Kerkenj: ripensando all’Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.11.18)
Una volta all’anno, Bayram Allazov, azero di 83 anni, parte da casa sua, distante qualche ora da Baku, e arriva fino alle colline della Georgia meridionale. Lì fa un salto indietro nel tempo. Dal villaggio di Irganchai prova a intravedere l’Armenia, lontana tre chilometri, che ancora considera come casa. Ma inevitabilmente il tentativo fallisce.
“Guardo attentamente. Non c’è nulla. Il vuoto”, dice tristemente Allazov.
Alla fine del 1988 Bayram Allazov, presidente della fattoria collettiva del villaggio azerbaijano di Qizil Shafaq, nel nord dell’Armenia, prese un’importante decisione. Gli abitanti del villaggio avrebbero scambiato le loro case con gli abitanti di Kerkenj, un villaggio di armeni lontano 540 chilometri, in Azerbaijan.
Uno dei suoi figli, allora studente a Baku, capitale azera, lo chiamò per spiegargli la proposta ricevuta da un amico armeno di Kerkenj.
Gli abitanti di Qizil Shafaq la considerarono un’idea ragionevole, dato l’aumento delle violenze tra armeni e azerbaijani nella regione separatista azera del Nagorno-Karabakh.
Del resto i violenti attacchi del febbraio 1988 contro gli armeni della città di Sumagayit, in Arzebaijan, avevano già spinto molti a fuggire dal paese. Alla fine di quell’anno, nemmeno gli azerbaijani presenti in Armenia si sentivano più al sicuro. “Qizil Shafaq, oggi Dzyunashogh, era l’ultimo villaggio azerbaijano rimasto in Armenia”, spiega Allazov a Chai Khana.
Durante uno dei suoi incontri con gli abitanti per condividere le notizie che arrivavano da Baku, Allazov, annunciò la proposta di Kerkenj.
“Gli uomini decisero di andare a vedere,” racconta ora Allanov, parlando del villaggio. “Non c’era tempo e non c’era altra scelta”.
Essenziale per lo scambio fu l’accordo fatto tra le parti al fine di preservare e prendersi cura dei reciproci cimiteri, un simbolo di onore per entrambe le culture. In seguito i capi famiglia di Qizil Shafaq votarono a favore del trasferimento in Azerbaijan.
La migrazione iniziò nel maggio del 1989 e durò tre mesi. 200 delle 330 famiglie di Qizil Shafaq si trasferirono a Kerkenj, le rimanenti optarono per Baku, un centinaio di chilometri più a sud.
Allazov sostiene di essere stato l’ultimo a lasciare il villaggio. “Ero sicuro che dovessimo agire in quel modo”, racconta.
Prima di partire gli abitanti azerbaijani organizzarono un banchetto funebre per dire addio ai loro antenati, sepolti nel cimitero di Qizil Shafaq.
Gli abitanti del villaggio sapevano che molto probabilmente non avrebbero più fatto ritorno.
Oggi, così vengono espressi i ricordi di quel villaggio. “Pascoli, sorgenti, grandi case a due piani, prodotti naturali, 800 vacche sane, un fiume che attraversa il paese, inverni rigogliosi, niente umidità”, ricorda Allazov. “Quando ospiti provenienti da Mosca visitavano Yerevan (la capitale dell’Armenia, ndr), la loro prima destinazione era la città di Kalinino (Tashir), per ammirare questa bellezza”.
Tutti si ricordano come piangevano e come baciavano i muri delle loro case prima di andarsene. E come, una volta trasferitisi a Kerkenj, non volevano entrare nelle loro nuove abitazioni. Così spendevano la maggior parte del tempo in strada.
“Faccio spesso un sogno”, racconta Mamed, 80 anni, ex autista di trattori presso il sovkhoz di Qizil Shafaq. “Sogno il mio villaggio, sogno il mio trattore”.
Come altri abitanti, Mamed arrivò a Kerkenj con sua moglie e quattro bambini. Tornò solo poche volte a Qizil Shafaq. La polizia di frontiera e gli ufficiali locali “ci lasciavano farlo senza problemi”, dice Mamed. Ciononostante, il rischio rimaneva e quindi le visite erano molto brevi. “Ero ospite di una famiglia armena nella mia casa, ma non mi sono fermato mai per la notte”, racconta Mamed.
Pare che il Partito comunista abbia tentato di convincere la gente a non lasciare l’Armenia.
I nuovi abitanti di Kerkenj volevano rinominare il villaggio in Shafaq, ma la richiesta venne loro negata.
Niente distingue oggi Kerkenj dai villaggi vicini.
Su una collina, alla sinistra del villaggio, si trovano le tombe dei precedenti abitanti armeni.
Gli attuali residenti riconoscono che i bambini hanno danneggiato alcune fotografie e ribaltato alcune lapidi, ma dicono che tenere d’occhio i giovani è molto difficile. Sostengono che, nonostante questo, il cimitero sia stato preservato.
Il custode del cimitero, un mullah locale, guardiano di entrambi i cimiteri, azerbaijano e armeno, si è rifiutato di commentare per Chai Khana.
Allazov, anziano del villaggio, ha descritto il danno con una smorfia. Nonostante la sua nostalgia per Qizil Shafaq, non crede che l’amicizia tra Armenia e Arzebaijan possa essere rianimata.
“Immagina, hai un piccolo giardino” dice parlando di Nagorno Karabakh e dei sette territori ora sotto il controllo armeno. “Pianti alberi che danno frutti, pianti fiori, poi arriva il tuo vicino e ti strappa il giardino dalle mani…”.
Il legame con la terra gli sta profondamente a cuore.
A Kerkenj, come a Qizil Shafaq, Allazov è stato il presidente del sovkhoz. Sebbene abbia tentato di vivere a Baku con la moglie, Khanim, dove vive anche sua figlia con tre bambini, dice di non potercela fare.
“Sono nato e ho trascorso tutta la mia vita in campagna. Mi mancava. Volevo sentire il verso del gallo, il muggito delle mucche, un cane che abbaia e il mio gatto miagolare,” continua Allazov.
Così, ogni mattina, si cambia i vestiti e va verso i campi per aiutare. L’ambiente può essere diverso, ma la sua dedizione al lavoro è sempre la stessa.