La misteriosa forza del monte Aragats (nationalgeographic.it 11.01.18)
In Armenia il profilo del monte Aragats si erge verso l’alto stagliandosi nel cielo: un massiccio vulcanico con quattro vette che si innalza dalle pianure e dai fiumi che ne circondano la base. La montagna è più che una semplice presenza fisica, è anche un simbolo divino. Si ritiene che Gregorio Illuminatore, il santo patrono dell’Armenia che ha convertito il paese dal paganesimo al cristianesimo nel IV secolo, sia stato irradiato dalla luce di una lanterna sacra mentre pregava in quel luogo, un segno di purezza eterna.
Mentre la religione si radicava all’ombra dell’Aragats, la vita quotidiana procedeva. Nuovi villaggi venivano fondati da contadini e pastori. E alla metà del secolo scorso l’Unione Sovietica ha stabilito qui alcune delle sue più importanti istituzioni scientifiche.
Decenni dopo i suoi ripidi fianchi ospitano un vecchio osservatorio astronomico, che era un tempo il cuore del programma di ricerca sovietico e la sede della Divisione per la ricerca dei raggi cosmici, che sorge quasi sulla sommità del monte.
Come gran parte del paesaggio globale, anche l’Aragats è minacciato dal cambiamento climatico, con la sua cima nevosa e i suoi ghiacciai che vanno lentamente assottigliandosi.
E’ stato questo aspetto della montagna a colpire per la prima volta l’interesse del fotografo britannico Toby Smith. Sostenuto parzialmente dal Project Pressure, un’organizzazione no profit che si occupa di documentare l’andamento dei ghiacciai, e grazie ad un fondo del Luminous Endowment for Photographers, si è impegnato a documentare in che modo i cambiamenti climatici stanno mettendo a repentaglio la vita delle comunità che ancora vivono sull’Aragats.
Smith aveva pianificato il suo viaggio per l’estate scorsa, quando non solo sarebbe riuscito a salire facilmente, ma avrebbe potuto anche documentare la quantità di perdita di neve sulla vetta. Ma, come capita spesso, per una serie di contrattempi, non ha potuto mettersi in marcia prima di novembre, “un periodo in cui stare in cima ad una montagna, con freddo intenso e condizioni meteo estreme, non è certo una buona idea”.
L’occasione per l’ascesa è capitata il giorno del suo arrivo per un soggiorno di due settimane nel paese. La sua guida locale, Mkhitar Mkhitaryan, lo ha prelevato all’aeroporto è insieme si sono avviati subito verso la montagna, cercando di salire il più alto possibile in auto prima di accamparsi per la notte in vista della salita del mattino successivo.
Per arrivare in cima ci sono volute due ore dopo essersi messi in marcia vero le 3. Quando sono arrivati, la visibilità era limitata per colpa delle ripetute nevicate. Non sono rimasti a lungo in vetta, in tutto pochi minuti, ma Smith ha scattato una foto di una croce gelata sulla cima della montagna prima di riscendere a valle. Quella croce è una delle sue immagini preferite, dice, in quanto rappresenta una parte del progetto che ha iniziato a rivelargli se stesso, mano a mano che scopriva un maggior numero di cose su questo paese misterioso.
Il progetto di Smith, che ha intitolato “Heaven and Earth on Aragats” (Paradiso e Terra sull’Aragats), alla fine si è rivelato essere non tanto sulla ritirata dei ghiacciai, quanto sul venir meno delle possibilità di sostentamento delle persone che dipendono dalla montagna.
L’Aragats ha uno strano modo di unificare le persone che provengono da diversi percorsi di vita, ma di cui scalda ugualmente i cuori e le menti.
“I pastori non hanno molto a che fare con i medici e i medici non hanno molto a che fare con i luoghi religiosi”, dice Smith. “E’ la montagna a tenere tutto insieme”.