L’Armenia dopo le elezioni americane (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.11.24)
Nei rapporti Armenia e Stati Uniti non sono previsti nell’immediato sostanziali cambiamenti rispetto a quanto già avviato negli ultimi quattro anni, anche se Trump in campagna elettorale si è speso per gli armeni del Karabakh
La seconda guerra per il Nagorno Karabakh è esplosa mentre era in corso la prima presidenza di Donald Trump. Allora come adesso, gli Stati Uniti erano uno dei tre co-presidenti – insieme a Francia e Russia – del gruppo di Minsk, il cui obiettivo dichiarato era una risoluzione pacifica del conflitto.
Il peso del gruppo di Minsk era allora molto differente da oggi: dopo la svolta militare del conflitto, le fratture all’interno di questa triade per la guerra in Ucraina, e la denuncia della sua legittimità di esistere da parte dell’Azerbaijan, di fatto il gruppo esiste solo sulla carta.
Nel 2020 la situazione era differente: i triumviri lavoravano in stretta coordinazione, e il gruppo era strutturato con uno staff permanente che concordava le proprie mosse. All’esplosione della guerra la prima reazione era arrivata da Parigi, seguita da Washington e poi da Mosca, che in voce univoca avevano chiesto un immediato stop ai combattimenti.
Donald Trump aveva effettivamente negoziato un cessate il fuoco, poi però totalmente ignorato dai belligeranti, oltre a non essere stato comunicato agli stessi altri co-presidenti. La prima presidenza Trump, nel conflitto fra Armenia-Azerbaijan e l’allora secessionista Nagorno Karabakh, pareva essere al traino degli altri co-presidenti, con la Russia che era uscita dal conflitto con il ruolo protagonista di mediatore unico.
La presidenza Biden, nell’interludio fra Trump 1 e Trump 2, si è ritagliata un ruolo di sostanza nella mediazione del conflitto imprimendo un proprio marchio nell’approccio di risoluzione negoziata di un accordo di pace: essere facilitatori di incontri bilaterali.
Sotto l’auspicio dell’amministrazione statunitense uscente sono stati creati gli spazi per incontri bilaterali, senza un mediatore presente, fra le parti a differenza per esempio dell’approccio russo che vede il mediatore sempre presente e quanto concordato a triplice firma, con la Russia come garante.
Fermo restando il fatto dolente: nessuno dei tre co-presidenti è riuscito a impedire l’atto finale della guerra e l’esodo della popolazione armena del Karabakh.
I rapporti Armenia-USA (e UE)
La scelta armena di ri-strutturare la propria sicurezza nazionale con un approccio multilaterale e non esclusivo ha favorito un intensificarsi del dialogo con gli USA. Da parte statunitense c’è stata apertura in questo senso sia in via bilaterale, sia in coordinazione con i partner europei.
L’apice di questa cooperazione è stato il vertice USA-UE-Armenia del 5 aprile 2024, che ha suggellato e dato nuovo impulso ad un anno di intensi scambi diplomatici fra le parti. Per l’Armenia le istituzioni più coinvolte sono state il Primo ministro, il ministero degli Esteri e il consiglio di Sicurezza nella persona di Armen Grigoryan che ha incontrato spesso delegazioni americane e ha visitato gli States in più occasioni.
Sono stati vari i capitoli di cooperazione aperti, e di questo uno in particolare ha disturbato molto tanto la Russia quanto il suo alleato strategico (dal 2022), l’Azerbaijan: la cooperazione militare.
Da quest’anno un consigliere militare americano sarà presente in Armenia (un civile, dipendente del dipartimento di Stato, non della Difesa), come esperto incaricato di fornire consulenza nella riforma delle forze armate e del sistema di difesa. Si sono poi tenute diverse forme di esercitazioni e workshop su vari aspetti della messa in sicurezza del paese, fra le quali la Eagle Partner.
C’è poi il grosso capitolo della cooperazione e dell’assistenza economica americana. A giugno c’è stato il secondo incontro del Strategic Dialogue Capstone. Sia in via diretta, sia attraverso varie agenzie – fra cui USAID – l’amministrazione Biden ha notevolmente incrementato la disponibilità finanziaria di supporto all’Armenia. USAID, pesantemente attaccata sia a Tbilisi che a Baku ha trovato in Yerevan l’unico partner bendisposto verso i suoi rappresentanti ed interventi nel Caucaso del Sud.
Trump 2
Alcuni dei pacchetti finanziari approvati per l’Armenia si estendono per tutto il 2025, per cui è improbabile che nell’immediato ci sarà un netto cambiamento di quanto è stato avviato negli ultimi quattro anni. E la domanda ovviamente è se ci sarà un cambiamento, se si tornerà a una Washington meno pro-attiva con l’Armenia, se si continuerà nel seminato, o se si rafforzerà la cooperazione.
L’Armenia è ad oggi il paese nella regione più dichiaratamente interessato a intensificare e approfondire la collaborazione euro-atlantica. La Georgia sembra aver fatto una netta retromarcia, mentre l’Azerbaijan è interessato a incrementare la cooperazione economica, lasciando però fuori dal quadro i capitoli dei diritti umani e società civile.
L’Armenia vuole il riconoscimento delle proprie credenziali di paese che ha investito nello sviluppo democratico e del diritto, e vuole le tutele che ha scoperto – malamente – di non avere.
Il governo di Nikol Pashinyan ha un forte bisogno di ricompattare il consenso rispetto alle sue scelte, anche attraverso un sostanziale boom economico che allevi la drammatica povertà nel paese e aiuti a digerire una sconfitta militare di portata epocale.
Le congratulazioni del primo ministro armeno a sono state tempestive e benauguranti: “Le mie più sentite congratulazioni a Donald Trump per la sua impressionante vittoria come 47° Presidente degli Stati Uniti. Presidente-eletto, non vedo l’ora di lavorare con lei per costruire relazioni bilaterali strategiche Armenia-USA basate sui nostri valori, priorità e interessi condivisi.”
In campagna elettorale Donald Trump si è fatto protettore dei cristiani e ha scritto sul social network Truth : “Kamala Harris NON HA FATTO NULLA mentre 120.000 cristiani armeni venivano orribilmente perseguitati e sfollati con la forza in Artsakh [armeno per Nagorno-Karabakh]. I cristiani in tutto il mondo non saranno al sicuro se Kamala Harris sarà Presidente degli Stati Uniti. Quando sarò Presidente, proteggerò i cristiani perseguitati, lavorerò per fermare la violenza e la pulizia etnica e ripristineremo la PACE tra Armenia e Azerbaijan”.
In campagna elettorale, si sa, ogni voto conta, e solo il tempo mostrerà se questa appassionata dedizione alla causa dei karabakhi e alla pace con Baku serviva per ingraziarsi il voto armeno, o se Donald Trump è disposto veramente a portare avanti un braccio di ferro con la Russia per l’Armenia.
Il rapporto Mosca-Yerevan ha avuto a lungo caratteristiche di esclusività, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza militare. Ora che Yerevan è aperta a altre opzioni, Mosca mostra tutto il suo nervosismo, sia sull’acquisto di armi da paesi NATO che sulla collaborazione militare con Washington.