Katerina Poladjan, La restauratrice di libri (Ansa 07.03.21)
ROMA, 07 MAR – KATERINA POLADJAN, LA RESTAURATRICE DI LIBRI (SEM, pp.224, 18 Euro). Ago e filo, e poi nodi e ancora nodi, tra carta, cuoio, legno e pigmenti naturali, per legare insieme la storia al presente.
Ma c’è soprattutto la memoria, personale e collettiva, come luogo in cui tornare per crescere, come strumento irrinunciabile per interrogarsi su quanto il passato sia ancora parte del presente e faccia da monito e, insieme, da guida. Ha un fascino discreto, spigoloso, che si insinua lentamente e costruisce un’atmosfera indimenticabile, l’ultimo libro di Katerina Poladjan “La restauratrice di libri”, edito da SEM. Con una penna che si distingue per l’intensa incisività dei dialoghi ma anche per il talento nel restare in bilico tra storia e finzione, l’autrice racconta di Helene, restauratrice di libri tedesca arrivata a Erevan per imparare le tecniche della legatoria armena. Mentre si trova a restaurare un evangeliario del XVIII secolo, passato di mano in mano fino ad arrivare, nel 1915, a una famiglia sulla costa del Mar Nero, la donna si lascia incuriosire dalla storia degli ultimi proprietari del libro, i fratelli Anahid e Hrant, in fuga dal genocidio armeno. Helene si trova di fronte all’enigma di una frase che si legge a malapena: “Hrant non vuole svegliarsi”.
Partendo da quelle parole, inizia per lei un viaggio dentro e fuori di sé, alla scoperta delle proprie radici e al tempo stesso delle vicende di un popolo che mai ha avuto pace nei secoli e che sempre ha lottato per esistere. Nel suo peregrinare, con lo sguardo sempre rivolto al maestoso Ararat, Helene conoscerà un Paese accogliente, dalla forte identità, ma sempre memore del proprio dolore: in Armenia è impossibile non toccare con mano quanto il genocidio, l’esilio, il senso di perdita ma anche la ferita per l’indifferenza degli altri riguardi ogni cittadino, nessuno escluso.
Indagando la storia dell’evangeliario e procedendo a restaurarlo (un’impresa tanto affascinante quanto complessa), la donna conosce e si innamora di Levon, un soldato impegnato nel secondo conflitto del Nagorno-Karabakh. Ogni passo fatto in avanti nelle ricerche per il libro, ogni persona incontrata nella sua permanenza in Armenia, sarà per la restauratrice un insegnamento di vita, su come non si possa mai davvero sfuggire alla propria storia, per quanto dolorosa possa essere. In un romanzo coinvolgente fin dalle prime pagine, in cui una narrazione “sdoppiata” e dal duplice finale alterna passato e presente, Poladjan trascina il lettore nell’Armenia di oggi e ne restituisce l’anima. La scrittrice dipana storie che si intrecciano e si uniscono esattamente come Helena annoda i fili dei libri che restaura: attraverso gli occhi della sua protagonista, Poladjan racconta il genocidio negato e ignorato degli armeni accanto ai conflitti attuali, per gridare non solo il loro diritto a esistere ma anche l’importanza della loro ricca eredità di tradizioni e cultura. Al tempo stesso, l’autrice celebra il libro come preziosa “patria portatile” sempre bisognosa di cure, che nei secoli custodisce proteggendo dall’oblio la storia dei popoli. (ANSA).
Partendo da quelle parole, inizia per lei un viaggio dentro e fuori di sé, alla scoperta delle proprie radici e al tempo stesso delle vicende di un popolo che mai ha avuto pace nei secoli e che sempre ha lottato per esistere. Nel suo peregrinare, con lo sguardo sempre rivolto al maestoso Ararat, Helene conoscerà un Paese accogliente, dalla forte identità, ma sempre memore del proprio dolore: in Armenia è impossibile non toccare con mano quanto il genocidio, l’esilio, il senso di perdita ma anche la ferita per l’indifferenza degli altri riguardi ogni cittadino, nessuno escluso.
Indagando la storia dell’evangeliario e procedendo a restaurarlo (un’impresa tanto affascinante quanto complessa), la donna conosce e si innamora di Levon, un soldato impegnato nel secondo conflitto del Nagorno-Karabakh. Ogni passo fatto in avanti nelle ricerche per il libro, ogni persona incontrata nella sua permanenza in Armenia, sarà per la restauratrice un insegnamento di vita, su come non si possa mai davvero sfuggire alla propria storia, per quanto dolorosa possa essere. In un romanzo coinvolgente fin dalle prime pagine, in cui una narrazione “sdoppiata” e dal duplice finale alterna passato e presente, Poladjan trascina il lettore nell’Armenia di oggi e ne restituisce l’anima. La scrittrice dipana storie che si intrecciano e si uniscono esattamente come Helena annoda i fili dei libri che restaura: attraverso gli occhi della sua protagonista, Poladjan racconta il genocidio negato e ignorato degli armeni accanto ai conflitti attuali, per gridare non solo il loro diritto a esistere ma anche l’importanza della loro ricca eredità di tradizioni e cultura. Al tempo stesso, l’autrice celebra il libro come preziosa “patria portatile” sempre bisognosa di cure, che nei secoli custodisce proteggendo dall’oblio la storia dei popoli. (ANSA).