La Siria: modello di dialogo culturale e interreligioso (di don Salvatore Lazzara) (Farodiroma.it 14.12.18)
In Siria, per secoli si sono avute relazioni armoniose tra la comunità Cristiana e Musulmana. La Siria, è un luogo unico che offre al mondo l’esempio di pacifica convivenza e tolleranza tra i seguaci di diverse religioni. I conflitti armati che in tempi recenti hanno minacciato la pace e la stabilità per l’intero Medio Oriente, hanno tentato di rompere questo modello osmotico di convivenza. Non ci sono riusciti. La comunità cattolica e cristiana in Siria, è desiderosa di dare il proprio contributo allo sviluppo della vita nazionale. I cristiani sono parte integrante del paese, e senza di essi verrebbe a mancare il sale che ha dato sapore alla cultura e alla stabilità della Siria.
I cristiani e i musulmani, devono continuare a promuovere il rispetto autentico della dignità della persona umana. La guerra purtroppo, ha creato sospetti, ma solo a partire dal riconoscimento della centralità della persona e della sua dignità, rispettando e difendendo la vita, che è dono di Dio e che quindi è sacra -sia per i cristiani che per i musulmani-, solo a partire da questo riconoscimento è possibile trovare un terreno comune per costruire un mondo più fraterno, un mondo in cui i contrasti e le differenze vengano risolti in maniera pacifica e in cui la forza devastante e distruttrice delle ideologie venga neutralizzata. Nella guerra in Siria, “il terrorismo si è trasformato in una rete sofisticata di connivenze politiche. Si tratta di vere organizzazioni dotate spesso di ingenti risorse finanziarie, che elaborano strategie su vasta scala, colpendo persone innocenti, per nulla coinvolte nelle prospettive che i terroristi perseguono. Adoperando i loro stessi seguaci come armi da lanciare contro gli inermi, queste organizzazioni terroristiche manifestano in modo sconvolgente l’istinto di morte che le alimenta.
Il terrorismo nasce dall’odio e genera isolamento, diffidenza e chiusura. Il terrorismo si fonda sul disprezzo della vita dell’uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia politica ed economica, un vero crimine contro l’umanità. Chi uccide con atti terroristici coltiva sentimenti di disprezzo verso l’umanità, manifestando odio nei confronti della vita e del futuro: pertanto tutto può essere violentato e distrutto. Il terrorista ritiene che la verità in cui crede o la sofferenza patita siano talmente assolute da legittimarlo a reagire distruggendo anche vite umane innocenti. Nessun responsabile delle religioni, deve avere indulgenza verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare. È profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far violenza all’uomo in nome di Dio. La violenza terrorista è contraria alla fede in Dio Creatore dell’uomo, in Dio che si prende cura dell’uomo e lo ama”.
L’integralismo religioso portato dai gruppi jihadisti, non ha nulla a che fare con la convivenza pacifica tra le Fedi che si respira in Siria. Il tentativo di leggere la guerra come il risultato del deterioramento dei rapporti tra cristiani e musulmani, non ri-sponde alla Verità. Nonostante il fragore delle armi, la gente ha continuato a vivere in pace tra mille difficoltà e incomprensioni. Certo, ci sono tante ferite da rimargina-re, ma il sentimento religioso che parte dal rispetto dell’uomo sanerà le sofferenze e i dolori. Durante la Missione in Siria, ho visitato la città di Latakia. In città e nella periferia, si trovano diversi luoghi di culto frequentati indistintamente da cristiani e musulmani. Ho avuto la possibilità di recarmi al santuario Alauita del luogo, conosciuto con il nome di Margarges. In questo centro, musulmani e cristiani si raccolgo-no in preghiera per i caduti della guerra contro il terrorismo, o semplicemente per meditare e trovare uno spazio silenzioso per mettersi in contatto con Dio. Nei quadri appesi ai muri, sono fissate le foto dei “martiri” (soldati), ma anche dei semplici civili che hanno perso la vita durante la guerra. E’ un luogo di pace e di riconciliazione. Da questi posti, è possibile ripartire per garantire al popolo siriano pace e prosperità. Senza memoria, non è possibile costruire il futuro.
Nella zona, l’etnia dominante è quella Alawita, anche se report riportano una composizione etnica a favore, seppur di pochi punti percentuali, dell’etnia sunnita. Questa valutazione demografica è dovuta al fatto che nell’area amministrativa (Governatorato) di Latakia è compresa tutta una serie di cittadine ad ovest del fiume Oronte, ma prossime ormai ai grandi centri urbani sunniti di Ibdil, Hama e Homs. Se però noi consideriamo la regione Alawita, l’area che arriva al crinale delle montagne che divide il bacino dell’Oronte dei fiumi minori che sfociano direttamente nel mediterraneo, ecco che la regione risulta composta da oltre il 72% di popolazione Alawiti. Chi sono gli alawiti? Sono un gruppo religioso mediorientale diffuso principalmente in Siria. Alauita è Assad, l’attuale presidente siriano, così, come prima di lui, suo padre Hafiz al-Asad. Gli alauiti si fanno chiamare ʿAlawī, per mostrare la loro reverenza ad ʿAlī, cugino e genero del profeta Maometto. Secondo alcune fonti essi erano in origine dei Nusayri, un gruppo che spezzò i legami con gli “sciiti duodecimani” nel IX secolo. Oggi gli alauiti, pur essendo appena il 20% dell’intera popolazione siriana, costituiscono una minoranza religiosa assai influente dal punto di vista politico.
A Latakia, è presente una fiorente comunità Armena, che è stata messa duramente alla prova durante gli anni della guerra. IL 21 marzo del 2014, dal confine turco arrivarono i terroristi dell’ISIS e del fronte Al Nusra che bombardarono Kessab, costringendo l’intera popolazione a fuggire ed a cercare rifugio nella vicina Latakia. L’esercito turco, che presidiava il confine a pochi chilometri da Kessab, non solo la-sciò passare le bande armate, ma addirittura, secondo molti testimoni oculari, li ap-poggiarono con l’artiglieria ed i blindati. Ho visitato la zona di Latakia dove vivono gli armeni. Luogo di pace e di memoria. I leader politici e religiosi hanno il dovere di assicurare il libero esercizio dei diritti umani fondamentali nel pieno rispetto della libertà di coscienza e della libertà di religione di ciascuno. La discriminazione e la violenza che ancora oggi i credenti sperimentano in tutto il mondo e le persecuzioni spesso violente di cui sono oggetto sono atti inaccettabili e ingiustificabili, tanto più gravi e deplorevoli quando vengono compiuti nel nome di Dio. Il nome di Dio può essere solo un nome di pace e fratellanza, giustizia e amore. Le religioni sono chia-mate a dimostrare, con le parole ma soprattutto con i fatti, che il messaggio della fe-de, è indubbiamente un messaggio di armonia e di comprensione reciproca.