L’aggressione di martedì ha portato Baku a conquistare 41 km quadrati di territorio armeno. Oltre 40 i morti. «La Turchia, attraverso gli azeri, porta avanti il suo progetto neo ottomano, vogliono cacciarci dalla nostra terra»: intervista al ministro degli Esteri dell’Artsakh, Davit Babayan
«L’anno scorso la comunità internazionale ha ignorato l’aggressione dell’Azerbaigian e della Turchia nel Nagorno-Karabakh contro l’Artsakh ed ecco il risultato: ora anche l’Armenia è in pericolo». Così il ministro degli Esteri della Repubblica dell’Artsakh, Davit Babayan, commenta a Tempi il violento attacco di martedì da parte dell’esercito azero contro le postazioni armene, che ha causato circa 40 morti.
L’invasione azera dell’Armenia
Martedì 16 novembre, secondo quanto dichiarato dal premier dell’Armenia Nikol Pashinian, l’esercito azero ha consolidato l’occupazione di 41 chilometri quadrati di territorio armeno, invaso a partire dal 12 maggio nei pressi del corridoio di Lachin consolidando le proprie posizioni 41 chilometri quadrati di territorio. Almeno 17 soldati dell’esercito azero sono morti nell’aggressione, mentre Erevan ha dichiarato che 13 soldati armeni sono stati rapiti e altri 24 sono scomparsi. Eduard Aghajanyan, a capo della commissione parlamentare per le relazioni internazionali, ha parlato invece di 15 morti. Grazie alla mediazione della Russia, nella serata di martedì si è arrivati a un cessate il fuoco.
A un anno dalla fine della guerra del Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian, la terza della sua storia, Baku lancia dunque una nuova offensiva. A differenza dei 44 giorni di guerra che nel 2020 hanno permesso al regime di Ilham Aliyev, grazie al fondamentale sostegno della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, di conquistare i tre quarti del Nagorno-Karabakh, strappandoli alla Repubblica dell’Artsakh, non riconosciuta a livello internazionale, questa volta è l’Armenia stessa a finire nel mirino.
«La comunità internazionale deve intervenire»
«Non staremo a guardare mentre viene messa in discussione la nostra integrità territoriale e la nostra indipendenza», ha detto Pashinian. «Questo è un altro atto di aggressione di Baku e Ankara contro gli armeni», gli fa eco parlando con Tempi il ministro Babayan. «Si tratta inoltre di una enorme e palese violazione dell’armistizio raggiunto l’anno scorso».
L’Azerbaigian sembra volersi espandere per realizzare un passaggio verso la propria enclave di Nakhichevan, al confine con la Turchia, ma per il ministro degli Esteri c’è molto di più: «La strada che collega i territori occupati l’anno scorso dall’Azerbaigian con Nakhichevan c’è già e possono utilizzarla. Il punto è che vogliono annettersi tutti i territori circostanti, strappandoli a uno Stato sovrano come l’Armenia. Come può la comunità internazionale restare a guardare? A parte la Francia, nessun altro membro della Nato si è espresso».
«La Turchia ha intenzioni genocidarie»
A preoccupare profondamente gli armeni è l’attivismo della Turchia, che offre sostegno politico, economico e militare a Baku e che, afferma Babayan, «attraverso continue aggressioni vuole portare avanti il suo progetto panturco per costituire un nuovo impero ottomano». Il problema, aggiunge, «è che la Turchia è un membro della Nato. Dobbiamo pensare che l’Alleanza atlantica incoraggia l’invasione di uno Stato sovrano come l’Armenia? Dobbiamo pensare che l’Unione Europea sostiene questo progetto? Io non penso che sia così, ma la situazione è pericolosa e serve un intervento deciso da parte dell’Occidente».
L’aggressione nel Nagorno-Karabakh l’anno scorso e quella all’Armenia di martedì risveglia vecchi fantasmi. «Il fatto che l’Artsakh non sia riconosciuto a livello internazionale non significa che l’Azerbaigian e la Turchia abbiano diritto a portare a termine il genocidio del 1915», dichiara il ministro senza giri di parole. «La comunità internazionale non doveva restare indifferente l’anno scorso davanti ad azioni genocidarie solo perché l’Artsakh non gode del riconoscimento internazionale. La passività dell’Occidente ha dato il via libera all’Azerbaigian per osare ancora di più. Ora è uno Stato riconosciuto a essere sotto attacco e questo non può essere permesso».
«Non ci cacceranno mai dalla nostra terra»
Il territorio del Nagorno-Karabakh appartiene formalmente all’Azerbaigian dal secolo scorso dopo che l’Unione Sovietica decise di assegnarlo a Baku, nonostante la popolazione fosse al 90% armena. Anche sotto il pugno di ferro di Stalin, gli abitanti del territorio rivendicarono sempre la propria appartenenza all’Armenia e nel 1991 il referendum con cui gli abitanti dell’ex oblast autonomo si dichiararono indipendenti fu approvato con il 99,98% dei voti e un’affluenza dell’82% (i voti contrari furono solo 24). Nonostante questo, le aspirazioni della popolazione e le ragioni dell’Armenia non sono mai state riconosciute.
L’invasione lanciata il 16 novembre non è certo la prima provocazione azera dopo la firma dell’armistizio un anno fa. Oltre all’invasione del 12 maggio, l’8 novembre i soldati dell’Azerbaigian hanno aperto il fuoco contro quattro operai armeni che stavano riparando alcune tubature dell’acqua vicino alla città di Shushi. «Con queste continue aggressioni Baku vuole indebolire il nostro sistema immunitario, gettare il panico tra la popolazione e spingerla ad andarsene dalla loro terra», conclude il ministro Babayan. «Grazie alla presenza dei russi, ora, non possono lanciare un’offensiva militare su larga scala come l’anno scorso e allora cercano di cacciarci con attentati terroristici. Ma noi resteremo qui, non andremo mai via».
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok