L’Armenia ha il diritto di difendersi dalle aggressioni dell’Azerbajgian. Non è stata girata l’ultima pagina dell’Artsakh armeno (Korazym 29.01.24)
Come abbiamo riferito (Dura condanna dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa per l’Azerbajgian [QUI]), l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha deciso lo scorso 24 gennaio di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian. Nel contempo abbiamo osservato che si trattava di una questione tra l’Azerbajgian e il Consiglio d’Europa, con cui non c’entra l’Armenia. Significativo era, che nessuno dei parlamentari Armeni sia intervenuto nel dibattito e che peraltro l’Armenia non viene neanche menzionata, quando si parla dei “promotori”.
Questo, ovviamente, non ha impedito all’organo di propaganda statale dell’Azerbajgian, Azertac, il giorno seguente affermare, che «le recenti iniziative ostili dell’Armenia contro l’Azerbajgian nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) hanno dimostrato ancora una volta che questo Paese non è interessato alla pace e al dialogo». Azertac aggiungeva ad abundantiam alla sua fake news la calunnia, che la delegazione dell’Armenia «guidava gli sforzi per bloccare l’approvazione delle credenziali della delegazione dell’Azerbajgian presso l’APCE», mentre i parlamentari armeni non sono neanche intervenuti nel dibattito il 24 gennaio. Poi Azertac sottolineava che la delegazione dell’Armenia era «guidata da Ruben Rubinyan, Vicepresidente del Parlamento armeno e figura chiave nel processo di normalizzazione dell’Armenia-Turchia». Questo, per poter rafforzare la calunnia con la menzogna: «Nonostante il discorso pubblico di Rubinyan a favore della pace e del dialogo, il suo recente coinvolgimento in questa campagna brutta e insidiosa rivela che i suoi appelli alla pace e al dialogo nella regione mancano di sincerità».
In sostegno della nostra osservazione, affermando l’estraneità dell’Armenia in riferimento al conflitto APCE-Azerbajgian, riferiamo che in un’intervista con Radar Armenia, alla domanda se ciò non è «forse un altro vicolo cieco dal punto di vista della continuazione dei negoziati armeno-azerbajgiani sulle piattaforme occidentali», lo studioso Shahan Gantaharyan ha risposto: «La decisione dell’APCE e le decisioni che verranno ancora dall’Europa non sono necessariamente dovute ai negoziati Armenia-Azerbajgian. Quanto più si approfondirà la cooperazione Baku-Mosca, tanto più forti saranno le dichiarazioni e le risoluzioni dell’Europa».
Questo certamente non vuol dire che l’Azerbajgian non continua a minacciare l’esistenza stessa dell’Armenia. Anzi, il rafforzamento della cooperazione Baku-Mosca, insieme a quella Baku-Teheran e Baku-Tel Aviv, la aggrava e quindi obbliga Yerevan a «seguire la strada dell’acquisizione di armi e attrezzature nuove e moderne», come ha affermato il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, partecipando ieri 28 gennaio 2024 all’evento festivo dedicato al 32° anniversario della formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia presso il complesso di concerti sportivi Karen Demirchyan a Yerevan.
Erano presenti anche il Presidente della Repubblica, Vahagn Khachaturyan, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Alen Simonyan, rappresentanti del potere legislativo, esecutivo, giudiziario e delle autonomie locali, le più alte cariche della Repubblica di Armenia, il Ministro della Difesa, i Vice Ministri, generali, ufficiali e militari, e gli Ambasciatori accreditati a Yerevan. All’inizio dell’evento è stato suonato l’inno nazionale della Repubblica di Armenia, dopodiché è stato osservato un minuto di silenzio in memoria degli Armeni che hanno sacrificato la propria vita per il bene della Patria.
Il Primo Ministro Pashinyan ha tenuto un discorso (foto di copertina), iniziando con l’affermazione che il ricordo del 32° anniversario della formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia «è il momento di riflettere di più, di affrontare i problemi che abbiamo nel campo della costruzione e della sicurezza dell’esercito, e anche i fallimenti. Questo confronto ci costringe a constatare che non possiamo continuare ad avere un esercito basato su standard e concetti antiquati degli affari militari, perché ciò significherebbe mettere in discussione la nostra volontà di avere uno Stato».
Nel suo discorso Pashinyan ha assicurato che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian diversi meccanismi di garanzia della sicurezza, tra cui un ritiro speculare delle truppe dall’allora confine amministrativo tra la Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e la Repubblica Socialista Sovietica azera nel 1991, confine alla base della reciproca integrità territoriale.
Secondo Pashinyan, il ritiro speculare delle truppe renderà possibile che tutti i territori della RSS azera siano sotto il controllo dell’Azerbajgian e tutti i territori della RSS armena sotto il controllo dell’Armenia: «Registro ancora una volta che la Repubblica di Armenia non ha alcun diritto su nessun territorio diverso dal suo territorio sovrano e nessuno dovrebbe avere alcun diritto su alcun territorio della Repubblica di Armenia. Come ho detto, siamo pronti a dare tali garanzie, garanzie durature e irreversibili, ma ci aspettiamo garanzie simili da altri».
Inoltre, Pashinyan ha ricordato che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian, nell’ambito della smilitarizzazione del confine, anche un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti. Pashinyan ha annunciato anche, che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian di firmare un patto di non aggressione, se dovesse risultare che la firma del trattato di pace richiederà più tempo del previsto. Infine, ha ricordato ancora una volta che la Repubblica di Armenia è impegnata nell’agenda di pace e non si discosterà da tale agenda.
Pashinyan ha affermato che le idee radicate sui sistemi di sicurezza hanno giocato un gioco disastroso nelle teste, invitando a rivedere le idee strategiche e concludendo che non c’è altra opzione per la Repubblica di Armenia se non la diversificazione delle relazioni di sicurezza: «Riformare l’esercito, avere un esercito forte e pronto al combattimento è un diritto sovrano di ogni Paese e continueremo a seguire questa strada. Un esercito forte e capace è uno dei fattori più importanti che garantiscono la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Repubblica di Armenia, ma non è l’unico fattore. Dal punto di vista della garanzia della sicurezza, vorrei sottolineare altri due fattori chiave: le relazioni estere e la legittimità delle politiche condotte dal punto di vista del diritto internazionale. La legittimità, secondo questo, dovrebbe essere il fattore più importante per garantire la sicurezza esterna dell’Armenia. Cosa voglio dire? Che la Repubblica di Armenia si identifichi con il territorio nel quale è stata riconosciuta dalla comunità internazionale. È il territorio della RSS armena, che è identico al territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Dobbiamo affermare in modo chiaro e inequivocabile che non abbiamo e non avremo alcuna ambizione per nessun altro territorio, e questa dovrebbe diventare la base strategica per garantire la sicurezza esterna dell’Armenia», ha chiarito Pashinyan.
Il Primo Ministro armeno ha fatto anche riferimento ad «una serie di dichiarazioni aggressive provenienti da diverse parti, e in particolare dall’Azerbajgian, relative alla riforma dell’esercito della Repubblica di Armenia e all’acquisizione di armi ed equipaggiamento»: «Ho già detto che avere un esercito forte e pronto al combattimento è un diritto sovrano di ogni Paese e nessuno può mettere in discussione il nostro diritto. Se qualcuno mette in dubbio questo nostro diritto, mette in dubbio il nostro diritto di esistere. In questo caso, non avremo altra scelta che difendere la nostra statualità, la nostra indipendenza, la nostra integrità territoriale con tutti i mezzi possibili e impossibili», ha sottolineato.
Onore ai Senatori francesi
Partecipando all’evento dedicato alla formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia, l’Ambasciatore della Francia in Armenia, Olivier Decotigny, ha dichiarato: «L’Armenia deve essere in grado di proteggere la sua sovranità e la sua popolazione. La Francia riprende le sue relazioni di difesa con l’Armenia e sviluppa una vicinanza strategica tra i nostri due Paesi».
Con questa sua dichiarazione, l’Ambasciatore francese ha fatto eco ai Senatori del suo Paese, che con una risoluzione adottata all’unanimità (336 voti contro 1) ha invitato il Governo ad adottare sanzioni contro l’Azerbajgian per la condotta anti-umanitaria tenuta con la guerra contro l’Armenia e in disprezzo del popolo dell’Artsakh, mentre l’Italia sta con l’Azerbalgian, osserva Bruno Scapini in un articolo Nagorno Karabakh. Una risoluzione del Senato francese tutta da imitare, pubblicato lo scorso 27 gennaio su Tempi.it [QUI].
Bruno Scapini, ex Ambasciatore dell’Italia in Armenia, riconosce il «merito ai Senatori francesi per questa loro coraggiosa posizione assunta a difesa del popolo armeno. Non sempre, infatti, si può barattare il diritto con l’interesse economico e l’etica col proprio tornaconto; e in questa prospettiva sarebbe proprio auspicabile che si potesse vedere un comportamento simile da parte dei senatori italiani ormai assuefattisi alla subalternità verso chi detta loro le regole per come comportarsi. Ma i Francesi sanno fare le rivoluzioni, lo sappiamo, e quando le fanno, le fanno in nome dei diritti!».
Invece, osserva Bruno Scapini: «Non c’è dubbio. In Italia esiste una certa vasta area della politica conformista che stenta a riconoscere e ad accettare i dettami dell’etica. Il che, tradotto in termini comportamentali, vuol dire che questi suoi esponenti pensano e agiscono in ossequio ai propri interessi e in disprezzo di ogni senso di moralità. La prova di tale deprecabile costume la rinveniamo d’altronde nella quotidianità della vita politica, nei fatti più effimeri, come in quelli che richiederebbero un esercizio di valutazione etica. Un esempio? Il voltafaccia che autorevoli esponenti del mondo politico italiano hanno adottato nei confronti dell’Armenia e del suo popolo vittima, e non lo dimentichiamo, del primo genocidio del XX secolo. Un genocidio che purtroppo perdura tuttora per mano azera anche se sotto forme diverse e con modalità differenti».
Bruno Scapini sottolinea inoltre, che «non appena la classe politica dell’ultima ora (che sia di destra o di sinistra è del tutto ininfluente) ha scoperto – sotto l’influsso delle varie emergenze e crisi energetiche – che il Paese dell’Arca di Noè non aveva nulla da offrire in cambio di questa amicizia (non disponendo di combustibili fossili), contrariamente, invece, al suo vicino di casa, l’Azerbagijan, scopertosi un giorno a galleggiare su ricchi giacimenti di petrolio e di gas», «tutto è cambiato da parte italiana», «è intervenuto il radicale cambiamento nei rapporti bilaterali» e «Italia non più equidistante»: «Se prima Roma adottava una prudenziale linea di equidistanza rispetto a Yerevan e a Baku – sollecitata peraltro dall’interesse a garantire un sostanziale equilibrio all’area caucasica, anche nell’ottica di mitigare le tensioni più che trentennali tra i due Paesi – oggi la nostra Capitale non fa mistero della propria simpatia per Baku, e anzi se ne compiace rinnegando, con proditoria inversione di tendenza, perfino verità storiche innegabili. Così Roma si ritrova oggi improvvisamente schierata dalla parte dell’Azerbaigian, ne esalta il diritto alla integrità territoriale e ne riconosce addirittura la democraticità delle istituzioni. Per contro, da parte di queste stesse forze politiche non si ammettono le gravissime violazioni dei diritti umani, le torture e gli eccidi commessi dagli azeri ai danni degli armeni, né il diritto del popolo del Karabagh, peraltro consacrato da fondamentali normative internazionali, ad aspirare ad una indipendenza peraltro resa legittima dalla legge n. 13 del Soviet Supremo del 1990 sulla secessione delle Repubbliche sovietiche e delle loro entità sub-statuali (leggi nel caso: Nagorno-Karabagh)».
La condotta anti-giuridica di Baku, deplorata dai Senatori francesi all’unanimità, è stata condannata, come abbiamo appena ricordato, anche dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nel sospendere le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian sulla base delle medesime sostanziali motivazioni: la violazione dei diritti umani e la mancanza di rispetto dello Stato di diritto da parte dell’Azerbajgian.
Bruno Scapini conclude, che la «difesa ad oltranza, e contro ogni evidenza, della riprovevole condotta di Baku svolta da alcuni circoli politici della Capitale – che porrebbe il nostro Paese fuori dal circolo delle Nazioni a più alto indice di civiltà giuridica – non potrebbe trovare altra giustificazione se non nell’abitudine di certe comparse della politica nostrana ad esaltare cinicamente il “mercimonio” come strumento dell’azione, relegando invece a mera scelta opzionale il ricorso a condotte informate all’etica, alla morale e al rispetto di quel nucleo di superiori norme universali che conosciamo come Jus Gentium. In aggiunta, è anche da sottolineare sul tema, come la stessa Corte di Giustizia Internazionale abbia ritenuto di riconoscere con ordinanza del 17 novembre scorso la responsabilità di Baku per la negazione al popolo armeno del Karabagh di diritti fondamentali. Al di là del principio di integrità territoriale – seppure citato dalla Corte in riferimento a zone occupate ma di cui era prevista da parte armena la restituzione in sede di negoziato – i giudici dell’Aja hanno condannato apertamente l’atteggiamento persecutorio di Baku richiamando la sua dirigenza al rispetto del Diritto umanitario».
Non è stata girata l’ultima pagina dell’Artsakh armeno
Contrariamente a quello che si pensa – ed alcuni sperano – l’ultima pagina dell’Artsakh armeno non è stata girata con l’attacco terroristico dell’Azerbajgian del 19-20 settembre 2023 e il successivo sfollamento forzato di tutta la sua popolazione.
In un messaggio in occasione della 32ª Giornata dell’Esercito dell’Armenia, il Primate della Diocesi dell’Artsakh della Chiesa Apostolica Armena, il Vescovo Vrtanes Abrahamyan, ha affermato, che «a causa della nostra debolezza collettiva, oggi il nostro Esercito è ferito ed è in fase di recupero»: «Ancora una volta celebriamo insieme la festa dell’esercito armeno, anche se non in un clima di festa e con piena gioia. Gli ultimi anni sono stati piuttosto difficili per l’esercito armeno e nel 2023 ha perso il suo figlio maggiore, l’Esercito di difesa dell’Artsakh. Quando guardiamo al nostro passato e cerchiamo di rivalutare la nostra rotta, sarebbe sciocco attribuire le nostre perdite e gli ultimi fallimenti della lotta nazionale solo ai nostri difensori nativi, perché l’esercito è lo specchio del popolo e mostra visibilmente la salute livello del nostro paese e della nostra statualità.
Durante le ultime guerre dell’Artsakh, abbiamo assistito a molte imprese straordinarie di soldati e ufficiali dell’esercito armeno. Ciò significherà che il potenziale del nostro esercito e la capacità di combattere coraggiosamente non sono andati perduti, ma a causa della nostra debolezza collettiva, oggi il nostro esercito è ferito ed è in fase di recupero. Pertanto, carissimi, oggi più che mai l’esercito armeno ha bisogno del nostro amore e delle nostre cure sincere.
Credendo in un futuro dignitoso e vittorioso del nostro glorioso Esercito, ci congratuliamo ancora una volta con tutti noi in occasione di questa importante festività e preghiamo affinché Dio Onnipotente rafforzi il braccio dell’esercito armeno e mantenga saldo il nostro Paese armeno».
Il 27 e 28 gennaio, su iniziativa della piattaforma Europei per l’Artsakh, si sono svolti diversi eventi in 55 città europee, tra cui una manifestazione davanti all’ufficio di rappresentanza dell’Unione Europea a Tbilisi, per iniziativa dell’Unione degli Armeni della Georgia. I partecipanti alla manifestazione hanno presentato le loro rivendicazioni, che sono state indicate sui manifesti, che sono state inviate anche sotto forma di lettera alla rappresentanza dell’Unione Europea. È stato letto anche il messaggio delle fazioni dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh ai partecipanti all’evento, che è la prova che l’ultima pagina della Repubblica di Artsakh non è stata chiusa e che la lotta per l’Artsakh libero e indipendente continua.
Nella Sala Montelupo di Domagnano, l’incontro “Armenia e Artsakh”, proposto dal Coordinamento delle Aggregazioni Laicali di San Marino. “Dopo aver vissuto tremila anni in questa terra – spiega Teresa Mykhtaryan dell’associazione “Germoglio” -, gli Armeni sono stati cacciati via dai Turchi, da Turchia e Azerbajgian”. Lo scopo della serata è accendere i riflettori sulla situazione in Nagorno-Karabakh, terra che 120mila Armeni sono stati costretti a lasciare. Una serata di ascolto e testimonianza con il giornalista Renato Farina, esperto della materia, e Teresa Mykhtaryan, responsabile Armena dell’associazione “Germoglio”. “Ci sono centinaia di monasteri e chiese che rischiano di essere distrutti dai Turchi”, aggiunge Mykhtaryan. Da San Marino, da sempre attenta alle difficoltà degli altri popoli, partono progetti per aiutare gli Armeni dell’Artsakh: a portarli avanti l’associazione “Germoglio”. “Cercheremo di aiutare famiglia per famiglia – conclude Mykhtaryan – per farli sentire meno soli. Vorrei che la gente giusta e i Cristiani del mondo aiutassero gli Armeni a tornare nella loro terra, l’Artsakh”.
L’intenzione dell’Azerbajgian di ritirarsi dal Consiglio d’Europa ricorda il ritiro nazista dalla Società delle Nazioni
L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhichevan, un’organizzazione composta da rappresentanti degli Armeni delle storiche regioni armene Gardman, Shirvan e Nakhichevan, ha invitato le organizzazioni internazionali a contrastare la crescita del “fascismo azerbajgiano” per prevenire tragedie future.
L’organizzazione ha rilasciato la dichiarazione in risposta all’intenzione dell’Azerbaigian di ritirarsi dal Consiglio d’Europa dopo la sospensione della sua delegazione all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE).
«Gli ultimi sviluppi nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la sospensione della delegazione azera sulla base di numerose violazioni e inadempimento degli obblighi fondamentali derivanti dalla sua appartenenza all’organizzazione, nonché il continuo disprezzo delle decisioni del Consiglio d’Europa, hanno causato profondo malcontento in Azerbajgian», ha dichiarato in un comunicato l’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhijevan.
«Non volendo affrontare i crimini del regime azero, i circoli pro-regime azeri interpretano questa decisione dell’APCE con false accuse di islamofobia, azerbajgianofobia e altre interpretazioni ipocrite simili. Inoltre, come alternativa alla soluzione della questione, invece di impegnarsi per una giusta eliminazione delle conseguenze dei crimini perpetrati, l’Azerbajgian sta discutendo il suo ritiro non solo dall’APCE, ma anche dal Consiglio d’Europa. Inoltre, l’Azerbajgian potrebbe rifiutarsi di riconoscere la giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Tale condotta da parte dell’Azerbajgian non è altro che un sistematico disprezzo e negligenza per le relazioni politiche, le norme accettate e convenzionali delle relazioni internazionali che si sono sviluppate nel corso di molti decenni. Più di una volta l’Azerbajgian ha affermato ad alto livello che il diritto internazionale è un “residuo del passato” su cui possono fare affidamento solo gli Stati deboli. Il ritiro dalle organizzazioni internazionali, e persino il rifiuto di riconoscere la giurisdizione dei tribunali internazionali, confermano l’ideologia e la politica perseguita dalla dittatura azera, che mira a evitare di assumersi la responsabilità dei crimini contro l’umanità da essa perpetrati e anche a garantire la continuità della impunità per le sue future azioni espansionistiche. È interessante notare che tali misure furono adottate dai regimi nazista e fascista nel secolo scorso, in particolare, si ritirarono dall’allora Lega delle Nazioni per evitare anche qualsiasi fattore formale che limitasse le loro azioni criminali. L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhijevan chiede alle organizzazioni internazionali di non consentire la diffusione del fascismo azerbajgiano e di prevenire tragedie future tenendone conto nella pratica, ricordando l’esperienza del passato».