L’IMPERO COLPISCE ANCORA: OBIETTIVO AZERBAIJAN (Difesaonline 01.04.22)
L’evoluzione degli eventi ucraini porta ad espandere i teatri geopolitici di interesse. Le relazioni politiche verso est dell’UE toccano sia paesi (relativamente) democratici interessati da processi di integrazione; sia soggetti politici autocratici caratterizzati da rapporti settoriali; sia attori ibridi1 in quanto a dipendenze politico militari che fomentano conflitti latenti.
L’Azerbaigian negli ultimi anni è stato protagonista di un costante decremento degli indici democratici, e di un aumento delle spese militari di fatto indirizzate a riaccendere il conflitto con l’Armenia nei territori del Nagorno Karabakh.
In un’ottica più ampia, Baku ha accresciuto la sua importanza geostrategica ed energetica alternativa a quella di Mosca, in quanto paese di origine e transito di gas e petrolio. Questo aspetto chiarisce perché, realisticamente e nell’ora più buia, nessuno nell’ideologicamente pura Europa, che pure in un recente passato è apparsa apatica nei rapporti con l’Azerbaigian, ora si ponga particolari problemi in tema di democrazia e diritti umani, optando per ben più paganti partenariati strategici, agevolati da un’efficace diplomazia del caviale capace di conferire a Baku una posizione nel Caspio pari a quella di Dubai nel Golfo. Dato il momento, secondo le intenzioni del presidente Ilham Aliyev, capo di stato dal 2003 (!), la produzione azerbaigiana di gas verrà aumentata, grazie anche allo sfruttamento di nuovi giacimenti2, utili al soddisfacimento della domanda interna e di quella di un’Europa3 chiamata ad offrire contropartite tecnologiche.
Tutto facile? No, affatto. Oltre alla carenza di infrastrutture, che non possono implementarsi se il gas non è già stato venduto e monetizzato in modo da garantire gli investimenti, non possono trascurarsi i rapporti con il Cremlino4, con cui Aliyev ha sottoscritto un accordo di cooperazione mirato a garantire l’integrità territoriale, il rispetto del principio di non interferenza, ed impegnandosi a evitare di intraprendere attività che possano causare danni agli interessi dell’altra parte; a questo vanno aggiunte le considerazioni riguardanti le quantità di gas prodotte e l’infrastruttura5 ad esse dedicata, volumi che non possono costituire le basi di un’alternativa valida ai quantitativi russi.
Se l’invasione ucraina ha relegato l’Azerbaigian tra l’incudine di Kiev ed il martello di Mosca, le clausole dell’accordo sottoscritto hanno aumentato l’influenza del Cremlino sui progetti energetici di Baku, che peraltro non ha aderito al CSTO6 a guida russa, e nemmeno all’Unione economica euroasiatica, evitando però accuratamente di esprimere alcun intento di adesione alla Nato, desiderio anestetizzato dalla politica estera di Mosca che ha evitato di ostacolare il successo azero in Nagorno-Karabakh sull’Armenia, partner a cui ha comunque venduto armamenti.
La realpolitik ha indotto sia Baku che Mosca sulla via convergente di una convenienza pagata dall’Azerbaigian con il temporaneo (e avvertito) sacrificio delle relazioni con l’Occidente, e dalla Russia con il sacrificio (avvertito?) di quelle con l’Armenia, paese dipendente in ambito economico, energetico e securitario. Difficile quindi inquadrare compatibilità e disponibilità azere per le necessità di Roma che, pure, pone Baku nel novero dei fornitori privilegiati di gas.
Il colpo di scena è tuttavia giunto grazie al Ministero della Difesa russo, che ha accusato l’Azerbaigian di aver lanciato diversi attacchi, anche qui con droni turchi Bayraktar, nell’area sotto controllo della missione russa di peacekeeping contro l’esercito del Nagorno Karabakh, enclave internazionalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian, ma vicina all’Armenia; si tratta quindi della prima volta dalla fine delle ostilità in cui Mosca ha accusato una delle due parti di una violazione del cessate il fuoco, in un crescendo di smentite e rimbalzi di responsabilità, e con la richiesta azera alla Russia di ritirare rimanenti truppe armene e unità armate illegali dal territorio riconosciuto come azero.
Mentre Kharkiv e Kiev sono assediate, la Russia corre dunque il rischio di trovarsi impegnata su un duplice fronte, mentre l’Armenia ritiene necessario attivare una specifica deterrenza atta a prevenire una nuova escalation.
Mentre si susseguono gli incontri tra le delegazioni russe e ucraine, il Nagorno-Karabakh, in cui spirali incontrollate potrebbero arrivare a coinvolgere le infrastrutture del Corridoio meridionale del gas e l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyh, potrebbe incrinare i rapporti tra Mosca e Ankara, che con il turcofono e sciita Azerbaigian ha sempre intrattenuto solide relazioni politico economiche, in competizione con l’Iran, che valuta Baku come un potenziale rischio irredentista promuovente l’idea di un’unione con la regione azerbaigiana nord occidentale iraniana, tanto da indurre Teheran a garantire sia un sostegno alla concorrente Armenia, sia a cercare di indurre la laica Baku a riconsiderare i suoi rapporti con Israele7 che fornisce equipaggiamenti avanzati.
Attualmente l’invasione dell’Ucraina ha costretto la Russia a lasciare scoperte diverse aree operative, a cominciare da quella in cooperazione con l’Armenia, senza dimenticare Ossezia, Abkhazia, Transinistria, Libia e Mali, zone in cui i concorrenti potrebbero fruire della necessità di Mosca di un immediato rafforzamento in Ucraina, dove la campagna militare è in difficoltà: il ridimensionamento degli obiettivi del Cremlino può dunque collegarsi al rischio di non riuscire a conquistare l’Ucraina perdendo al contempo i vantaggi tattici e strategici acquisiti altrove.
Al di là degli accordi stretti in precedenza, non si può non ipotizzare, né in considerazione dei toni usati verso i paesi in cerca di alternative energetiche né alla luce delle accuse preventive mosse contro Baku, un nuovo fronte nella zona meridionale che volge all’area deputata al controllo delle forniture energetiche all’Europa, senza per questo trascurare la Georgia, ambita e già smembrata meta. Ampliamo l’area concettuale interpretando la visione strategica russa; secondo il Cremlino, più o meno come sempre, il destino russo è in gioco, ed uno dei teatri decisivi è nel Caucaso, area che da secoli ha creato e crea problemi a zar, segretari generali e presidenti federali, tutti intenzionati a renderla parte integrante del proprio spazio politico e di potere. Il Cremlino, infatti, concepisce il territorio caucasico del sud8 come un’area strategica utile alla preservazione della sicurezza nelle regioni meridionali russe, scosse da periodiche e latenti istanze indipendentiste.
Il panturchismo supportato da Ankara, che intende ampliare la propria area d’influenza oltreconfine, contribuirà inoltre a destabilizzare l’equilibrio dell’area, aspetto questo già stigmatizzato dalla Turchia che non ha mancato di fornire supporto militare all’Azerbaijan, con cui si è impegnata con un trattato di difesa reciproca anti armeno.
L’escalation degli scontri va oltre il semplice attrito di matrice etnica, dato che diversi egemoni, come Russia e Turchia, calcano la scena; attori che, nel corso del tempo, si sono scontrati ripetutamente proprio per l’affermazione della propria egemonia regionale.
Gli interessi areali sono molteplici ed estesi, dato che il Caucaso del sud è divenuto uno snodo essenziale per il mercato idrocarburico, dove gli interessi russi, per il momento, si sono indirizzati a perseguire soluzioni negoziali che consentano la realizzazione di una politica imperiale atta sia a permettere la vendita di armi ad ogni singolo contendente, sia a conservare gli accordi con Erevan e – forse – con Baku, l’alleato strategico – ma riluttante – essenziale per il mantenimento dell’equilibrio.
Due gli elementi da non trascurare: il primo è l’assenza occidentale; tenuto conto delle tardive risposte americane, i vuoti politici venutisi a creare sono stati altrimenti riempiti ma con tutti i problemi conseguenti a conflitti che di freddo o congelato non hanno nulla.
Il secondo riguarda la contrapposizione via via più evidente tra Turchia e Russia, animatrici per procura delle guerre siriane e libiche, ma con visioni non collimanti su Crimea, Mar Nero, Cipro, sfruttamento delle risorse gasifere del Mediterraneo orientale, Balcani, Egitto, Israele, Kurdistan e Fratellanza musulmana.
La guerra guerreggiata in Nagorno-Karabakh crea da un lato un ulteriore punto dinamico di faglia tra Ankara, e Mosca, e dall’altro si traduce in un problema geostrategico che partendo dal Caucaso del nord tocca il Medio Oriente comprendendo anche Mar Nero e Mediterraneo orientale.
Se per Mosca ciò che interessa non consiste tanto nella protezione di Erevan ma nel mantenimento di un proficuo e mutuo equilibrio di potere da realpolitik con Ankara9, il warning recentemente consegnato a Baku può aprire nuovi scenari, anche alla luce del fatto che i conflitti in atto tra Caucaso, MO e Mar Nero, si muovono sullo sfondo della Guerra Fredda 2.0 tra Russia e Occidente dal 2008.
Come accennato, gli attriti in Caucaso sono da associare ad un vuoto sistemico di potere, una volta abbinato al collasso sovietico, ora alle lacune occidentali. Non è chiaro chi possa essere davvero pronto a colmarle.
1 Moldova, Ucraina e Georgia; Russia, Bielorussia, Azerbaigian; Armenia
2 Al giacimento di Shah Deniz si aggiungono quelli di Absheron, Umid, Babek, Asiman. Lo sviluppo di parte dei giacimenti, con situazione in divenire, è stato affidato alla BP
3 Il presidente Ilham Aliyev ha affermato che nel 2022 dovrebbero essere prodotti 45 miliardi di metri cubi di gas nel suo insieme, Oltre 8 miliardi saranno esportati in Turchia ed altri 7 miliardi in Italia. Il gas rimanente sarà diviso tra Georgia, Bulgaria e Grecia.
4 La Russia fino al 2012 ha affittato la stazione radar azerbaigiana di Gabala, uno dei componenti del sistema russo per il monitoraggio dei lanci di missili balistici. L’Armenia ospita invece unità delle guardie di frontiera russe (circa 4.500 uomini schierati ai confini turco-armeno e armeno-iraniano) e una base a Gumri (secondo un accordo in scadenza nel 2044).
5 Gasdotto TAP, capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno, eventualmente espandibile fino a 20 miliardi.
6 Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva
7 Nel 2004 Alimamed Nuriyev, deputato e presidente della Fondazione Costituzione, ha affermato che nell’Azerbaigian non c’è mai stato l’antisemitismo, invitando la dirigenza politica ad espandere la cooperazione con Israele in campo politico, economico e militare. L’Azerbaigian ospita circa 30.000 ebrei, residenti principalmente a Baku e Qırmızı Qəsəbə nel distretto di Quba dell’Azerbaigian. Gli ebrei della montagna vivono in Azerbaigian da quasi 1500 anni, essi sono i discendenti degli ebrei persiani.
8 Il Caucaso settentrionale è sotto la sovranità russa; quello meridionale è composto da tre stati indipendenti riconosciuti (Armenia, Azerbaijan, Georgia) e altri tre stati di fatto: Abkhazia, Ossezia del Sud, e Nagorno-Karabakh. A nord Mosca difende l’integrità territoriale contro le minacce secessioniste e terroristiche islamiche; in Transcaucasia opera come una potenza post-imperiale.
9 Mustafa Aydın e Bülent Aras hanno definito le relazioni russo-turche come una cooperazione competitiva; Ziya Önis¸ e S¸uhnaz Yılmaz valutano l’elemento fondamentale dei rapporti quale interazione asimmetrica; per Sezer è in atto una “rivalità geopolitica controllata”
Foto: presidency of the republic of Turkey / president.az / MoD Fed. Russa