Migranti e armeni, quello (Aventi 15.06.16)
Berlino – In primo piano ci sono ancora le polemiche per il riconoscimento del genocidio armeno, compiuto dall’Impero Ottomano nel 1915-1916, da parte del Parlamento tedesco, ma sullo sfondo si comincia a stagliare il vero nodo del contendere fra Turchia e Germania: gli accordi bilaterali fra i due Paesi per il riconoscimento e lo smistamento dei profughi.
Il patto, sottoscritto a maggio, prevede la realizzazione di speciali uffici atti al riconoscimento, alla selezione e allo smistamento del flusso dei profughi dalla Turchia alla Germania direttamente sul territorio turco. In cambio, il Governo tedesco si è impegnato ad agevolare entro l’ottobre 2016 la liberalizzazione nel rilascio di visti europei ai cittadini turchi, provvedimento già inserito nel quadro dell’accordo UE – Turchia con cui Ankara ha accettato il ritorno dei migranti economici, quindi non richiedenti asilo, dalle isole greche ai propri campi.
Grazie alla liberalizzazione, ai turchi verrebbe garantito uno status ‘simil Schengen’ con sostanziali benefici, soprattutto per i commerci, che sancirebbe l’enorme successo diplomatico e mediatico del presidente Erdoğan. I desiderata di Ankara si scontrano però con l’opposizione del Parlamento europeo che calenderizza la liberalizzazione al 2017 e ribadisce che l’accordo rimane subordinato, fra le altre cose, alla modica dell’attuale legge antiterrorismo da parte del governo turco, un provvedimento usato per trasformare la Turchia in un presidenzialismo autoritario.
Al passo indietro del Parlamento europeo, Erdoğan ha risposto rallentando l’entrata in vigore dell’accordo con la Germania trasformando la questione da materia diplomatica in una di politica interna tedesca e mettendo la Cancelliera di fronte al possibile fallimento della propria politica sull’immigrazione, un punto dolente per la Merkel nel suo rapporto con l’opinione pubblica.
Secondo infatti un recente sondaggio del mensile politico Cicero, i due terzi degli elettori tedeschi sarebbero contrari ad un quarto mandato consecutivo di Angela Merkel. Questo non per motivi economici o sociali, peraltro esistenti, ma per la politica della Cancelliera sull’immigrazione contro cui sarebbe contrario, secondo un ulteriore sondaggio del settimane Der Spiegel, il 41% degli elettori tedeschi.
Questo avviene soprattutto nei Land tedeschi più conservatori dove gli elettori abbandonano una Merkel vista come troppo “modernista” per schierarsi con la destra radicale, populista e anti-immigrazione di Alternative für Deutschland (AfD), partito che viene dato attorno al 14% nei sondaggi ed è in costante crescita di consensi. A fronte del malcontento dell’opinione pubblica si rafforza anche il dissenso interno al partito nei confronti della Cancelliera.
Dopo infatti le critiche arrivate da membri della CDU, il partito di Angela Merkel, arrivano le minacce di uscita dalla coalizione della CSU che dal 1962 governa con maggioranza assoluta la ricca Baviera e fornisce, di fatto, un blocco di voti fondamentali per la vittoria dei cristiano-democratici all’interno del sistema elettorale a base federale della Germania.
Al deflagrare della crisi diplomatica fra Turchia e Germania, è stato infatti il capo-gruppo dei Popolari Europei in quota CSU, Manfred Weber, a richiedere immediatamente la revisione se non lo stop totale agli accordi con la Turchia. Questo non stupisce perché è dall’inizio della crisi nel 2015 che il segretario bavarese Horst Seehofer ribadisce ad ogni occasione il suo dissenso per la politica messa in atto dalla Cancelliera sull’immigrazione. Cuore della sua critica è la scarsa incidenza sui flussi di profughi dalla rotta anatolica rispetto a quella balcanica a fronte di un ingente sforzo economico e politico a vantaggio della Turchia (e di Erdoğan). Da parte sua, il segretario, ha richiesto un forte inasprimento delle procedure, sia per l’ingresso che per l’asilo, arrivando a ventilare una storica uscita dalla maggioranza, con conseguente rottura del patto che lega da sempre la CSU alla CDU nella cornice di una legge definita come “dittatura dell’ingiustizia”.
In realtà gli interessi di Seehofer sembrano essere diversi e più locali, ovvero arginare l’emorragia di voti del proprio partito, per la prima volta sotto il 40% in Baviera, verso la destra radicale di AfD. Questo non cancella, però, la gravità della crisi di fronte alla quale serviva da parte di Angela Merkel e del Governo una riaffermazione della propria autonomia politica e della propria forza nei confronti della Turchia e questa risposta è arrivata con il riconoscimento del genocidio armeno, avvenuto, dieci anni dopo l’apertura dell’iter legislativo, e con il sostegno diretto sia della Cancelliera che del suo partito.
Il genocidio del popolo armeno diventa così parte di un complesso rapporto diplomatico, quello fra Turchia e Germania, e della ricerca del consenso, sia da parte di Erdoğan, sia delle Merkel, sia di Seehofer: un gioco di vantaggi e opportunità che ha come sfondo quel cambiamento epocale che viene racchiuso nel termine “crisi dei profughi”.
Simone Bonzano