L’Ambasciatore di Armenia illustra la politica azera di falsificazione dei fatti storici e di appropriazione del patrimonio del popolo armeno (Korazym 14.02.22)
In una lettera indirizzato al Direttore del FarodiRoma, pubblicato il 24 gennaio 2022, Rahman Mustafayev, l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Francia e presso la Santa Sede, aveva proposto “di fornire ai lettori italiani e vaticani alcuni fatti” sulla storia cristiana dell’Azerbajgian. Aveva sottolineato che il suo Paese stava facendo progetti di restauro non solo nel proprio Paese, “ma anche per la Chiesa Cattolica nel mondo – a Roma, in Vaticano, in Francia e in altri Paesi”.
Il diplomatico azero si era “dimenticato” – conosciamo la memoria corta dei suoi padroni – di menzionare anche le particolari “restauri” che il regime azero sta effettuando nei territori della Repubblica di Artsakh conquistati con la guerra dei 44 giorni iniziata il 27 settembre 2020 e continua ad occupare con la forza militare [Presidente Arayik Harutyunyan: non è l’Azerbajgian, è la Turchia che combatte contro l’Artsakh. Circa 4.000 jihadisti della Syria combattendo con i turchi dalla parte azera – 28 settembre 2020]. Ne abbiamo scritto già a più riprese (vedi in fondo “Articoli collegati). Alcuni esempi con foto e filmati si possono trovare anche QUI.
Il Direttore del FarodiRoma, Salvatore Izzo, aveva risposto: «Caro Ambasciatore ospiteremo volentieri il suo articolo come abitualmente facciamo con i contributi di personalità che si offrino di arricchire FarodiRoma con i loro punti di vista».
Quindi, il FarodiRoma il 9 febbraio 2022 ha pubblicato lo scritto di propaganda e falsificazione storica dell’Ambasciatore Mustafayev, dal titolo Le radici cristiane del Caucaso. La storia della Chiesa dell’Azerbajgian [QUI].
La risposta dell’Ambasciatore dell’Armenia presso la Santa Sede non si è fatto attendere ed è stato riportato ieri, 13 febbraio 2022 sul FarodiRoma. Riportiamo di seguito il testo.
Il pericolo dell’annientamento del patrimonio storico e culturale cristiano armeno nei territori dell’Artsakh occupati dall’Azerbajgian
La politica di falsificazione dei fatti storici e di appropriazione del patrimonio del popolo armeno, presentando i monumenti armeni in Artsakh come “Albanesi caucasici”
Secondo un rapporto dell’Ufficio del Difensore dei diritti umani dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), almeno 1456 monumenti immobili della storia e della cultura armene sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian tra cui 161 monasteri e chiese, 591 croci di pietra (in armeno khachkar), siti di scavo a Tigranakert, Azokh, Nor Karmiravan, Mirik, Keren, numerose fortezze, castelli, santuari e altro ancora. Per non parlare degli 8 musei statali con 19.311 reperti e dei musei privati che sono ora sotto il controllo di Baku.
Visti i precedenti casi di deliberata distruzione da parte dell’Azerbajgian, questi monumenti sono ora in pericolo di annientamento. Oltre però alla distruzione fisica o al vandalismo, l’Azerbajgian persegue una politica di falsificazione dei fatti storici e assieme di appropriazione del patrimonio del popolo armeno, presentando i monumenti armeni in Artsakh come “Albanesi caucasici”.
La distorsione dell’identità del patrimonio armeno è non solo un tentativo di “saccheggio culturale” ma anche una grave violazione degli strumenti giuridici internazionali pertinenti. Tenendo conto delle pretese dell’Azerbajgian di discendere dagli Albanesi caucasici, presentare le chiese armene come albanesi caucasiche è, di fatto, un passaggio intermedio verso la loro “azerbaijanizzazione” [su questo tema abbiamo pubblicato l’11 febbraio 2022 l’articolo fondamentale del Prof. Igor Dorfmann-Lazarev della School of Oriental and African Studies di Londra: Azerbajgian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale].
Le migliaia di monumenti armeni religiosi e secolari nella regione sono stati eretti secoli prima della creazione dell’Azerbajgian nel 1918 e non hanno nulla a che fare con l’identità azerbajgiana. Il nome Azerbaijan, come è conosciuto oggi, fu adottato per motivi politici dall’allora partito al potere Musavate fu usato per identificare la regione adiacente dell’Iran Nord Occidentale. I tentativi di estraniare questi monumenti dal popolo armeno non hanno alcuna giustificazione storica, religiosa o morale. L’Azerbajgian ha agito allo stesso modo nei confronti dei monumenti georgiani, rivendicando come proprie alcune chiese del complesso monastico di David Gareji.
L’Albania Caucasica storica era situata a nord del fiume Kur e non includeva l’Artsakh che era, invece, uno degli stati della Grande Armenia. In alcuni periodi storici, dopo la caduta della Grande Armenia, l’Artsakh entrò a far parte della satrapia persiana albanese ma l’identità armena dell’Artsakh non venne intaccata in alcun modo, continuando a manifestarsi chiaramente sia nella chiesa che nelle dinastie dominanti dell’Artsakh. Gli albanesi caucasici che esistevano nell’alto medioevo sono sopravvissuti a circa una dozzina di popoli caucasici – tra cui gli Udi, i Lachi, gli Tsakhurs, i Rutuli, i Lezgini, ecc. – e ora vivono anche nel Caucaso del Nord, in particolare nel Daghestàn. È da notare che la popolazione dell’Albania Caucasica era composta da decine di gruppi etnici, nessuno dei quali si chiamava o aveva l’identità di “albanese caucasico”. Più tardi il termine “Albania Caucasica” fu usato per indicare l’area geografica.
Consapevole dell’infondatezza delle sue pretese sui monumenti dell’Artsakh, l’Azerbajgian ha sfruttato il fattore “Udi”, presentandoli come discendenti della cultura cristiana dell’Artsakh e contestando così l’identità delle chiese armene dell’Artsakh.
Attualmente ci sono circa 4.000 Udi che vivono in Azerbajgian. Gli Udi sono cristiani, tradizionalmente seguaci della Chiesa Apostolica Armena e, in misura minore, della chiesa ortodossa. In Azerbajgian gli Udi hanno vissuto nei villaggi di Vardashen e Nij. Anche se gli Udi sono strettamente associati alla cultura e alla chiesa armena, la loro area di residenza si trova a nord del fiume Kur, a centinaia di chilometri dall’Artsakh, e non hanno avuto nulla a che fare con la costruzione dei monumenti cristiani nell’Artsakh.
Gli Udi sono stati periodicamente oppressi. Tra il 1918 e il 1922 quando una parte emigrò in Georgia a causa delle persecuzioni. Tra il 1989 e il 1991 quando, a causa della persecuzione su larga scala degli Udi di lingua armena, la maggior parte di loro lasciò l’Azerbajgian e coloro che rimasero furono costretti a rinunciare alla Chiesa Apostolica Armena. Nel 1991 il villaggio di Vardashen venne ribattezzato Oghuz; con un atto simbolico che dimostrava come le autorità Azerbaijane non si considerassero caucasiche ma portatrici dell’identità turca dell’Asia centrale (la popolazione turca degli Oghuz arrivò nella nostra regione nell’XI secolo).
La carta “albanese caucasica” non è perciò che un mezzo per avanzare pretese sul patrimonio storico e culturale delle nazioni vicine.
Negli ultimi anni, le autorità azere si sono attivate per costituire una chiesa Udi che dovrebbe essere il primo passo verso il ripristino della “Chiesa albanese” in Azerbajgian. Il processo coinvolge funzionari ad alto livello come l’ex Capo di stato maggiore del Presidente dell’Azerbajgian Ramiz Mekhtiyev.
I tentativi delle autorità azere di impadronirsi indebitamente delle chiese armene attraverso gli Udi, come nel caso di Dadivank, non sono altro che la maliziosa manipolazione di una minoranza nazionale e religiosa vulnerabile. E gli Udi, che per decenni sono stati vittime di oppressione in Azerbajgian, sono ora costretti a collaborare con le autorità azerbajgiane proprio per impadronirsi indebitamente del patrimonio armeno.
Va inoltre osservato che l’Azerbajgian ha già sostenuto la “tesi dell’albanizzazione” per giustificare la distruzione degli khachkar (croci di pietra) armeni nel Nakhichevan, a conferma del pericolo della politica di distruzione e distorsione dei monumenti armeni. La falsa tesi scientifica di presentare l’eredità cristiana degli armeni o di altri popoli della regione come albanese caucasica non ha una seria diffusione al di fuori dell’Azerbajgian e non è accettata dalla comunità accademica internazionale. Oggi, riconoscendo la debolezza delle proprie argomentazioni, l’Azerbajgian sta ostacolando l’attuazione della missione di valutazione dell’UNESCO nella regione, poiché è ovvio che l’Azerbajgian, con la sua identità turca, non sarebbe in grado di dimostrare l’origine azerbajgiana dei monumenti altomedievali.
È un dato di fatto incontrovertibile che tutte le chiese della regione appartenessero alla Chiesa Apostolica Armena, così come le strutture ecclesiastiche e i suoi seguaci, e in questo momento i diritti della Chiesa devono essere rispettati e tutelati. Lo testimonia non solo la storiografia ma anche le migliaia di iscrizioni armene su chiese e monumenti che raccontano la storia della loro costruzione.
La dichiarazione del Ministro della Cultura dell’Azerbajgian Anar Karimov, che il 3 febbraio scorso durante una conferenza stampa ha annunciato l’istituzione di un gruppo di lavoro che sarà responsabile della rimozione ”delle tracce fittizie scritte dagli Armeni sui templi religiosi albanesi”, deve essere condannata con forza dalla comunità internazionale.
L’istituzione di un tale gruppo di lavoro a livello statale, finalizzato all’appropriazione deliberata e illegale del patrimonio storico e culturale dei popoli vicini e alla privazione della loro memoria storica, è senza precedenti persino nella storia dei conflitti. Dimostra ancora una volta che gli atti di vandalismo e distruzione del patrimonio storico, culturale e religioso armeno in Nagorno-Karabakh durante la guerra dei 44 giorni e nel periodo successivo, sono deliberati e programmati in anticipo e sono parte della politica di annientamento della popolazione armena indigena del Nagorno-Karabakh. Questa azione del governo Azerbajgiano è una palese sfida all’ordinanza per l’applicazione di misure provvisorie emanata il 7 dicembre 2021 dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite che obbliga chiaramente l’Azerbajgian a “prendere tutte le misure necessarie per prevenire e punire gli atti di vandalismo e profanazione nei confronti del patrimonio culturale armeno, incluso ma non limitato a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti”.
Alla luce della situazione attuale, l’intervento immediato e il coinvolgimento senza ostacoli sul campo degli attori umanitari internazionali, in particolare dell’UNESCO, diventa più che mai urgente per la conservazione e la prevenzione dei casi di vandalismo contro i monumenti armeni dell’Artsakh, parte integrante del patrimonio culturale universale. La politica di distruzione e distorsione dell’identità del patrimonio storico e culturale armeno e dei santuari religiosi contraddice ogni dichiarazione dell’Azerbajgian sul raggiungimento della riconciliazione nella regione e pone seri ostacoli alla creazione di una pace duratura nella regione.
Considerate le abbondanti prove della distruzione sistematica del patrimonio culturale e religioso armeno nel passato, la conservazione delle migliaia di monumenti storici, culturali e religiosi armeni sotto il controllo militare azerbajgiano costituisce un elemento importante del processo di pace. In questo contesto, la leadership azerbajgiana e la macchina della propaganda statale devono immediatamente porre fine alla riprovevole appropriazione indebita e alla distorsione dell’identità delle chiese armene mostrando, almeno, il dovuto rispetto per i monumenti culturali e religiosi.
L’appropriazione o la distorsione dei valori culturali del popolo armeno e la violazione dei diritti del popolo armeno non contribuiscono alla pace regionale. Ed è per questo che solo l’adeguata salvaguardia dei santuari e dei luoghi di culto può gettare le premesse per la pace nella regione, materialmente e spiritualmente.
Garen Nazarian
Ambasciatore della Repubblica di Armenia presso la Santa Sede