La voce degli armeni nel Karabakh: “Le forze russe garanzia di pace” (Sputniknews 10.01.21)
Grigory Martirosyan, ministro della autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh (RNK), ha spiegato a Sputnik quanto tempo servirà per la ricostruzione dopo il recente conflitto, da chi le autorità intendono ottenere i finanziamenti necessari e in che modo possono essere d’aiuto i peacekeeper russi.
Martirosyan si è altresì espresso in merito alla possibilità di considerare il conflitto in Karabakh come un evento concluso e ha spiegato qual è stato l’oggetto dell’istanza che il suo governo ha presentato alla Federazione russa.
— Dopo il recente scontro armato tra Azerbaigian e Armenia la RNK ha dovuto affrontare una gravissima crisi le cui conseguenze si ritroverà a sopportare probabilmente per molti anni. In cosa consiste la vostra strategia di uscita dalla crisi? Quali sono le vostre priorità?
— In primo luogo, si noti che la Repubblica Artsakh (denominazione armena della RNK) e la sua popolazione si sono effettivamente trovati sull’orlo di una crisi umanitaria. I danni causati in esito alle operazioni militari hanno colpito anzitutto la popolazione civile e gli edifici civili: infrastrutture, immobili dei civili e altri immobili che garantivano la normale quotidianità della popolazione.
I danni causati dal nemico sono enormi. Al momento stiamo lavorando per valutare i danni in termini monetari ma possiamo già dire che tali danni sono paragonabili a diversi anni del PIL della Repubblica. I danni riguardano anzitutto settori come l’agricoltura e l’energia.Poiché buona parte dei territori in esito al conflitto sono passati al nemico o sono stati conquistati, la nostra economia è stata privata di buona parte delle terre agricole e dei siti di produzione dell’energia. Per non parlare poi degli immobili dei civili che sono stati distrutti o che non sono più in nostro controllo.
Dunque, la ripresa economica nella Repubblica richiederà ancora molto tempo. Negli ultimi anni siamo riusciti a conseguire buoni parametri economici. Ad esempio, nel 2019 il nuovo PIL pro capite era pari a 4.800$, il che è più della media dei Paesi vicini della regione. Ora chiaramente siamo costretti a ripartire dal basso. A mio avviso, ci servirà molto tempo, per non dire anni, per ripristinare i parametri che avevamo raggiunto. Ma sono sicuro che ce la faremo.
— Da quali fondi intendete attirare finanziamenti da impiegare per la ripresa economica?
— Fondi statali, fondi di beneficienza, aiuti dai membri della diaspora, ecc.
— La Russia potrebbe forse fornire un aiuto significativo in questo senso?
— Assolutamente sì. La Russia già oggi ci sta aiutando. Vorrei menzionare a tal proposito alcuni ambiti. Come dicevo, dopo la guerra tutte le principali infrastrutture della Repubblica sono state danneggiate. Siamo anche rimasti per un certo periodo senza collegamenti, gas o altra fonte di energia. Per il ripristino delle principali direttrici di approvvigionamento energetico ci sta dando un prezioso aiuto la missione russa di peacekeeping basata nell’Artsakh.
Poiché parte di queste direttrici passava nel territorio prossimo alla frontiera o in quello che al momento si trova fuori dal nostro controllo, i peacekeeper ci hanno dato un aiuto davvero prezioso nel garantire la stabilità dell’approvvigionamento e nel ripristinare operativamente i collegamenti. Ad oggi i collegamenti sono stati ripristinati in maniera totale e siamo già riusciti a garantire approvvigionamento di acqua e collegamenti esterni stabile ai cittadini.In verità, le reti interne non sono ancora completamente ripristinate, ma ci stiamo lavorando. E per farlo avremo bisogno dell’aiuto dei nostri colleghi russi.
— Quanto tempo, a Suo avviso, servirà per riportare la RNK al suo stato prebellico?
— Come dicevo i danni sono ingenti e fatico a definire delle tempistiche concrete. Il nostro potenziale è stato spazzato via per il momento. Dovremo profondere sforzi estremo per riuscire a ripristinare il nostro tessuto economico.
Dall’altro lato, alla luce delle perdite che abbiamo subito di fronte a noi si stende un foglio bianco da cui partire per sviluppare quei settori che ci consentiranno di conseguire i migliori risultati nel più breve tempo possibile. In primo luogo, lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, di nuove fonti di energia e di alcuni settori delle tecnologie dell’informazione.
Abbiamo la possibilità di sviluppare settori altamente tecnologici che non richiedono grandi risorse naturali di partenza. Siamo costretti in un certo senso a seguire questa strada perché oggi buona parte delle risorse della Repubblica è andata perduta.
— Considerati tutti questi ambiziosi piani, potremmo affermare in maniera univoca che il conflitto del Nagorno Karabakh è un ricordo del passato?
— È una questione complesso. Vorrei che fosse così. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che senza garanzie di stabilità la popolazione del Nagorno Karabakh non potrà costruirsi un futuro qui. In 44 giorni di guerra abbiamo perso tutto. Sono morte migliaia di persone. Ci sono stati feriti. E queste ferite le sentiremo nell’anima per molto tempo.
Pertanto, dobbiamo anzitutto capire che soltanto se saremo sicuri che non vi saranno ulteriori aggressioni i nostri cittadini potranno condurre una vita pacifica nella loro patria. In tal senso, chiaramente, ruolo primario lo svolgono le missioni di peacekeeping presenti in Artsakh.A Suo avviso, il numero di peacekeeper russi attualmente presenti nella RNK è sufficiente per garantire la sicurezza nella regione?
Ahimè, fatico a rispondere a questa domanda. Penso che dipenda dalla misura in cui il contingente stesso di peacekeeping stimi le proprie capacità.
— Mi permetta di riformulare la domanda. A Suo avviso, un’estensione del contingente russo di peacekeeping potrebbe essere in linea con gli interessi della ricostruzione postbellica?
— Io mi occupo di economia e, se dovessi rispondere alla Sua domanda in termini economici, potrei affermare che, a mio avviso, noi e i nostri colleghi peacekeeper stiamo facendo già tutto quello che possiamo per garantire la sicurezza e la ricostruzione postbellica.
La nostra collaborazione con i peacekeeper è a un ottimo livello e, come si può vedere, stiamo già facendo tutto il possibile.
— Dopo il recente inasprimento del conflitto in Nagorno Karabakh molte persone hanno perso la loro casa e persino ora, un mese dopo la fine della guerra, non sanno che le autorità le aiuteranno a tornare alla vita di prima. Oggi in Artsakh ci sono abbastanza alloggi per gli sfollati?
— In esito alle operazioni militari circa 35-45.000 nostri cittadini non hanno una casa. Da noi viene chi ha perso la propria casa per gli attacchi armati o perché è passata sotto il controllo azero. Buona parte di queste persone oggi si trova in Armenia.
Chiaramente, per rimpatriarli, dobbiamo essere in grado di garantire loro le minime condizioni di vita, questo è l’obiettivo prioritario del governo. A coloro che stanno tornando forniremo nel più breve tempo possibile un alloggio temporaneo. Utilizzeremo anche un fondo secondario per sovvenzionare le operazioni, useremo hotel e edifici pubblici. A tendere per risolvere la criticità dovremo costruire nuove case e appartamenti. Il nostro obiettivo è garantire un alloggio a tutte le persone che hanno manifestato il desiderio di tornare.Capiamo che per fare questo serve tempo. Probabilmente la risoluzione di questa criticità si articolerà in due fasi: la prima è la ricollocazione in alloggi di rapida edificazione, la seconda la costruzione di alloggi permanenti. Cercheremo di sfruttare tutte le possibilità a nostra disposizione.
Abbiamo chiesto aiuto anche al governo russo. Al momento stiamo discutendo la questione. Parte degli aiuti è già stata fornita: materiali edili, beni di prima necessità, coperte, ecc.
— Un’altra domanda che riguarda direttamente la ricostruzione postbellica della RNK. Nelle ultime settimane si è discusso della possibilità di aprire le comunicazioni aeree. A che punto è la situazione in questo senso?
— Questo sarebbe di grande aiuto per ripristinare la vita civile in quanto oggi c’è solamente una strada che collega l’Artsakh con il mondo esterno e si trova su un percorso piuttosto complesso. Pertanto, la comunicazione aerea svolgerebbe un ruolo significativo nel garantire la stabilità in futuro per gli abitanti della Repubblica.
Al momento non è ancora chiaro se siano disponibili finanziamenti per questo progetto. Speriamo di sì. Le speranze dei cittadini sono legate anzitutto al fatto che i peacekeeper russi riescano a instaurare una connessione aerea stabile con il mondo esterno. Tuttavia, non sono in grado di definire delle tempistiche concrete in questo senso.
— Quanto è seria ad oggi nella RNK la situazione legata alla diffusione del coronavirus? Non disponete di piani per la vaccinazione della popolazione? Il vaccino russo Sputnik V costituisce un interesse per voi?
— Oggi si ammalano di coronavirus alcune decine di persone che vengono curate in ospedale. Prima della guerra la situazione epidemiologica era sotto controllo: nessun caso letale registrato. Durante la guerra la lotta al coronavirus è passata in secondo piano.
Dopo che buona parte della popolazione ha abbandonato la Repubblica e vi è poi ritornata, qui non sono state osservate misure di contenimento. Naturalmente questo ha portato a un aumento dell’incidenza e dei casi letali.
Le risorse del nostro sistema sanitario sono limitate per garantire trattamenti all’attuale numero di malati. La questione delle vaccinazioni ancora non è stata affrontata. A mio avviso, la dovremo affrontare dopo aver constatato dall’esempio di altri Paesi che il vaccino russo è efficace. Infatti, da quello che so, in Russia la vaccinazione è cominciata da poco. Se i risultati saranno positivi, non vedo perché non potremmo valutare anche noi questa soluzione.