«L’Azerbaigian progetta una nuova invasione per eliminare noi armeni» (Tempi 01.01.23)
Più di mille armeni residenti nel Nagorno-Karabakh sono bloccati in Armenia e non possono fare ritorno dai propri familiari da 21 giorni, da quando cioè il regime dell’Azerbaigian ha bloccato per ragioni “ambientaliste” il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Artsakh al mondo esterno. Tra di loro c’è anche Artak Beglaryan, consigliere del ministro di Stato dell’Artsakh, che si trovava a Erevan il 12 dicembre, quando è iniziato il blocco. «Ho dovuto passare il Natale lontano dai miei due figli di 1 e 4 anni. Questa separazione è molto dura da vivere per me e i miei familiari», dichiara a Tempi Beglaryan, 34 anni, che ha perso la vista da bambino a causa dell’esplosione di una mina durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh. «Al di là dei disagi e delle difficoltà, ho paura che l’Azerbaigian si stia preparando a scatenare una nuova guerra».
Consigliere, qual è la situazione dei 120 mila armeni residenti in Artsakh?
La situazione peggiora di giorno in giorno. A causa del blocco, in Artsakh non può più essere importato nulla e la gente ha bisogno di tutto perché mancano i beni essenziali: cibo, medicine, prodotti per l’igiene personale, benzina. Ci sono anche problemi economico-sociali: chi studiava o commerciava o lavorava o si curava in Armenia non può più farlo da 21 giorni. Molte aziende hanno dovuto fermarsi perché mancano i materiali con cui lavorare, anche l’agricoltura è ferma. Per questo si sta aggravando il problema della disoccupazione e molte famiglie iniziano a essere in difficoltà.
Quante sono le famiglie separate come la sua?
In tutto parliamo di tremila persone. Oltre ai mille residenti dell’Artsakh bloccati in Armenia, ci sono duemila persone, tra stranieri e residenti dell’Armenia, bloccati in Artsakh. Genitori, figli, mariti, mogli che non hanno potuto passare il Natale insieme e non sanno quando potranno rivedersi. Ci sono 270 bambini in Armenia che da 21 giorni non possono riunirsi con i genitori in Artsakh. I problemi materiali non devono farci sottovalutare quelli psicologici.
A che cosa si riferisce?
Il regime azero usa il blocco del Corridoio di Lachin per fare pressione psicologica sui residenti dell’Artsakh, che vivono ormai nel terrore che Baku possa tornare a usare la forza per eliminarci tutti.
Due giorni fa il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha detto di temere lo scoppio di un nuovo conflitto.
I suoi timori sono fondati. L’obiettivo dell’Azerbaigian e del suo alleato, la Turchia, resta quello di completare il genocidio del 1915. Vogliono spazzarci via dalla nostra terra con ogni mezzo: due anni fa hanno scatenato una guerra, pochi mesi fa hanno compiuto un’altra aggressione militare, ora ci isolano dal mondo e se non otterranno ciò che vogliono potrebbero tornare a usare la forza. Ecco perché il mondo deve adoperarsi per fermare il regime.
In che modo?
Pochi giorni fa ho manifestato davanti agli uffici dell’Onu a Erevan. Abbiamo presentato le nostre richieste ai funzionari dell’Onu che le hanno passate ai loro responsabili a New York. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è già riunito, e questo è importante, ora però devono porre fine a questo blocco e adoperarsi perché gli armeni dell’Artsakh abbiano le adeguate garanzie di sicurezza internazionale. Abbiamo bisogno di protezione e aiuti umanitari.
Come si è mossa fino ad ora la comunità internazionale?
Non siamo soddisfatti, anche se ci sono state tante dichiarazioni a nostro favore, anche da parte degli Stati Uniti e della Corte europea per i diritti umani, così come interventi più ambigui. Noi chiediamo che venga inviata una missione Onu in Artsakh per monitorare la situazione e che le agenzie Onu aprano uffici anche qui. Inoltre, servono azioni concrete e sanzioni.
Pensa che risulterebbero efficaci?
Non ho certezze. Ma so che l’Azerbaigian non ha ricevuto alcuna punizione dalla comunità internazionale per i crimini commessi in passato. Ed è per questo che continua a compierne di nuovi. Per prevenire i crimini futuri, bisogna punire quelli attuali.
L’Azerbaigian continua a sostenere che il blocco, nei fatti, non esiste e che privati cittadini hanno diritto di protestare per la protezione dell’ambiente. Che cosa ne pensa?
Non so chi credono di prendere in giro. In Azerbaigian non esistono gruppi ambientalisti e non c’è stata una singola protesta negli ultimi dieci anni. Tutti sanno che il paese è governato da una dittatura che rinchiude nelle carceri i prigionieri politici e costringe all’esilio gli attivisti. Abbiamo prove che dimostrano che questi “ambientalisti” sono in realtà membri delle forze speciali azere, agenti dei servizi in borghese e soldati dell’esercito senza uniforme. Aggiungo che più volte l’Azerbaigian ha detto di essere disposto a riaprire il Corridoio di Lachin a determinate condizioni, provando così di essere l’unico responsabile del blocco.
In base agli accordi trilaterali del novembre 2020 i peacekeeper russi devono garantire la libera circolazione nel Corridoio di Lachin. Perché non lo stanno facendo? Perché l’area non può essere liberata?
La nostra gente si aspetta che la Russia faccia di più e usi la sua importanza per risolvere la situazione. Sono in corso colloqui tra Baku e Mosca ma non conosco i termini del dialogo. Sul perché non liberino l’area non posso commentare.
Qual è il vero obiettivo del blocco?
La pulizia etnica, senza dubbio. L’Azerbaigian vuole occupare l’Artsakh e “liberarlo” dalla presenza degli armeni. Sicuramente hanno anche obiettivi a breve e medio termine, come ad esempio prendere possesso dei nostri complessi minerari. Probabilmente vogliono anche utilizzare il blocco per fare pressione sull’Armenia e spingerla ad accettare un accordo di compromesso sull’Artsakh inaccettabile.
Quali sentimenti sono predominanti in questo periodo, che dovrebbe essere di festa, tra i 120 mila armeni dell’Artsakh?
Personalmente sto soffrendo molto perché da 21 giorni non posso vedere i miei figli e i miei familiari. Tutti poi siamo preoccupati per il futuro: non abbiamo certezze e sappiamo che l’Azerbaigian progetta di invaderci.