L’Armenia valuta l’ingresso nell’Ue. Ma la dipendenza dalla Russia lo rende per ora impossibile (La Repubblica 18.03.24)
Sebbene il governo di Erevan lo abbia ipotizzato apertamente, il peso di Mosca nella sua economia e nel campo militare è al momento un ostacolo insormontabile per il progetto
TBILISI – L’Armenia potrebbe un giorno entrare nell’Unione europea? Lo storico alleato della Russia dai tempi dell’espansione dell’impero zarista nel Caucaso, i cui rapporti con Mosca sono oggi in profonda crisi, sostiene di star valutando persino quest’opzione. Lo ha affermato il 9 marzo il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan. Una dichiarazione a cui, martedì, ha fatto seguito una mozione approvata a larghissima maggioranza dall’Europarlamento: se Erevan, si legge nel documento, “fosse interessata a richiedere lo status di candidato, ciò potrebbe gettare le basi per una fase di trasformazione nelle relazioni Ue-Armenia”. Secondo il premier armeno Nikol Pashinyan, che ha salutato con entusiasmo la mozione di Strasburgo, la possibilità di aderire all’Ue “deve divenire un tema ampiamente dibattuto nella società”.
(afp)
Un messaggio per Mosca
Eppure, nella situazione attuale, definirla un’eventualità remota è un eufemismo. “Siamo onesti, è un bluff”, lancia Richard Giragosian, a capo del Regional Studies Center di Erevan. Per Benyamin Poghosyan, analista senior dell’Applied Policy Research Institute of Armenia, potrebbe costituire una mossa a uso interno, per sostenere il morale di una popolazione avvilita “dopo quattro anni di umiliazioni”. In ogni caso, si inserisce nel contesto di una lunga serie di azioni, non di rado semplici dichiarazioni, che segnalano la volontà armena di ridiscutere i termini della sua alleanza con Mosca. Perché, non cadiamo in errore, proprio di questo sembra trattarsi: di un complesso, delicatissimo negoziato volto ad acquisire maggiore rispetto e spazi di autonomia, senza però arrivare a una rottura. Ne è convinto Giragosian: “Siamo un Paese piccolo, debole e isolato. Non siamo così pazzi”.
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La dipendenza economica dalla Russia
Gli armeni, è noto, sono furiosi con il Cremlino, accusato di inazione di fronte alle aggressioni dell’Azerbaijan, ma la sua dipendenza dall’assai più potente vicino settentrionale è talmente radicata da rendere impossibile un divorzio privo di conseguenze che vanno dal nefasto alla minaccia esistenziale. La Russia rappresenta il più grande mercato per gli export dell’Armenia, membro dell’Unione economica euroasiatica a guida di Mosca. La subordinazione energetica di Erevan è pressoché totale. La rete ferroviaria armena è posseduta da Russian Railways. Alla Russia basterebbe muovere un dito per mettere in ginocchio il sistema produttivo armeno. “Se un governo fallisce in politica estera perdendo due guerre e poi distrugge la sua stessa economia, difficilmente riuscirà a mantenere il potere”, nota Poghosyan.
Il trattato militare
Persino più marcata è la dipendenza nel settore della sicurezza: l’Armenia, che ospita sul suo territorio una base militare di Mosca, e i cui confini con la Turchia e l’Iran sono controllati da guardie di frontiera russe, è legata al Cremlino da un trattato bilaterale di difesa, secondo cui un attacco al territorio armeno equivale a un attacco al territorio russo. “Possiamo discutere di quanto bene stia funzionando, ma è un dato di fatto che tale documento esiste”, afferma Poghosyan, che non riesce a immaginare in quale modo possa essere sostituito: “L’Ue non ha nemmeno un esercito. Gli Stati Uniti sono pronti a firmare un accordo di sicurezza con l’Armenia come quello stipulato, ad esempio, con il Giappone? Ne dubito”.
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L’avvicinamento all’Europa
Senza contare, rileva l’analista dell’Apri, che la minaccia maggiore per Erevan proviene da uno Stato membro Nato, titolare del suo secondo esercito più potente, e cioè la Turchia, alleato di ferro dell’Azerbaijan. Tuttavia, nonostante l’impossibilità di uscire dall’orbita di Mosca, il governo armeno, in sella dal 2018 a seguito di una rivoluzione pacifica che ha visto la cacciata di una classe politica incancrenita, e da allora impegnato nella democratizzazione del Paese, appare intenzionato a approfondire i legami con l’Occidente. “Ma”, ritiene Giragosian, “fermandosi prima di qualsiasi azione realmente provocatoria” suscettibile di innescare una reazione da parte di Mosca. Dall’invio di aiuti a Kiev, al “congelamento” dell’appartenenza alla CSTO (definizione priva di contenuto, ben diverso sarebbe uscirne), fino all’acquisto di armi dalla Francia, al momento la mossa più ardita dell’Armenia è stata il benservito dato alle guardie di confine russe stanziate all’aeroporto di Erevan fin dal 1992. “Non ne abbiamo più bisogno”, ha annunciato il 7 marzo il ministro degli Esteri armeno, specificando di “aver ringraziato la parte russa” per il supporto garantito finora.
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Mosca al momento ha questioni più urgenti a cui pensare, ma certo non è affatto contenta, e lo ha espresso con numerose dichiarazioni intimidatorie dirette contro l’Armenia. Tuttavia, secondo Giragosian, “i messaggeri sono importanti. Questa retorica aggressiva proviene dal portavoce presidenziale Dmitrij Peskov e dalla portavoce del ministero degli Esteri Maria Zacharova ma non dal presidente Vladimir Putin. È lui quello che conta. E il fatto che non abbia lanciato alcuna minaccia mostra che non siamo ancora arrivati al punto di una crisi pericolosa”. L’Armenia cammina sul fino del rasoio, nella sua ricerca di maggiore autonomia. Eppure, reputa il direttore del Regional Studies Center di Erevan, “non fare nulla sarebbe ancora più rischioso, siamo arrivati a questa conclusione”.