L’ambasciata di Armenia presso la Santa Sede replica alle affermazioni dell’inviato dell’Azerbaigian (Faro di Roma 28.03.23)
Pubblichiamo la replica di S.E. Garen Nazarian Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede all’intervista all’inviato del governo dell’Azerbaigian Elchin Amirbayov del 23 marzo 2023
Scrivo in merito all’intervista all’inviato del governo dell’Azerbaigian Elchin Amirbayov del 23 marzo 2023 che mostra appieno la nuova ondata di propaganda d’odio contro la Repubblica d’Armenia e il Nagorno-Karabakh.
Queste storie, progettate da Baku, vogliono fuorviare i vostri lettori per mezzo di falsificazioni ad effetto e dati diffamatori. Il cinismo con cui si compie tutto ciò è aberrante nella sua semplicità.
L’affermazione di Amirbayov secondo cui “questa diversità ha consolidato nei secoli la nostra immagine di un Paese di tolleranza, rispetto e pacifica convivenza tra persone di diverse culture e fedi…” è il coronamento di questa propaganda di stato, per non dire altro.
In primo luogo Amirbayov compie un pietoso tentativo di presentarsi come rappresentante di un paese che esiste da secoli quando in realtà le fonti storiche “aperte” sottolineano che l’Azerbaigian apparve sulla mappa del mondo solo nel 1918.
In secondo luogo i lettori di Faro di Roma hanno il diritto di sapere quello che accadde nella società azerbaijana a cui Amirbayov ha tentato di attribuire un carattere “multietnico e multireligioso”. Nel febbraio 1988, tra l’incoraggiamento da una parte e l’indifferenza criminale delle autorità azerbaijane dall’altra, si compirono i massacri degli armeni di Sumgait: centinaia furono gli armeni uccisi – inclusi bambini, donne, anziani – mentre migliaia furono dislocati con la forza e costretti con la forza a lasciare le loro case. Quei massacri, pianificati da tempo dalle autorità azerbaijane, furono eseguiti per reprimere brutalmente ogni forma di lotta civile della popolazione del Nagorno-Karabakh di vivere in pace e con dignità nella sua patria storica.
Un simile crimine di massa, compiuto per ragioni di identità nazionale, ha ricevuto una risposta globale ed è stato condannato dalla comunità internazionale, comprese le risoluzioni adottate dal Parlamento Europeo.
Ciononostante i veri pianificatori e autori del crimine non furono considerati colpevoli ma, grazie anche all’impunità e all’indulgenza di cui godettero, scatenarono una nuova ondata di armenofobia e intolleranza, con la conseguenza di nuovi pogrom e stragi di armeni a Baku, Kirovabad e in altre aree popolate dell’Azerbaijan. A seguito di questi eventi a dir poco sanguinosi, centinaia di migliaia di armeni furono costretti a lasciare in fretta le loro case, abbandonando dietro possedimenti e proprietà. Durante tutti questi anni non hanno mai potuto esercitare i loro diritti violati.
Quanto è accaduto dopo ha dimostrato che i crimini delle autorità azerbaigiane sinora raccontati non erano singoli episodi ma chiari esempi di armenofobia di matrice statale. Allo stesso tempo il loro protrarsi ha obbligato a un esodo forzato decine di migliaia di armeni delle regioni di Shahumyan e Getashen e, come risultato della Guerra dei 44 giorni del 2020, anche dalle regioni di Hadrut, Shushi e da quelle circostanti.
E 35 anni dopo i massacri di Sumgait, l’Azerbaigian ha illegalmente bloccato per più di tre mesi il corridoio di Lachin, la sola strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia. L’obiettivo di questa operazione è di sfollare i 120.000 armeni che rimangono ancora in Nagorno Karabakh. Insomma, l’Azerbaijan prosegue la sua politica di spopolamento del Nagorno Karabakh sottoponendo gli armeni del Nagorno-Karabakh ad una pulizia etnica. Per prevenirla occorre una condanna mirata da parte della comunità internazionale e, assieme, l’applicazione di meccanismi internazionali adeguati incluso quello per la prevenzione del genocidio.
Ancora oggi, ignorando le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia, l’Azerbaijan continua palesemente a distruggere, profanare e vandalizzare monumenti e luoghi di culto armeni di valore storico-culturale, con il fine di cancellare ogni traccia armena nei territori caduti sotto il suo controllo. Allo stesso tempo porta avanti ai massimi livelli la propaganda d’odio verso gli armeni, con lo scopo di impedire alle due nazioni di superare le ostilità.
Negli ultimi due anni e mezzo – dopo la guerra di proporzioni disastrose contro il Nagorno-Karabakh, iniziata nel 2020 dall’Azerbaigian con il coinvolgimento di terroristi jihadisti dal Medio Oriente – il governo armeno si è impegnato in buona fede nei colloqui con l’Azerbaijan.
Sfortunatamente, in risposta ai nostri tentativi, affrontiamo non solo l’atteggiamento sprezzante e massimalista dell’Azerbaigian durante i negoziati ma anche le azioni aggressive su campo nonostante i negoziati in corso. Di recente, il 5 marzo scorso, tre agenti di polizia del Nagorno-Karabakh sono rimasti uccisi come conseguenza di un agguato pianificato in anticipo dall’Azerbaigian. Questa azione dimostra nuovamente la mancanza di sincerità dell’approccio di Baku al processo di normalizzazione e il costante ricorso all’uso della forza.
Parallelamente a ciò, l’Azerbaigian continua a recedere dagli accordi, prosegue il suo discorso d’odio e la sua retorica xenofoba, così come rifiuta di trovare una soluzione alle questioni umanitarie come ad esempio il rilascio dei prigionieri di guerra armeni ancora in ostaggio dell’Azerbaijan. E il destino di molti altri armeni è tuttora sconosciuto.
Oltre al blocco illegale del corridoio di Lachin, l’Azerbaigian continua a terrorizzare gli armeni del Nagorno-Karabakh causando loro condizioni di vita insostenibili nella loro stessa terra con l’obiettivo finale di una pulizia etnica. E assieme alla crisi umanitaria l’Azerbaijan ha provocato una crisi energetica in Nagorno-Karabakh. Durante un inverno piuttosto rigido, le autorità azerbaijane, hanno ripetutamente interrotto, e continuano a farlo, le forniture di gas ed energia elettrica.
Le azioni e la retorica massimalista e aggressiva dell’Azerbaijan hanno dimostrato l’impellente necessità di un coinvolgimento internazionale per trattare i problemi dei diritti e della sicurezza della popolazione del Nagorno-Karabakh. E la posizione della comunità internazionale contro ogni azione e retorica finalizzate a un altro genocidio dovrebbe essere chiara; il sistema internazionale non può permettersi di subire ancora un simile fallimento.
In conclusione, nonostante i rischi e la fragilità della situazione intorno alla mia terra, dove il cristianesimo fu adottato per la prima volta come religione di stato, siamo determinati a dare il nostro contributo per creare una regione stabile dove le nostre generazioni non dovranno solo sognare di vivere in pace, fianco a fianco.
Le sarei grato se questa lettera potesse essere pubblicata e messa a disposizione dei lettori di FarodiRoma.
Distinti saluti,
Garen Nazarian, Ambasciatore d’Armenia presso la Santa Sede