La grandezza del popolo armeno che invia aiuti al nemico turco (Tempi 14.02.23)
Da 30 anni nessuno attraversa il confine tra Armenia e Turchia. II valico del comune di Margara e il ponte stradale che permette di attraversare il fiume Aras fino all’altopiano anatolico è sempre deserto. Sabato però cinque tir con 100 tonnellate di cibo, medicine, acqua e aiuti umanitari sono partiti da Erevan e hanno attraversato il confine per raggiungere le zone più colpite dal terremoto, dove già opera una squadra di soccorritori armeni.
L’Armenia va in soccorso della Turchia
«Siamo felici di aiutare», ha dichiarato il vicepresidente dell’Assemblea nazionale armena, Ruben Rubinian, mettendo da parte per un giorno tutti i validi motivi per cui quei tir, secondo la logica umana, non sarebbero mai dovuti partire.
Non è infatti solo il genocidio armeno a dividere i due paesi. Non sono solo quel milione e mezzo di armeni sterminati tra il 1915 e il 1923 sotto l’Impero Ottomano in disfacimento, guidato dal partito ultranazionalista dei Giovani Turchi, a formare una invalicabile barriera di inimicizia tra i due popoli.
È la pervicace negazione del genocidio da parte della Turchia a impedire che si ristabiliscano rapporti fraterni tra i due popoli. È l’appoggio armato fornito da Ankara all’Azerbaigian a partire dagli anni Novanta, durante le guerre di aggressione di Baku contro gli armeni, quasi a voler completare l’opera iniziata dagli antenati della moderna Turchia 108 anni fa, a impedire ogni riavvicinamento. È l’appoggio diplomatico assicurato dal presidente Recep Tayyip Erdogan al regime di Baku, che dal 12 dicembre con il blocco del Corridoio di Lachin cerca di affamare i 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh, a rendere impensabile ogni dialogo.
«Ricorderò sempre l’aiuto del popolo armeno»
Eppure, davanti al terremoto che ha devastato la Turchia, davanti alle 31 mila vittime (e il conto è ancora parziale) rimaste sotto le macerie, davanti alla comune umanità sanguinante e sofferente, l’Armenia ha messo da parte tutte le comprensibili ragioni di inimicizia che la dividono dalla Turchia e ha inviato centinaia di tonnellate di aiuti. Quegli stessi aiuti che l’Azerbaigian, con il sostegno della Turchia, impedisce a Erevan di inviare agli armeni residenti nel Nagorno-Karabakh.
È un gesto semplice, e grandioso, che ha fatto reagire così Serdar Kilic, inviato speciale di Ankara in Armenia: «Ricorderò per sempre il generoso aiuto inviato dal popolo armeno per contribuire ad alleviare le sofferenze del nostro popolo nelle regioni colpite dal terremoto».
L’Occidente impari dall’Armenia
Non è l’Armenia ad aver chiuso il confine con la Turchia. È Ankara che si è sempre rifiutata di avere rapporti con gli armeni per isolare Erevan dal punto di vista internazionale e per costringerla con la forza a rinunciare al Nagorno-Karabakh, formalmente appartenente all’Azerbaigian ma storicamente armeno.
In un momento di gravissima crisi con l’Azerbaigian, la mano tesa dall’Armenia alla Turchia è anche utile dal punto di vista politico e diplomatico. Ma questo non toglie nulla alla sua magnificenza. L’Armenia è il primo paese cristiano della storia e ha pagato e sofferto per questo lungo i secoli. Facendo suo in modo inaspettato il famoso insegnamento del Discorso della montagna («Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano»), la piccola Armenia ha confermato la sua grandezza.
Chissà che questo gesto di enorme generosità non possa aprire gli occhi a Turchia e Azerbaigian. E chissà che non possa servire da lezione anche all’Occidente, che davanti al disastro causato dal sisma in Siria ancora si rifiuta di togliere le sanzioni unilaterali al paese, abbandonando un popolo alla disperazione e alle macerie.