Istanbul, la paura dei cattolici: «Perché lasciano entrare i terroristi?» (Corriere della Sera

 Il giorno dopo l’attacco terroristico dell’Isis

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L’ingresso

nella chiesa italiana di Santa Maria ad Istanbul una grande bandiera turca copre l’ingresso, all’interno qualcuno ha depositato dei fiori per terra nel punto in cui è caduto Tuncer Cihan, un cittadino turco di fede alevita che frequentava la parrocchia diretta da padre Anton che appartiene all’ordine dei Frati Minori Conventuali. Dalla porticina nera che dà sul giardino è un via vai di persone che vengono a portare una lacrima, un sorriso, una stretta di mano. Non sono solo cattolici ma anche alevi, curdi, atei. Di prima mattina è arrivato anche l’imam della moschea vicina, a dimostrazione che questa è una comunità molto aperta e variegata. «Queste cose non dovrebbero succedere qui, è un posto tranquillo, lo è sempre stato — dice Afsin Hatipoglu, avvocato della chiesa cattolica qui in Turchia -, questi terroristi non dovrebbero essere lasciati entrare nel Paese, siamo circondati da Paesi pericolosi, bisogna aumentare i controlli». Il riferimento è ai tanti combattenti islamici che varcano il confine per combattere la loro guerra di religione. I due che hanno colpito la chiesa di Santa Maria venivano dal Tagikistan e dalla Cecenia. «Sono venuti qui per spargere sangue ma grazie a Dio soltanto una persona è morta» dice Hatipoglu. Accanto a lui padre Anton è chiaramente provato. Arrivato un anno fa qui nel quartiere di Buyükdere, dopo aver passato un quarto di secolo nella più famosa chiesa di Sant’Antonio a Beyoglu, il parroco è amato da tutti. «Non appena c’è un battesimo o un matrimonio la chiesa si riempie e dopo la messa ci si sposta in giardino a bere il caffé o il thé. Mercoledì alla preghiera per l’unità dei cristiani c’erano 130 persone» racconta Giovanna Nipote, 90 anni, nonni e padre italiani che è nata e cresciuta proprio qui. Lei domenica, all’ultimo momento, non è andata a messa. «Mi sarei seduta proprio negli ultimi banchi — dice —, dove quei due terroristi hanno sparato».

Sarebbe potuta essere una strage. «Dopo il secondo colpo – ha raccontato Şükrü Genç il sindaco del distretto di Sariyer – la pistola non ha più funzionato e gli aggressori sono fuggiti. In quel momento c’erano una quarantina di persone nella chiesa». Per terra sono stati trovati sei bossoli, tre vuoti e tre pieni. «È stata la madonna che ci ha protetto – dice sicura Giovanna -, d’altra parte non si chiama chiesa di Santa Maria?». L’idea di un miracolo, della protezione divina arrivata sui fedeli corre di bocca in bocca.

Negli anni ‘30 Buyükdere era un quartiere cristiano, abitato da italiani, greci e armeni. Poi si è trasformato ed è diventato più multiculturale ma è rimasto un posto tranquillo dove in poche centinaia di metri convivono una moschea e quattro chiese, di cui una ortodossa e una armena. Sulla riva del Bosforo le barche dei pescatori giacciono tranquille mentre nel mercato accanto si vende il pesce appena pescato. «Qui siamo tutti amici – dice Hasan, 63 anni, intento a giocare a carte in una sala da té -, non c’è razzismo, non c’è intolleranza, è la prima volta che succede una cosa del genere».

Per ora la chiesa di Santa Maria ha sospeso le attività che riprenderanno giovedì sera, il primo febbraio, con una preghiera collettiva cui parteciperanno membri dell’ambasciata vaticana, i fondatori della chiesa armena e tantissimi abitanti del quartiere che vogliono sentir risuonare la campana che chiama alla messa ancora una volta.

Ma resta la paura per quanto accaduto. La comunità cattolica «è terrorizzata, sconvolta – dice monsignor Massimiliano Palinuro, vicario apostolico di Istanbul — per questo attacco che pone anche degli interrogativi sul futuro della presenza cristiana in questo Paese. Ultimamente si stava respirando un clima di maggiore serenità, speriamo solo che questo evento possa essere isolato».

Ma non sono solo le minoranze ad essere in allarme. Con l’aggressione di ieri è salito a 305 il bilancio dei morti in azioni criminali firmate da cellule dello Stato Islamico: 15 diversi attacchi che, con l’eccezione di quello di ieri, erano stati tutti sferrati in un arco di tempo che va dal giugno 2015 al 31 dicembre 2016. Prima di ieri l’ultimo episodio risaliva infatti alla notte del 31 dicembre 2016, quando un terrorista armato di kalashnikov uccise 39 persone nella discoteca Reyna di Istanbul. La metropoli sul Bosforo appena sei mesi prima era stata teatro di un altro sanguinoso attentato, questa volta all’aeroporto Ataturk. I morti furono 48, ma il sistema di sicurezza non permise ai terroristi di fare irruzione all’interno evitando conseguenze peggiori. Istanbul era anche stata colpita da due attacchi kamikaze che nel centro della città avevano ucciso 13 turisti a gennaio a altre 4 persone nel marzo 2016.

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