La battaglia per la sopravvivenza e la libertà di espressione della comunità armena di Gerusalemme (Globalvoices 21.12.23)
Nel cuore della Città Vecchia di Gerusalemme la comunità armena, famosa per la sua resilienza e la sua preziosa e secolare eredità culturale, sta combattendo una dura lotta per la sopravvivenza. Con l’inasprimento delle tensioni a livello regionale, la comunità è alle prese con delle sfide che mettono in pericolo non solo la libertà di espressione dei suoi membri, ma anche il loro dialetto distintivo, unico a Gerusalemme e ora sull’orlo dell’estinzione, oltre alla loro ricca cultura ed esistenza stessa.
Nel luglio 2021, il Patriarcato armeno di Gerusalemme aveva firmato con discrezione un contratto di compravendita immobiliare, cedendo il 25 per cento del proprio quartiere a un colono e investitore israelo-australiano. Ciò ha gettato la comunità armena in crisi, portandola ad affrontare la minaccia imminente della perdita di una porzione significativa [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] del proprio quartiere.
Mentre la comunità sospendeva temporaneamente i procedimenti avviati a seguito della scoperta di tale accordo, avvenuta nel maggio 2023, le ruspe, accompagnate da coloni israeliani armati, avevano già avviato lo scavo del parcheggio che circonda il monastero del Patriarcato apostolico armeno di Gerusalemme.
La minoranza etnolinguistica armena è presente [it] in Terra santa sin dal quarto secolo, con una storia che comprende l’aiuto prestato ai sopravvissuti al genocidio armeno del 1915. Dopo la guerra del 1948, la popolazione armena di Gerusalemme si è ridotta agli scarsi 2000 residenti attuali, che vivono per la maggior parte all’interno del quartiere armeno [it].
Il sito ospita il seminario teologico del Patriarcato, la confraternita di San Giacomo, antiche chiese, un museo, una biblioteca, un poliambulatorio e la scuola armena Sts. Tarkmanchatz, fondata nel 1929. In questa scuola, i bambini armeni non solo imparano la propria lingua, ma vengono anche coinvolti in attività all’interno del cortile: uno spazio di cruciale importanza, nel quale la comunità si riunisce, conversa nella propria lingua madre e salvaguarda la propria identità culturale.
Global Voices ha condotto un’intervista con un residente armeno di Gerusalemme, il quale ha scelto di restare anonimo per questioni di sicurezza legate alla guerra in corso a Gaza e alla minaccia affrontata dal quartiere armeno.
L’intervista approfondisce il clima politico e di sorveglianza a Gerusalemme, gettando luce su questioni quali discriminazione, discorso d’odio e le crescenti limitazioni alla libertà di espressione.
L’intervista, di cui il residente è co-autore e che è stata revisionata per maggiore chiarezza, offre un prezioso sguardo sulle sfide che la comunità armena si trova ad affrontare nel tentativo di preservare la propria lingua e identità culturale nella regione.
Mariam A. (MA): Come state affrontando la situazione di Gerusalemme e Gaza?
Armenian Resident (AR): È davvero difficile. La situazione attuale a Gerusalemme, il genocidio in corso a Gaza, e il fatto che ci sentiamo paralizzati e incapaci di fare qualcosa contribuisce ad accrescere questo schiacciante senso di impotenza.
Ciò che mette maggiormente in difficoltà gli abitanti non ebrei di Gerusalemme è il fatto che ci abbiano vietato di esprimere qualsiasi tipo di compassione o preoccupazione. Siamo testimoni di uno stato di sorveglianza completa, di una città militarizzata, con gran parte dei civili [ebrei] armati di fucile, e di un’aumentata presenza di agenti di polizia e soldati che pattugliano la città.
Si ha costantemente paura di essere fermati in qualunque momento, col rischio che ti prendano il telefono e che le forze di sicurezza analizzino i suoi contenuti.
Ho controllato la legge sullo stato di emergenza, e dice che le Forze di difesa israeliane (IDF – Israel Defense Forces) hanno il diritto di accedere a spazi privati, comprese le case, o di passare in rassegna i beni personali in caso di sospetti. Questa disposizione legale legittima tali azioni.
Essendone consapevoli, le persone stanno cercando di monitorare non solo le proprie parole, ma anche i propri pensieri, temendo di mettersi potenzialmente in pericolo qualora sappiano più di quanto viene giudicato accettabile sulla situazione attuale.
Direi che al momento siamo in uno stato di paranoia.
MA: Si sono verificati episodi in cui dei membri della comunità sono stati fermati e controllati, e durante i quali i loro telefoni sono stati confiscati?
AR: Sì, ho assistito a vari episodi mentre camminavo in diverse parti della città. Fermano ragazzi perché sospettati di essere arabi, perquisendoli a fondo e controllando anche i loro telefoni.
So di casi particolari che hanno coinvolto giovani studenti, sia uomini che donne, ai quali sono stati presi i telefoni. Se vi trovavano messaggi o post sui social media che esprimevano compassione o preoccupazione per la situazione attuale, gli studenti venivano trattenuti.
MA: Credi che la comunità armena sia influenzata dalla mentalità della sorveglianza, o ti sembra che ne siate immuni?
AR: Nessuno ne è immune. Ciò a cui abbiamo assistito, non solo durante questa guerra ma persino prima, è la tendenza ad enfatizzare il fatto che ci troviamo in una città esclusiva e in un paese esclusivo. Una marea di persone, soprattutto giovani, urlano con arroganza dei cori che parlano di uno stato soltanto ebreo, affermando che lo stato di Israele è questo.
La cosa triste è che questa ondata di fanatismo non riconosce la diversità; la pericolosità di tale pensiero consiste nel mancato riconoscimento degli individui non ebrei per quello che sono, focalizzandosi invece su ciò di cui non fanno parte. Non riconosce gli armeni, i cristiani, i palestinesi, che tipo di musulmani sono, hanno delle famiglie? Hanno degli animali domestici?
Questa tendenza classifica le persone come qualcosa che non appartiene a qualcos’altro. Quindi la loro identità non viene nemmeno vista come tale. Viene negata.
MA: Considerando questo scenario politico, come se la sta passando la libertà di espressione della comunità armena? Pensi che la comunità possa esprimere apertamente le proprie opinioni e identità?
AR: Buffo che tu lo chieda. Abbiamo discusso molto di questa particolare questione all’interno della comunità armena. A partire dal genocidio del 1915, gli armeni sono stati una minoranza in diverse parti del mondo.
La cosa divertente è che gran parte degli armeni si fanno assimilare, evitando deliberatamente ciò che lo stato potrebbe percepire come “problematico,” restando alla larga dalla politica. Si adattano rapidamente, abbracciando nuove lingue, contribuendo con le proprie capacità e coesistendo armoniosamente con le società che li ospitano. Provano gratitudine nei confronti dei paesi che hanno offerto loro un rifugio dopo il genocidio, preservando al tempo stesso la lingua, il cibo e la cultura armeni. Sono sempre stati i benvenuti.
A Gerusalemme, ad esempio, nel 1833 gli armeni hanno fondato la prima tipografia e hanno introdotto la fotografia e la lavorazione a mano della ceramica nella regione.
Quindi per noi è strano vedere che persino gli armeni sono considerati una minoranza sgradita dagli israeliani.
Negli ultimi anni, molti israeliani hanno cominciato a sputare sulle figure religiose, a bestemmiarle e persino a spingerle nei vicoli. Prendono di mira quelle persone che giudicano incompatibili con la loro visione di uno stato soltanto ebreo.
Un video mostra il membro di una comunità di ebrei ultraortodossi che sputa su una suora cristiana nei pressi della Porta dei leoni a Gerusalemme.
C’è parecchio silenzio.
Le persone non esprimono ciò che pensano davvero; hanno troppa paura di esprimere la propria opinione o di criticare lo stato. Il sistema ci obbliga a tenere la bocca chiusa ed evitare problemi quanto più possibile.
Mi sto persino chiedendo se valga la pena avere questa conversazione o contribuire a questo articolo. Mi fa sentire impotente e codardo. Tuttavia, guardandomi attorno, mi rendo conto che la maggior parte delle persone è spaventata. Si autocensurano, tanto offline quanto online.
Questa mentalità esclusiva genera discriminazioni nei confronti degli arabi cristiani e degli armeni. Innanzitutto, non dovrebbe discriminare nessuno. Ma il fatto che prenda di mira delle minoranze la dice lunga sulla mentalità del paese in questo momento.
MA: A gennaio, dei coloni hanno inciso degli slogan incitanti all’odio sulle pareti del Patriarcato armeno di Gerusalemme, esortando alla vendetta e augurando la morte ad arabi, armeni e cristiani. Puoi fornirci maggiori dettagli su questi episodi e approfondire il modo in cui impattano la comunità?
AR: Ci sono stati molti episodi e sono anche in aumento.
Le pareti del convento armeno nel quartiere armeno di Gerusalemme sono state vandalizzate da frasi incitanti all’odio, riferisce il Comitato nazionale armeno di Gerusalemme.
Le frasi “Morte agli armeni, ai cristiani, agli arabi e ai gentili,” insieme ad esortazioni alla vendetta, sono state scritte sulle pareti.
Succede contro persone che hanno l’aspetto di religiosi e contro luoghi che non sono strettamente ebrei.
ULTIME NOTIZIE: degli estremisti israeliani hanno appena attaccato il Patriarcato armeno nei quartieri armeni di Gerusalemme, provando a rimuovere le bandiere dell’Armenia.
Un armeno è stato preso e trattenuto mentre proteggeva il Patriarcato.
Nel quartiere armeno, dei coloni sono stati visti sputare contro i locali armeni. Se qualcuno prova a difenderli o dice “hey, qual è il tuo problema?” deve vedersela con lo spray al peperoncino, se non con i fucili, cose che spesso restano impunite.
🇮🇱 Un colone israeliano è stato filmato dalla CCTV mentre sputava sui cancelli di una chiesa armena nella parte occupata della Gerusalemme orientale.
Questo genere di comportamento è esattamente ciò per cui si battono quegli invasori.
Chi viene a farci visita dall’Armenia si stupisce del nostro atteggiamento “remissivo”; ci chiedono “Come affrontate questo genere di attacchi radicali e sfrontati? Perché non reagite? Perché non fate niente al riguardo?”
Non capiscono che la gente non può fare molto perché lo stato può appropriarsi di documenti, rescindere concessioni edilizie, sfrattare residenti, confiscare proprietà o trattenere individui. Se le persone attaccate provassero a difendersi, questo giustificherebbe soltanto ulteriori attacchi.
MA: Tenendo conto dell’atmosfera attuale e delle numerose minacce, come i problemi di sicurezza, il discorso d’odio e le minacce alla vostra stessa esistenza, come preservate la vostra lingua e la vostra identità culturale?
AR: Nel cortile della nostra comunità noi parliamo la nostra lingua e la manteniamo più che viva. Viene usata durante le nostre riunioni e nelle comunicazioni. Noi la amiamo e ci siamo legati, perché gioca un ruolo importante nel rafforzare il nostro senso di identità e comunità.
Il cortile rievoca i ricordi d’infanzia. Quando la città è sotto minaccia, la comunità armena si riunisce nel cortile. È sempre stato un paradiso sicuro.
Con la guerra in corso, armeni di varie parti del paese, come Yafa e Haifa, si sono temporaneamente trasferiti o hanno cominciato a portare i loro figli in cortile. È un posto bellissimo per i bambini, con i locali e la scuola. Quando cerchiamo un senso di unione, di solito è lì che lo troviamo.
Quando mio padre è venuto a mancare, ho vissuto in prima persona il potere della comunità. Quasi tutti hanno partecipato al funerale, arrivando in massa. È in quel momento che ho davvero compreso la forza della nostra comunità. Noi ci siamo l’uno per l’altro.
Spero che il monastero rimanga, anche se di questi tempi siamo cinici. Nonostante le nostre incertezze, di una cosa sono sicuro: la nostra è una bellissima comunità.