto e ci hanno riportato in hotel. Siamo rimasti lì per altri due giorni e ci hanno detto che c’erano dei problemi. Poi abbiamo saputo che non avremmo potuto raggiungere il Messico attraverso la Spagna e siamo partiti per Bruxelles. La stessa storia è successa lì, non ci hanno permesso di volare in Messico e siamo rimasti lì per un altro giorno prima di essere riportati a Barcellona”. Sono rimasti a Barcellona per altri due giorni prima di dirigersi a Madrid, ma invece di andare in Messico sono finiti a Dubai.

“Ci hanno detto che non potevamo andare in Messico attraverso l’Europa. Ci hanno suggerito di calcolare quanti soldi avevamo già speso e farci restituire gli altri, ma io volevo raggiungere gli Stati Uniti. Siamo rimasti a Dubai per qualche altro giorno, poi siamo partiti per la Cina. In Cina si è unito a noi un altro uomo, che era in viaggio da dicembre e non era riuscito a raggiungere il Messico”.

Eric e i suoi compagni di viaggio sono rimasti in Cina per circa una settimana, e quando avevano quasi perso le speranze sono riusciti a partire per il Messico. Una volta arrivato lì, Eric era sicuro di essere vicino al suo sogno.

“Sono rimasto a Tijuana per oltre una settimana. Abbiamo attraversato il confine in auto. In quel momento, ho pensato che fosse fatta; invece, mi sono ritrovato da immigrato irregolare in una prigione americana”.

Da quel momento, la vita di Eric si è trasformata in un incubo. Dice che non era stato avvisato di questi rischi. Nella cella c’erano decine di altri migranti irregolari. Ricordare le condizioni di vita lo fa inorridire.

“C’era una tazza nel bagno destinata ai detenuti musulmani per lavarsi. Un giorno, quando avevamo bisogno di acqua, uno di loro ha dovuto bere da quella tazza… Non voglio ricordare… No… Mi sono ammalato e sono stato ricoverato in ospedale… Per uscire di prigione, avevo bisogno di un avvocato. Mi avevano dato un contatto per un avvocato che mi aiutasse con le questioni legali e, quando finalmente ho avuto il diritto di chiamare, l’ho contattato. È stato lui a iniziare a lavorare per il mio rilascio”.

Non essendo mai stato dietro le sbarre in vita sua, Eric aveva visto le prigioni solo nei film e questa prigione gli ricordava quelle dei film di Hollywood. C’era una chiesa dove i detenuti potevano lavorare per un dollaro all’ora.

“Era un lavoro da custode. Ho fatto domanda al prete per lavorare anch’io, ma non per i soldi; volevo solo fare qualcosa per evitare di impazzire. L’ironia è che quando ho ricevuto una risposta dalla chiesa mi hanno informato che ero libero”.

Dopo due mesi di prigione, Eric è stato rilasciato con l’aiuto dell’avvocato, a cui deve circa novemila dollari. Non sa ancora come ripagherà quella cifra perché non ha un permesso di lavoro; è ancora libero con la condizionale, con un dispositivo metallico attaccato alla caviglia che monitora ogni suo movimento.

“Ho lasciato la mia famiglia a Yerevan: mia moglie e due bambini piccoli. Quando me ne sono andato, mia moglie e io avevamo concordato che sarebbero venuti anche loro, ma questo ora è fuori discussione. Ho provato sulla mia pelle cosa significhi attraversare illegalmente la frontiera. Sono comunque fortunato. In prigione ho incontrato persone che hanno sofferto ancora di più. C’era una famiglia che è arrivata dall’Africa. Hanno portato con sé i loro animali domestici in gabbia…”.

Avendo avuto un lavoro stabile, una casa e un’auto a Yerevan, Eric ora sogna di lavorare come tassista così da poter almeno pagare il debito dell’avvocato e comprare un biglietto di ritorno. Non è a conoscenza della sorte degli uomini che sono arrivati in Messico con lui, dicendo che sono stati portati in un’altra prigione e che non ha modo di contattarli.

“Forse un giorno il mio sogno americano diventerà realtà; non lo escludo, ma sento che quel giorno è tutt’altro che vicino”.

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Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell’Unione europea.

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