La tenera vicenda armena dell’orfanella di Lugano (Corriere del Ticino 24.01.19)
«Un marinaio italiano l’aveva raccolta da terra e portata con sé. Sulla nave non poteva tenerla, e l’aveva ceduta a uno svizzero, che l’aveva a sua volta affidata a un orfanotrofio di Lugano. Ma lei aveva tante paure nel cuore, non sopportava né mura né disciplina: e allora aveva seguito, d’istinto, lo spazzacamino bambino – di poco più grande di lei, ma già esperto della durezza del mondo – che le aveva sorriso». C’è incanto natalizio e profumo ticinese nel racconto «L’orfanella di Lugano» che Antonia Arslan ha inserito nel suo ultimo lavoro, «La bellezza sia con te» (Rizzoli). Ci sono disperazioni e speranze, smarrimenti, ritrovamenti, sconforti, amori. Tutto il volume, del resto, propone storie piccole, minime, di donne e uomini magari insignificanti nel quadro universale ma grandi, resistenti, resilienti nella loro quotidianità. Oltre le pagine, s’intravede il volto sorridente della scrittrice che al tavolo di lavoro della sua antica casa porticata ricerca, ricorda, immagina, inventa, scrive impegnata – da anni, da sempre – a pedinare le memorie e le tradizioni, a scavare le radici armene sue e del suo popolo, a farne rivivere le nostalgie, a illuminarne la diaspora. Come nella tenera vicenda di Lena, «un’orfana, l’unica sopravvissuta di una famiglia armena di Smirne. Durante l’incendio della città, nella confusione della gente in fuga, intrappolata tra le fiamme ed il mare, aveva perso la mano di sua madre ed era stata trascinata via dalla folla». Di mano in mano, di persona in persona, la piccola arriva dunque in Svizzera. E si collocano appropriatamente la sua traversia, il suo viaggio, in quella sezione del libro chiamata «Destini di donne». La nuova opera, raccolta di materiali anche non completamente inediti, consente al lettore di riassaporare intatte le caratteristiche che hanno reso amabile e godibile la scrittura della Arslan. Il suo romanzo «La masseria delle allodole» è diventato un successo proposto in venti lingue e un film dei fratelli Taviani. Si può fare affidamento, dunque, sulle parole piane, sulle proposizioni chiare, sull’incedere tranquillo e placido e sereno pure nei contenuti drammatici, nei momenti tragici, nei passaggi difficili della narrazione. Quanto alle trame, è ormai costante che sgomitolando intrecci e relazioni riescano a divertire e a fare riflettere, a stupire e a dare modo di meditare, a intrattenere e a realizzare funzione educativa: insomma a veicolare, con il gusto per la conoscenza e per la lettura, il pensiero che esistano sempre ragioni di fiducia anche all’interno dei disastri individuali e collettivi, nei periodi bui personali e sociali; che vi sia una qualche utilità in dolori, addii, strazi, dispersioni, esili. Serve però il crederci, la forza spirituale di scommetterci, la robustezza cardiaca di perseverarci. «Nel cuore dell’uomo la speranza è come una fiammella» scrive Antonia Arslan. «Uno dei più grandi peccati contro lo spirito avviene proprio quando viene cancellata o spenta. Ci vuole molto coraggio per cercare sempre di vedere – come si dice – il bicchiere mezzo pieno, per osare la ricerca del cane che salva l’uomo e non di quello che lo azzanna. Eppure quante fiammelle esistono nel mondo, vibrando e oscillando in angoli che sembrano oscuri, cacciando le ragnatele dai cuori più gelidi, illuminando tenebre e oscurità!». Così l’Armenia, patria perduta, diventa terra promessa.