La Germania riconosce il genocidio armeno (Gariwo 07.06.16)
Il due giugno il parlamento tedesco, il Bundestag, ha riconosciuto il Genocidio armeno. Lo ha fatto con una larghissima maggioranza – un astenuto e un solo voto contrario – che la dice lunga sul sostegno politico condiviso da governo e opposizione a quest’iniziativa. E questo nonostante le notevoli resistenze interne, le pressioni della Turchia e i continui rimandi che – per molto, troppo tempo – hanno posticipato l’approdo al parlamento di Berlino di questa mozione, attesa già per il 2015, anno del centenario del Genocidio.
Alla base di questa iniziativa, un documento di cinque pagine scritto da parlamentari dei due partiti di governo (la CDU di Angela Merkel e l’SPD) e dei verdi. Un testo importante, perché non solo definisce in modo ripetuto e inequivocabile gli eventi del 1915 come Völkermord (in tedesco: «Genocidio») – parola che compare inoltre nel titolo – ma anche per l’ammissione esplicita del ruolo svolto dalla Germania in quei massacri. Riprendendo quanto affermato dal presidente tedesco Joachim Gauck lo scorso anno, la risoluzione parla della «complicità del Reich tedesco in quegli eventi», del suo «ruolo inglorioso». Una responsabilità messa in luce dagli storici, negli ultimi anni, in modo sempre più evidente, e che va riconosciuto il merito alla Germania di aver oggi ammesso, seppur tardivamente.
Una decisione per alcuni tratti sofferta e non priva di conseguenze imprevedibili per la politica tedesca, ma che è il punto di arrivo di un lungo percorso di maturazione. Un riconoscimento importante in primo luogo, naturalmente, per gli armeni di Germania e tutto il mondo, che dopo le tante reticenze del passato vedono ora affiorare un tassello di una storia a lungo dimenticata, riemersa solo di recente dopo decenni di assordante silenzio. Non si tratta solo, beninteso, di una vittoria degli armeni, ma di tutti coloro che hanno a cuore la giustizia e la verità storica, di coloro che non sono disposti più a cedere ai ricatti della Realpolitik per mettere a tacere la coscienza e la memoria di uno degli eventi più tragici del XX secolo.
Un riconoscimento che ha destato reazioni molto forti da parte della comunità turca in Germania e soprattutto del governo di Ankara, sulla china di una deriva autoritaria sempre più marcata. Ma è anche vero che, in Germania come in Turchia, va riconosciuto il merito a moltissimi turchi di essersi battuti per una causa ancora perlopiù impopolare, rischiando spesso in prima persona. Politici, intellettuali, scrittori e artisti che oggi non hanno più alcun timore di dichiarare pubblicamente il loro supporto alla causa armena, andando spesso contro il proprio interesse personale e contro l’opinione prevalente nella loro società.
Ricorderemo qui, fra i tanti, quello che è stato il maggior protagonista del riconoscimento del Genocidio armeno al parlamento tedesco. Ci riferiamo al giovane leader dei verdi Cem Özdemir. Figlio di genitori turchi di origine circassa – popolo che fu coinvolto anch’esso in un Genocidio su cui è gravato, e ancora grava, un lunghissimo silenzio – Özdemir ha ricevuto in questi giorni continue minacce di morte a causa del suo impegno per la causa armena. Un impegno che l’ha portato lo scorso anno a visitare Yerevan, per prestare omaggio – nell’anno del centenario del Genocidio – alla memoria delle vittime del 1915. Politico poliglotta e coltissimo in materia di politica estera – come non ne abbiamo purtroppo in Italia – Özdemir ha ancora una volta deciso di metterci la faccia, laddove ad esempio Angela Merkel, il leader dell’SPD e suo vice Sigmar Gabriel e il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier (in viaggio in America Latina) hanno preferito evitare di prendere parte al voto al Bundestag.
Un riconoscimento simbolico importante, che va ad aggiungersi ad altre iniziative recenti in questo senso. Basti pensare alle dichiarazioni di papa Francesco lo scorso anno, ma anche al riconoscimento del Genocidio armeno di Austria e Lussemburgo. Eppure, e non possiamo dimenticarlo, l’Armenia di oggi è sempre più sola, e ai riconoscimenti – belli e giusti – del suo passato, non corrisponde oggi alcun supporto a quel piccolo Paese che, contro vicini più grandi e potenti, porta avanti con fatica l’eredità di una nazione di cui è solo un frammento, anche se assai importante: quello sopravvissuto all’esperienza sovietica. Ad aprile, nella guerra infinita che si trascina fra Azerbaigian e Armenia, si sono avuti oltre trecento morti – civili inclusi – in pochi giorni di combattimenti.
Sempre più soli sono anche gli armeni di Siria, discendenti di sopravvissuti al Genocidio del 1915, che insieme ai musulmani e alle altre minoranze del paese stanno pagando sulla loro pelle quella che è forse la più grande tragedia seguita al secondo conflitto mondiale: la guerra in Siria. Una tragedia che una bulimia mediatica sempre più invadente ci impedisce ormai di vedere in giusta luce, lasciandoci freddi e passivi quando – ora più che mai – sarebbe tempo di agire.
Mentre si scoprono, finalmente, pagine di dolore dimenticate e sepolte per oltre un secolo, nuove pagine di sangue si scrivono accanto a noi, e sotto i nostri occhi. Che la luce del passato illumini il presente e il futuro, è oggi la nostra speranza più grande.