L’Armenia sacrificata sull’altare di Erdogan (Gente e Territorio 28.05.23)
Il grande vecchio della geopolitica mondiale, Henry Kissinger, sostiene che Russia e Cina hanno oggi motivazioni reciproche per un’alleanza strumentale, ma non sono alleati ‘naturali’ in quanto i loro interessi ed obiettivi di lungo termine in realtà collidono.
E che dire allora tra Turchia e Russia? Non c’è nessuna ragione storica, geografica, ideologica, economica che le spinga verso un abbraccio. Eppure è proprio la Turchia, membro della NATO e da sempre in bilico tra Islam e Occidente, ad offrire a Putin una sponda nel momento più drammatico della sua presidenza della Federazione Russa.
Si sa che da lunga tradizione in Russia la storia del passato viene rivisitata – a volte reinventata – per finalità politiche congiunturali. È un’attitudine tanto radicata nella cultura ‘ufficiale’ russa che tra gli oppositori delle diverse autocrazie al governo a Mosca, quelli di oggi e quelli dei secoli scorsi, gira la storiella che ‘in Russia il futuro è sempre certo, il passato imprevedibile!’ Da Pietro il Grande a Nicola I, da Stalin a Putin, ogni stagione dell’autocrazia russa si è costruita una sua storia di convenienza, propinata come verità incontrovertibile al popolo ed insegnata nelle scuole. Fino al parossismo surreale della ‘Nuova cronologia’ di Formenko, attuale storico in auge nella Mosca putiniana.
Un assunto, tuttavia, non è mai stato rivisitato o messo in discussione: l’attuale Russia è l’erede legittima e diretta dell’Impero Romano d’Oriente, Mosca è la ‘Terza Roma’, alla quale spetta la missione di restaurare la gloria e i confini di Bisanzio.
Orbene, Costantinopoli fu conquistata dai Turchi ottomani nel 1453 e ribattezzata Istanbul. Con essa cadde l’Impero Romano d’Oriente. I cristiani ortodossi fuggirono profughi verso Nord, attraverso il Caucaso, i mari Nero e Caspio e i Balcani, accolti dai fratelli russi. Iniziò così un conflitto plurisecolare tra mondo russo-ortodosso ed Ottomani musulmani che ha insanguinato quelle terre fino ai giorni nostri. La Guerra dei Balcani degli anni ‘90, conseguenza dello sgretolamento della Jugoslavia, fu anche una guerra di ‘religione’ tra Serbi ortodossi, Bosniaci e Kossovari musulmani e Croati cattolici.
Di più, in tutte le guerre tra Russia ed Europa Occidentale svoltesi dal XVI secolo ad oggi, la Turchia si è sempre alleata con l’Occidente. Tutto ciò che poteva portare all’indebolimento della Russia era sostenuto dalla Sublime Porta, e viceversa tutto ciò che indeboliva gli Ottomani era incoraggiato e supportato dalla Russia. Pur se entrambi gli Imperi, quello russo e quello ottomano – ma anche l’austro-ungarico – erano multietnici e tolleranti verso le diverse confessioni osservate nei propri immensi territori, nella storia non sono mancate, sia da una parte che dall’altra, delle vere e proprie pulizie etniche, vuoi per espellere le popolazioni islamiche dai Balcani o dal sud della Russia, vuoi per espellere quelle cristiane dalla Turchia.
L’Armenia è stata la prima nazione del mondo ad aver adottato il cristianesimo come religione di stato, nel 303 d.C., dieci anni prima dell’Editto di Costantino. I suoi confini, nel suo periodo d’oro, andarono dalle coste del Mar Nero e del Mar Caspio fino al Mar Mediterraneo che chiamiamo ‘turchese’, nell’area oggi di confine tra Turchia e Siria. Caduta Costantinopoli fu a lungo soggiogata all’Impero ottomano e, molto ridimensionata geograficamente, inglobata in esso. I Russi tuttavia non cessarono mai di guardare con occhio protettivo a questi cristiani dominati dai musulmani.
Tra il 1871 ed il ‘78 le tensioni nei Balcani, ancora parte dell’Impero ottomano, si fecero sempre più cruente e sfociarono nella Guerra Russo-Turca del ‘76-’77 conclusa col Congresso di Berlino del 1878, che sancì l’indipendenza dal dominio turco di buona parte dei Balcani. I musulmani dei Balcani, espropriati delle proprie terre, si riversarono profughi ad Istanbul e di qui furono indirizzati verso l’Anatolia, dove risiedevano gli Armeni e i Curdi. Nutrivano nel proprio animo sentimenti di rancore e di vendetta verso i cristiani che li avevano di fatto espulsi dai Balcani e furono anche aizzati dalla Sublime Porta contro gli Armeni, facendo loro ventilare che avrebbero tolto ai cristiani le loro terre per trasferirle ai profughi. Inevitabile l’esplosione di violente tensioni tra le tre componenti curda, armena e turca. Alla viglia della Prima guerra mondiale il Governo di Istanbul, guidato dai Giovani Turchi, pianificò lo sterminio degli Armeni e lo mise in atto con inaudita crudeltà tra il 1914 ed il ‘18. Fu il primo genocidio del Novecento, quello che ispirò Adolf Hitler ad emularlo verso gli Ebrei.
Nel ‘18, con gli imperi austro-ungarico e russo crollò anche quello ottomano. In Russia, con la Rivoluzione d’Ottobre del ‘17, i bolscevichi di Lenin presero il potere e fondarono l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Nel disfacimento dell’Impero ottomano, l’Armenia si rese prima indipendente, poi aderì all’Unione Sovietica. Sarà la prediletta di Stalin tra le Repubbliche Socialiste Sovietiche del Caucaso.
Infine il crollo dell’URSS nel 1992 ed il ridisegno dei confini dell’est Europa e del Caucaso. E siamo ai giorni d’oggi, guardate la cartina in alto.
Quello che resta dell’Armenia, tre milioni di abitanti, è stretto in una tenaglia tra Turchia ed Azerbaijan, che è di fatto una dependance della stessa Turchia. Tra Armenia e Azerbaijan vedete l’enclave del Nagorno Karabakh, in parte popolato da Armeni, ma su cui rivendica giurisdizione l’Azerbaijan. Così, tra Armeni ed Azeri è guerra aperta dagli anni Novanta ad oggi. Tregue più o meno lunghe si alternano a conflitti militari.
Fino allo scorso anno la Federazione Russa, a guida di Putin, ha garantito alla piccola e fidata Armenia la protezione dalle mire turco-azere; viceversa, Erdogan ha offerto protezione agli Azeri rispetto ai disegni armeni sul Nagorno Karabakh. I rovesci della sua armata in Ucraina hanno però indebolito la forza deterrente della Russia nel Caucaso – ne sta approfittando ampiamente anche la Cina – ed isolato diplomaticamente il governo di Mosca dal contesto internazionale. Erdogan è stato l’unico a mantenersi in una posizione di fatto neutrale. Non ha aderito alle sanzioni contro la Russia, ha creato divisioni e messo veti al rafforzamento della NATO ed è riuscito anche a mediare il difficile accordo sul grano ottenendo un notevole successo diplomatico.
Oggi, mentre scriviamo, in Turchia si stanno svolgendo le elezioni di ballottaggio in cui Erdogan deve guardarsi dal suo forte competitore Kemal Kilicdaroglu. Ago della bilancia sono i nazionalisti di Sinan Ogan, che hanno preso il 5% al primo turno. Nella coalizione di Kilicdaroglu, Alleanza della Nazione, ci sono anche i candidati filo PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Erdogan ha messo il veto all’adesione della Svezia alla NATO perché essa offre asilo ai membri del PKK, da lui ritenuti terroristi. È sospettabile che, in caso di vittoria di Kilicdaroglu, la Turchia possa togliere quel veto. Ovvia quindi la preoccupazione di Putin, se Erdogan fosse sconfitto oggi al ballottaggio perderebbe una sponda diplomatica e si potrebbe trovare la Svezia nella NATO senza più ostacoli.
Allora cosa fa il buon Putin? Convoca a Mosca i presidenti armeno, azero e turco e offre la pace tra Armenia ed Azerbaijan. L’Armenia deve rinunciare ad ogni pretesa sul Nagorno Karabakh in cambio della promessa turco-azera di non infierire sugli Armeni ivi residenti. Il presidente armeno Armen Sarkissiansottoscrive. È la resa dell’Armenia, che senza la tutela della Russia non ha la benché minima forza sul campo. Erdogan conclude la campagna elettorale rivendicando la vittoria in Nagorno Karabakh. Un gradito cadeau ai nazionalisti, ago della bilancia nelle urne come si è visto. Ed un assist prezioso di Putin ad Erdogan per aiutarlo a chiudere a proprio vantaggio la partita elettorale.