L’Armenia guarda a ovest e valuta lo strappo con Mosca (Nicolaporro.it 23.03.24)
Gli equilibri geopolitici del Caucaso meridionale stanno subendo dei mutamenti significativi, potenzialmente in grado di sfaldare l’architettura di sicurezza post-sovietica. Da un lato, Mosca prosegue l’offensiva ai danni dell’Ucraina – non senza ostacoli, come la recente incursione terrestre dei dissidenti filo-Kiev tra le oblast di Kursk e Belgorod; dall’altro, le nazioni che orbitano nella sfera d’influenza russa manifestano il loro disappunto nei confronti del tradizionale alleato.
La svolta dell’Armenia
In un quadro segnato dall’instabilità, l’Armenia considera l’ipotesi di un graduale allontanamento dal Cremlino. Le relazioni tra Mosca e Erevan hanno mostrato le prime crepe con l’ascesa del premier Nikol Pashinyan nel 2018 e sono precipitati dopo il mancato intervento delle forze di peacekeeping russe durante l’attacco azero del settembre 2023 in Nagorno-Karabakh, un’area sottoposta al controllo dei separatisti armeni.
Il primo ministro armeno ha un obiettivo ambizioso: liberare il Paese dagli artigli dell’orso russo per spostare il baricentro della sua politica estera verso ovest. L’Armenia è infatti alla ricerca di nuove partnership strategiche e punta a una maggiore sinergia con le potenze occidentali. Sembrano lontani i tempi in cui la Repubblica caucasica si affidava quasi esclusivamente alla Russia. L’adesione formale dell’Armenia alla Corte penale internazionale (Cpi) ha certificato la clamorosa svolta, suscitando il malcontento di Mosca.
Il ritiro dall’Otsc
Lo scorso 17 febbraio Pashinyan ha annunciato di voler congelare la partecipazione dell’Armenia dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc), un’alleanza militare guidata dalla Russia che assomiglia a una “contro-Nato” (in miniatura, dal momento che include solo sei membri). Il leader di Contratto civile ha motivato la scelta denunciando l’inadeguatezza dell’Otsc nella difesa degli interessi nazionali armeni: una presa di posizione netta e incontrovertibile.
Non è un caso che a fine febbraio il ministro della difesa francese, Sébastien Lecornu, abbia fatto tappa a Erevan per sottoscrivere insieme al suo omologo Suren Papikyan nuovi accordi sugli armamenti. La Francia, che già nell’ottobre 2023 aveva consegnato all’Armenia tre sistemi radar GM-200, si è ora impegnata a fornire missili antiaerei Mistral a corto raggio per rafforzarne la capacità difensiva.
Le incognite economiche
Merita un discorso a parte l’economia. Sebbene il Pil armeno sia cresciuto del 10,5 per cento nella prima metà del 2023, l’Armenia deve fare fronte alla dipendenza dalla Russia. Il deterioramento dei rapporti tra i due Paesi risulta inversamente proporzionale alla cooperazione che hanno cementato negli ultimi decenni.
A partire dall’inizio degli anni Novanta, quando l’Armenia è diventata una repubblica indipendente, la Federazione russa figura come il principale partner del Paese nei settori del commercio, della siderurgia e della sicurezza alimentare. Per non parlare del monopolio esercitato nell’approvvigionamento energetico: Gazprom Armenia, la filiale locale della compagnia di stato russa, possiede tutte le infrastrutture di distribuzione del gas naturale in territorio armeno.
Bisogna ricordare, inoltre, che l’economia di Erevan è fortemente legata ai lavoratori emigrati in Russia, i quali spesso e volentieri rimandano i loro salari in patria. Nel 2022 i trasferimenti di denaro hanno raggiunto quota 3,6 miliardi di dollari (sui 5,1 miliardi totali entrati nel Paese). Queste circostanze sfavorevoli hanno spinto l’Armenia a valutare una diversificazione del suo sistema produttivo.
Primi passi verso l’Occidente
Il cambio di postura del governo di Pashinyan è un’opportunità che l’Europa e gli Stati Uniti non devono sottovalutare. La sua leadership illuminata (contro la guerra in Ucraina, a favore dell’integrazione comunitaria e della Nato) sta migliorando la reputazione dell’Armenia nello scenario euroatlantico.
Come scrivevo all’indomani delle elezioni in Estonia, nel marzo 2023, i popoli che hanno conosciuto la repressione sovietica desiderano vivere lontano dal regime di Vladimir Putin. Ed è grazie al mix democrazia-capitalismo che le ex repubbliche satellite dell’Urss possono coronare il sogno di affrancarsi dalla tirannide. C’è ancora molta strada da fare, ma le premesse appaiono incoraggianti.
Il futuro dell’Armenia è un gioco a somma zero. Se Nikol Pashinyan riuscirà ad avvicinare Erevan all’Unione europea e alla Nato, intraprendendo un iter di democratizzazione e di riforme, l’egemonia della Russia nella regione caucasica subirà una battuta d’arresto. Viceversa, l’Armenia continuerà ad essere vincolata alle decisioni del Cremlino senza sviluppare un indirizzo politico autonomo.