Jacopo Santini. Armenia 301 – Parte prima. Armenia: la memoria del genocidio (Arte.go.it 08.01.2020)
In mostra una selezione di immagini da un progetto in corso del professore di fotografia presso Studio Arts College International Jacopo Santini.
Santini presenterà la prima fase di un progetto, realizzato grazie al Fondo di Sviluppo istituito da SACI, il cui scopo è documentare come il ricordo e la negazione o rimozione di uno stesso evento, il genocidio Armeno, abbia plasmato profondamente le società Armena e Turca e continuerà il progetto in Turchia, Siria e Libano anche nel 2021.
301 (dopo Cristo) è l’anno in cui, stando alla tradizione e dopo una serie di cruente indecisioni, l’Armenia accolse il Cristianesimo, per volontà del re Tidrate III, e ne fece la religione nazionale, primo – si dice – fra i popoli. 301 è anche l’articolo del codice penale turco che sanziona – con pene detentive – ogni offesa all’identità turca”, disposizione usata spesso e volentieri per punire varie forme di dissenso e, ovviamente, ogni menzione di ciò che da 100 anni è in Turchia negato, Metz Yegern: il grande dolore, il primo genocidio del ‘900 che, tra il 1915 e il 1918 (con sanguinosi strascichi successivi), per piano e mano dei Giovani Turchi, costò la vita a circa 1. 500. 000 Armeni all’epoca residenti nei territori del fu Impero Ottomano, soprattutto nell’attuale Anatolia orientale (o Armenia occidentale). Questo genocidio ha potuto contare sull’ipocrita complicità di un buon numero di nazioni che, ad oggi non lo hanno riconosciuto come tale, nonostante il concorde avviso della comunità scientifica internazionale circa la copiosità, l’univocità e l’inconfutabilità delle prove.
“La fotografia” – disse Oliver Wendell Holmes nei suoi tempi pionieristici – “è uno specchio dotato di memoria”. Può tuttora esserlo, perfino in un’epoca in cui, complice la rivoluzione digitale, è lecito dubitarne. Il dilemma è cosa fotografare a distanza di un secolo dai fatti, quando gli ultimi, pochissimi sopravvissuti, sono fragilissimi centenari, per non ridurre il lavoro ad un esercizio stucchevole di documentazione “archeologica”.
“Ho pensato, iniziando la ricerca di una struttura per il progetto, all’Angelus Novus di Walter Benjamin (e al quadro di Klee da cui mosse il pensiero del filosofo tedesco), gli occhi fissi sul passato, sulle catastrofi che, sotto il suo sguardo trascinato verso il futuro dalla tempesta che chiamiamo progresso, sono un solo cumulo di rovine. [.. . ] Parlare oggi del genocidio, con la fotografia, non può che avvenire misurandosi con il presente, con ciò che, tangibilmente, resta del passato nel presente, con la memoria di quel passato nelle parole e nei comportamenti degli individui o in quelli delle società, nei luoghi teatro di quegli eventi lontani, nelle cose, in tutte le terre in cui si consumò Metz Yegern, Armenia, Turchia, Siria, Libano. [.. . ]L’idea è cucire ricordi, parole ed immagini e dar testimonianza del presente come traccia e riflesso del passato, forse debole ma esistente. Non si tratta di un atto di indagine, già compiuta e con risultati indiscutibili, ma di una testimonianza. La storia la si racconta spesso osservandola riflessa negli occhi di chi, dovunque sia nato, le è sopravvissuto, come nelle pupille dell’Angelus Novus non ancora chiuse dal vento del progresso. ”
Jacopo Santini
Inaugurazione: Giovedì, 15 gennaio, ore 18