Medz yeghern, per gli armeni è il “grande crimine” da non dimenticare(2duerighe.it 24.04.16)

Medz yeghern, questo il termine utilizzato dagli armeni, in riferimento ai massacri che hanno colpito la popolazione cristiana in Turchia. Medz yeghern, il “grande crimine” presente nella memoria degli armeni, e della sensibilità collettiva, ha avuto inizio nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 e si è concluso nel 1916.

Oggi ad Erevan, capitale dell’Armenia i capi di stato, rappresentanti esteri e parenti di alcuni superstiti di allora, si riuniscono per commemorare insieme il centenario del massacro armeno, oggi riconosciuto come genocidio.

Un genocidio voluto da quello che nel 1915 era l’Impero Ottomano, sconfitto nelle prime battaglie della Prima Guerra Mondiale; un genocidio “punitivo”, iniziato con massacri e deportazioni di massa della popolazione armena, cristiana.

Il “grande crimine” ha portato con sé 1.5 milioni di persone e proprio in memoria di questo milione e mezzo, oggi le cerimonie si sono aperte con un lungo e intenso, minuto di silenzio.

Ad omaggiare e ricordare le vittime di una barbarie che si è consumata il secolo scorso e non agli albori della civiltà umana, vi sono oggi ad Erevan 60 Paesi, con capi e rappresentanti, tra cui i presidenti russo e francese, Vladimir Putin e François Hollande.

Ad una commemorazione molto importante, non solo per le numerose vittime che essa ha prodotto, ma anche per il contesto in cui questo massacro si è compiuto, di quali discriminazioni e idee si è servito, vi era oggi una grande assente: l’Italia.

Oggi ad Erevan non vi era né il Presidente del Consiglio, né il Presidente della Repubblica Italiana, negligenza che ci costerà un ennesimo gradino sulla scala della vergogna agli occhi degli altri Paesi sul piano internazionale?

Anche Stati Uniti, Israele e Germania hanno inviato i propri ministri nella capitale armena, per deporre insieme agli altri leader mondiali, dei fiori di fronte alla fiamma eterna, protagonista “materiale” di questa commemorazione, circondata da 12 lastre di basalto, lastre che stanno a simboleggiare le province perdute dall’Armenia e che ora fanno parte della Turchia.

Un memoriale intenso quello di oggi che ha visto compiere a ciascun rappresentante dei diversi Paesi, un percorso che conduceva alla “Stele”, l’obelisco di 44 metri che sta a rappresentare la rinascita del popolo armeno, un popolo vessato, massacrato, ma che tra innumerevoli difficoltà, nel 1991 ha ottenuto l’indipendenza.

“Gli armeni furono deportati e annientati secondo un piano statale a cui parteciparono direttamente l’esercito, la polizia, altre istituzioni statali e gruppi di criminali scarcerati specificamente per questo scopo”, così ha parlato oggi il presidente armeno Serz Sargsyan, chiarendo l’importanza di quello sterminio.

Alla luce di quanto è avvenuto, in un tempo (ricordiamolo) non remoto, è un peccato che vi sia oggi chi persegue la strada del negazionismo, come Erdogan che in riferimento alla sua Turchia sostiene che i loro antenati non si sono macchiati di alcun crimine contro gli armeni nell’anno tra il 1915 e il 1916.

È un peccato inoltre, che la nostra Penisola democratica oggi non abbia fatto sentire la propria presenza ad Erevan, in un momento così intenso, con un rituale così ricco di simbologia e pathos; è un peccato che siano nate già le prime polemiche verso il nostro governo, oggi assenteista, perché l’Italia si è da sempre mostrata una grande sostenitrice di qualsiasi iniziativa volta alla MEMORIA, di oggi genere, forse perché conscia che senza la consapevolezza del passato, è pressoché impossibile costruire un giusto futuro.