Laura Ephrikian: vi racconto gli incontri di una vita da Morandi alla mia Africa (IlCentro 05.04.17)
L’attrice e scrittrice presenta il suo nuovo libro oggi al Marrucino di Chieti «Con Gianni eravamo giovani e innamorati e facevamo sognare le ragazzine» di Anna Fusaro
di Anna Fusaro
«Il libro contiene anche momenti comici, personaggi e storie buffe. Un po’ di leggerezza ci vuole, penso sia un valore”. L’attrice e scrittrice Laura Ephrikian presenta il suo nuovo libro “Incontri” (Sce) oggi a Chieti in una conversazione con Cinzia Di Vincenzo a cura della libreria De Luca (nel foyer del Teatro Marrucino, alle 17).
Signora Ephrikian, prima volta a Chieti?
No, ci sono già stata per una manifestazione dedicata al regista Anton Giulio Majano, che era nato lì.
Con Majano ha lavorato in due sceneggiati Rai di culto, “La cittadella” di Cronin e “David Copperfield” di Dickens, che le diedero grande popolarità. Che ricordi ha di quella stagione?
Gli sceneggiati davano una popolarità enorme. All’epoca c’era un solo canale Rai e tutta Italia stava davanti alla tv. Entrambi ebbero un grande successo e in tanti ancora ricordano Dora Copperfield, che nel libro è una moglie bambina, una sciocchina, invece Majano seppe rendere il personaggio sfaccettato. Quando sono morta, era sempre quello il mio destino in tv, tutti si commossero. In occasione di una replica pure mia figlia Marianna, all’epoca piccolina, si mise a piangere.
Gli sceneggiati erano teatro filmato, l’ideale per lei che veniva dalla scuola di recitazione di Strehler al Piccolo di Milano. Rimpianti per aver lasciato il palcoscenico?
Ho fatto teatro per tre anni. Appena diplomata al Piccolo nel 1959, a 19 anni, ebbi subito delle proposte di scrittura e fui chiamata da Franco Enriquez. Però mi resi conto presto che il teatro era troppo stressante. Per fortuna ho avuto la televisione, che mi si addiceva come mezzo. Ma anche lì l’emozione non mancava. Con “Le Troiane” recitammo in diretta e ricordo il panico mentre andava in onda Carosello.
Negli anni Sessanta era una diva, la fidanzata d’Italia, per gli sceneggiati ma soprattutto per i musicarelli con Gianni Morandi.
Avevo già interpretato un musicarello con Bobby Solo. Ero recidiva. Un produttore importante, Goffredo Lombardo, che con la Titanus spaziava da “Il Gattopardo” ai filmetti a basso costo, di fronte al successo strepitoso di “Una lacrima sul viso” decise di fare un musicarello con me e con Gianni, che era una stella emergente. Io protestai: “Ma come? Devo fare la fidanzata di un altro dopo esser stata la fidanzata di Bobby Solo?”. Gianni era in Giapppone e quando tornò, Balestrazzi, addetto stampa della Titanus, andò a prenderlo all’aeroporto, gli mise su la divisa da militare e me lo portò a casa. Io aprii e vidi questo pupazzetto, sembrava disegnato, magro magro, con le braccia lunghe e le mani grandi. È iniziato tutto lì. Alla fine delle riprese di “In ginocchio da te” ci rendemmo conto di essere innamorati.
Seguirono altri musicarelli e il matrimonio.
È stata una cosa buffa. Quando i discografici seppero che lui aveva una fidanzata più grande di quattro anni, all’epoca sembrava strano, gli dissero: “Se ti sposi perderai tutte le ammiratrici”. Invece accadde il contrario. Siamo stati molto amati dal pubblico proprio come coppia, perché eravamo giovani e innamorati e facevamo sognare le ragazzine. Ancora oggi i musicarelli piacciono e quando la tv li ripropone c’è un passaparola sui social tra nonne, mamme, nipoti. Siamo alla terza generazione di fan.
Di cosa parla il nuovo libro?
Sono alcuni degli incontri della mia vita. Ritratti scritti inizialmente senza pensare a un libro. Nel libro non c’è solo gente di spettacolo. Ma c’è Giancarlo Giannini, mio marito David Copperfield. E Vittorio De Sica, artefice del mio nome d’arte semplificato, con la f al posto del ph.
In Africa si occupa molto degli altri.
Comprai 23 anni fa una casetta in un villaggio in Kenya. All’inizio, come tutti i turisti, ero affascinata dal paesaggio. Quando ho cominciato a interessarmi alle persone ho capito che sono di una povertà inimmaginabile. Allora ho cercato di aiutare. Faccio quello che posso. Anni fa ho fatto operare al Rizzoli di Bologna un ragazzo malato di un tumore osseo. Quando Katana si è ammalato di nuovo per me è stata una sconfitta. Ma è stato proprio lui a consolarmi. Nel libro c’è anche la sua storia.
La sua famiglia ha origini armene. Suo nonno riuscì a sfuggire al genocidio compiuto dai turchi nel 1915. In famiglia se ne parlava?
Nonno Akop scappò bambino dall’orrenda persecuzione turca. Ma non ne parlava mai. Come accade alle vittime delle persecuzioni di massa, aveva il cuore sigillato. Arrivò in Italia coi piedi feriti, deformati dalla lunga fuga. Io non capivo perché i suoi piedi fossero così, e perché avevamo questo cognome. Ma dov’è l’Armenia, mi chiedevano a scuola. Ancora oggi me lo chiedono. Ho amato molto papa Francesco quando ha detto che c’era stato un genocidio, ho sentito una vicinanza vera agli armeni, popolo che ha adottato per primo il Cristianesimo come religione di Stato e sulla cui terra c’è un luogo simbolico come il monte Ararat. Crescendo ho avvertito il bisogno di saperne di più. Nel sottoscala di casa a Treviso c’era un baule da non aprire mai. Nonno morì che io avevo otto anni. A 17 anni ho aperto il baule e ho scoperto la storia di due famiglie attraverso il bellissimo epistolario, 66 lettere, tra il nonno e mia nonna Laura Altan, contessina veneziana di famiglia impoverita, figlia di un pittore. Ho raccontato la storia familiare nei libri “Come l’olmo e l’edera” e “L’altra metà della mia vita”.
Compare nel film dei Taviani “La masseria delle allodole”, dall’omonimo libro di Antonia Arslan.
Quando seppi che giravano il film dissi: “Sono l’unica attrice armena in Italia e non mi chiamate?”. I Taviani risposero che non lo sapevano e mi chiesero un cameo.