L’Armenia spolpata. Restituisce quattro villaggi all’Azerbaigian, per evitare la guerra (Huffigntonpost 20.03.24)
Il paese, non più sostenuto dai russi, torna ai confini dell’era sovietica. Baku non concede nulla in cambio, forte del sostegno turco. Il premier Pashinyan: “Non vogliamo un conflitto, so come finirebbe”. Il sogno, anche per motivi di sicurezza, resta l’adesione europea
Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha annunciato la restituzione di quattro villaggi di frontiera all’Azerbaigian come parte di un incentivo per arrivare ad una pace tra i due Stati. L’alternativa, secondo quanto affermato da Pashinyan, sarebbe una nuova serie di combattimenti nel Caucaso meridionale. L’occasione era una visita avvenuta nella giornata di lunedì presso le aree di confine nella regione del Tavush, situata nella parte settentrionale dell’Armenia e vicina ad una serie di villaggi azeri abbandonati che Erevan controlla dall’inizio degli anni Novanta. L’Armenia ritornerebbe quindi ai confini risalenti all’era sovietica. “La nostra politica è volta a prevenire una guerra, non dobbiamo permettere che inizi”, ha avvertito il primo ministro, sostenendo come l’Armenia potrebbe subire un attacco “entro la fine della settimana” se si rifiutasse di cedere i villaggi. “So come finirebbe una guerra del genere“, ha aggiunto Pashinyan, secondo quanto riportato dall’agenzia di stato russa Tass.
Avvisaglie di una possibile escalation si erano già registrate in seguito agli ultimi scontri del 12 e 13 febbraio scorso avvenuti al confine tra i due Paesi, esasperati dalla morte di quattro soldati armeni. Riferendosi al rifiuto da parte dell’Azerbaigian delle ultime proposte inoltrate dall’Armenia su una nuova demarcazione dei confini, e il conseguente raggiungimento di una pace, Pashinyan aveva giustificato tale scelta con l’intenzione “di lanciare operazioni militari in alcune aree del confine per trasformarle in una guerra su larga scala contro la Repubblica di Armenia”.
All’inizio del mese di marzo, il capo della squadra dei negoziatori dell’Azerbaigian aveva esplicitato la richiesta di restituzione “immediata” dei quattro villaggi, inabitati da trent’anni eppure di valore strategico per l’Armenia in quanto a cavallo tra la strada principale che collega Erevan con il confine georgiano. Nelle intenzioni armene, tale cessione sarebbe dovuta essere corredata da un parallelo ritiro delle truppe azere dai circa 215 chilometri quadrati di territorio armeno conquistati durante una breve invasione avvenuta a settembre 2022. Secondo Pashinyan, tale proposta è stata rifiutata.
L’evento a cui si fa riferimento riguarda gli scontri al confine tra i due Stati coincisi con la morte di quasi 300 persone, iniziata, secondo varie organizzazioni per i diritti umani e governi, incluso il Parlamento europeo e gli Stati Uniti, dall’Azerbaigian attraverso attacchi ad insediamenti ed infrastrutture civili armene. Baku aveva giustificato l’intervento additando “atti sovversivi su larga scala” da parte degli armeni al confine, consistenti nel posizionamento di mine antiuomo. Tali affermazioni non avevano però trovato riscontri. I combattimenti erano terminati con la presa, da parte delle truppe azere, dei territori sopra citati, che portarono allo sfollamento di circa 7.600 civili. L’Armenia aveva richiesto l’intervento a suo sostegno da parte del Collective Security Treaty Organization (Csto), un’alleanza militare facente capo a Mosca, la quale, tuttavia, non si era mobilitata a sostegno di Erevan.
Un preludio di ciò che era accaduto lo scorso settembre, quando l’Azerbaigian aveva lanciato una nuova offensiva volta a riconquistare la regione separatista del Nagorno-Karabakh – ufficialmente riconosciuta come facente capo da Baku, ma con una popolazione, al tempo, prevalentemente di etnia armena e un governo locale dagli stretti legami con Erevan – e il contingente di pace russo schierato, storicamente alleato dell’Armenia, si era tenuto in disparte, non interferendo nella contesa. Tale scelta era stata interpretata come una sorta di ripicca di Mosca per la volontà esplicitata dallo stesso primo ministro Pashinyan in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, di smarcarsi dall’influenza del Cremlino ambendo ad una possibile richiesta di adesione all’Unione Europea. Non a caso, in una dichiarazione pubblicata martedì sull’applicazione Telegram, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha suggerito come i legami sempre più stretti di Erevan con l’Occidente sarebbero la ragione per cui l’Armenia ha dovuto fare concessioni all’Azerbaigian.
Il Cremlino non avrà poi visto di buon occhio l’incontro, avvenuto alla fine dello scorso febbraio, tra il ministro delle Forze armate francese Sébastien Lecornu con il suo omologo armeno Suren Papikyan, tenutosi ad Erevan per discutere una più stretta collaborazione tra i due Paesi in termini di difesa militare. L’aereo di Lecornu trasportava visori notturni da consegnare all’esercito armeno e l’incontro ha portato alla firma di un contratto per l’acquisto di fucili d’assalto da parte di Erevan dall’azienda francese Pgm. L’Armenia è alla ricerca di rinnovate intese per modernizzare il suo esercito ancora eccessivamente dipendente dalle tecnologie sovietiche al fine di “ristabilire l’equilibrio militare” con l’Azerbaigian, secondo quanto dichiarato da Tigran Grigoryan, direttore del Centro regionale per la democrazia e la sicurezza di Erevan. “Questa cooperazione, che dura ormai da un anno e mezzo, è di grande importanza per l’Armenia. Abbiamo fatto progressi, il che significa che possiamo guardare alla pianificazione a lungo termine nei prossimi anni”, ha dichiarato al termine dell’incontro diplomatico Papikyan. A tali affermazioni aveva fatto eco il ministro transalpino, definendo una “priorità assoluta” il sostegno all’Armenia.
Ad esplicitare, nel caso ce ne fosse bisogno, la volontà di Erevan di raffreddare i rapporti con Mosca è stata anche la decisione, comunicata venerdì, di sospendere l’adesione al già citato Csto. In un’intervista rilasciata a Politico, il Pashinyan aveva rimproverato alla Russia proprio l’incapacità di agire come un “poliziotto” nel Caucaso. Un distacco da Mosca che rappresenta un importante punto di svolta per il Paese, che dal crollo dell’Unione sovietica ha delegato a Mosca gran parte del controllo delle sue ferrovie, del suo settore energetico, e dei suoi confini.
Il primo dispiegamento delle truppe russe nella contesa si registrò nel 2020, in quella che viene definita la seconda guerra del Nagorno-Karabakh, la quale causò più di 6,000 morti. Fu proprio la Russia a mediare il cessate il fuoco e a disporre circa 1,960 soldati all’interno della regione, anche nei pressi del Corridoio di Lachin, l’unica infrastruttura che connette il Nagorno-Karabakh con l’Armenia. Gli scontri durarono 44 giorni, con le forze azere che potevano godere anche del sostegno della Turchia. “A seguito degli eventi in Ucraina, le capacità della Russia sono cambiate”, aveva dichiarato ancora a Politico Pashinyan, riconoscendo come Mosca stesse già all’epoca cercando di evitare di alienarsi l’Azerbaigian e, di conseguenza, proprio la Turchia, essendo entrambi i Paesi divenuti di importanza strategica per il Cremlino dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
Sono quindi, ad oggi, numerosi gli attori in gioco nelle trattative di pace, inauguratesi in seguito alla riconquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, avvenuta lo scorso settembre. L’intenzione di stabilizzare la situazione, seppur biunivoca, è stata finora rallentata ed oscurata proprio dai dubbi sulla demarcazione del confine, lungo circa 1.000 chilometri, e in questo senso rientra l’ultima concessione di Erevan, che già aveva espresso la possibilità di deviare la propria rete stradale per evitare il territorio azero. Tuttavia, qualcosa sembra muoversi, e le concessioni dell’Armenia potrebbero essere la chiave per sbloccare le trattative. Potrebbe non essere un caso che nella giornata di domenica, il presidente Ilham Aliyev ha dichiarato come la pace sia “più vicina che mai” in seguito ad un colloquio con il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, avvenuto a Baku.