Ismail Qemal Vlora La voce del grande statista albanese contro la persecuzione degli Armeni (Albanianews.it 21.03.21)
Ismail Qemal Vlora, è rimasto spesso sconosciuto al mondo, anche a quello albanese, per la sua grande capacità diplomatica, lo straordinario acume la chiara visione della politica mondiale del suo tempo.
Passato alla storia per essere il fautore dell’Indipendenza albanese, gli è mancato il riconoscimento di grande politico e diplomatico di rango internazionale. Cosi come è stato ignorato a lungo il suo valore di testimone eccellente della storia dell’Europa orientale e balcanica, raccontata nelle sue «Memorie», fonte straordinaria per gli storici europei.
Ma la sua carriera all’interno della struttura statale ottomana fu straordinaria. Egli partecipò alla vita politica della Porta da posizioni liberali, alle quali non avrebbe rinunciato mai, anche nei momenti più critici; posizioni che anzi rivendicò sino alla fine, anche davanti al rischio di subire la collera dell’instabile Sultano Abdul Hamid e nonostante l’esilio a cui andò incontro. Liberale e fautore di una Turchia riformata secondo principi democratici occidentali, egli era stato sin da giovane uno dei più stimati esperti e consiglieri del Gran visirato e della Corte sulla politica europea. La sua visione liberale gli consentiva la possibilità di valutare positivamente la diversità culturale, etnica e religiosa dell’Impero. Vedeva nelle varie culture dell’Impero della mezzaluna o “nazioni”, come lui le chiamava, una vera ricchezza, non molto dissimile da quella esistente fra gli Stati europei. Non soltanto la sua cultura duplice di albanese e ottomano e la sua conoscenza del greco, del turco e di diverse lingue occidentali, ma anche la scelta di sposare un’ortodossa (greca di origini albanesi) gli permisero di formarsi una visione delle cose sganciata da rigidità etno-culturali.
Uno degli aspetti principali che contraddistinsero questa visione del mondo fu l’importanza attribuita al dialogo. La grande virtù di Vlora, Il saggio (i Urti) com’era chiamato, fu infatti la fede nella buona parola: la convinzione che attraverso il dialogo e l’ascolto dell’Altro di potesse arrivare alla pacifica convivenza e contribuire così al progresso dell’umanità. Inoltre, credeva fermamente che l’integrità morale e la lealtà del «Politico», dell’uomo di Stato, contribuissero e un buon rapporto con la popolazione e all’emancipazione della società. Virtù, queste, che i suoi compatrioti albanesi per primi non compresero e arrivarono persino a stigmatizzare con superficiale noncuranza. Forse però – come sostenne il diplomatico italiano Pietro Quaroni – in quell’Albania dei primi del ‘900 risultava ancora alquanto difficile comprendere la visione di un uomo «troppo occidentale».
Preoccuparsi per gli Armeni
Alto funzionario della Porta, Segretario generale agli Esteri, Consigliere presso il Gran Vizir, Governatore di Tripoli, proposto varie volte come Ministro degli Interni e degli Esteri, diretto e insigne collaboratore del Sultano, Vlora è stato uno dei pochi politici del periodo a occuparsi della «questione armena», condannando la persecuzione, lo fece sin dalla prima ondata del 1893-94 e poi ancora nelle sue «Memorie», in tempi ancora non sospetti, fra il 1917 e il 1919. Vlora rimase profondamente colpito del trattamento riservato agli Armeni, «per i quali – scriveva – nutro un attaccamento non soltanto nel senso politico, ma anche sotto un aspetto umano e personale». Fra i suoi intimi amici e fra gli uomini di Stato ottomani che più stimava vi erano Armeni. Vlora racconta: «ho avuto modo di studiare la loro anima e misurare le loro capacità intellettuali e morali», amareggiato che un popolo di tanto valore avesse a subire una persecuzione così assurda e violenta, che gli appariva inspiegabile. «Non ho mai potuto spiegare né capire, così come non ho mai potuto esserne acquiescente, il martirio sofferto da questa gente brava e laboriosa attraverso una qualche teoria della capricciosa aberrazione di Abdul Hamid», scriveva. Tempo addietro, questo antico popolo era considerato – fra i non convertiti – il «sadik milleti», il popolo fedele. Ma i tempi moderni sembrano peggiori da questo punto di vista, paradossalmente meno tolleranti e più violenti. La modernità appare foriera di una funzione moderatrice soltanto in una democrazia già costituitasi nel tempo; altrove, lì dove viene soltanto scimmiottata, pare che partorisca aberrazioni.
Amante della democrazia britannica e difensore della libertà individuali, Vlora vide nella repressione degli Armeni l’espressione dell’odio personale di un sovrano insicuro, sospettoso e imbevuto di assolutismo orientale e quindi incapace di comprendere forme di libertà e indipendenza aliene dal proprio potere. I motivi gli sembrano evidenti: gli Armeni, erano cristiani e il sultano non poteva controllare la loro formazione, le loro idee e la loro cultura, ma allo stesso tempo, a differenza dei sudditi musulmani che venivano controllati ed educati alla sottomissione, parlando il turco potevano diffondere idee liberali nell’impero che le autorità non avrebbero potuto controllare e censurare. Non a caso il sultano mostrava un’idiosincrasia particolare per i principali consiglieri e ministri armeni della storia, fautori di politiche liberali e modernizzanti a lui invise poiché credeva indebolissero il suo potere personale. Gli armeni, inoltre, intrattenevano, per motivi di commercio, rapporti stretti con la Gran Bretagna e il sultano non soffriva l’ingerenza della Potenza occidentale, senza comprendere che era l’unica che avrebbe potuto salvare, in quel frangente, il “morente d’Oriente” – come Vlora rimarcava con acume. Ma al di là di questo aspetto legato alla politica interna del Sultano, Vlora sottolinea un altro fattore molto importante, spesso negletto: il fatto che da tempo gli Armeni vivessero malissimo e venissero perseguitati dalla stessa Russia, che nei nuovi territori conquistati alla Porta (Trattato di Adrianopoli 1829), ove abitavano armeni, aveva iniziato verso questi una politica di persecuzione e di denazionalizzazione, provocando in loro atteggiamenti radicali, che spaventarono un Sultano sospettoso e insicuro. Così la popolazione armena si trovò senza sostegno, poiché la Russia faceva il doppio gioco: fingendo di proteggere gli Armeni in quanto cristiani e allo stesso tempo garantendo a parole alla Porta «appoggio in ogni circostanza», anche nel caso della persecuzione di una popolazione cristiana. Infatti «c’è da chiedersi – scrive Vlora – dove egli [il Sultano] trovasse il coraggio necessario per fare quello che fece? […] In cosa faceva affidamento osando commettere crimini del genere senza temere reazioni dell’Europa?». Sicuramente la condotta della Russia e i vari giochi di potere delle altre Potenze davano al Sultano una garanzia d’impunità. Da politico navigato che conosceva molto bene le dinamiche internazionali, Vlora consigliava al Sultano di non fidarsi dello Zar, e proponeva invece di seguire la via della modernizzazione costituzionale e della conquista dell’appoggio delle forze occidentali, evitando invece, con particolare scrupolo, proprio la lotta intestina fra le diverse etnie sulla quale il nemico contava. Egli intraprese uno strenuo processo diplomatico per giungere ad una sorta di collaborazione fra la Porta e la Gran Bretagna, in modo tale da portare il Sultano a rinunciare alla sua politica neo-assolutista e soprattutto a fermare la persecuzione in atto. Per ottenere ciò, era arrivato a suggerire ai diplomatici di Londra che la Gran Bretagna si presentasse con le sue navi da guerra al Bosforo per imporre con la forza, se necessario, le riforme e soprattutto la soppressione delle persecuzioni contro gli armeni.
Ma la fatalità dei triti eventi sarebbe continuata. «Le navi arrivarono» – scrive Vlora – «però i massacri continuarono ugualmente e l’Europa non ci pensò più»; mentre l’Impero ottomano, animale morente, completò la sua «persecuzione armena» durante la I guerra mondiale, tra il 1915-1916, ma in pochi sanno che tutto ciò era iniziata molto prima.
Così, questo grande Statista albanese, in linea con la cultura del proprio Popolo, fu anche uno dei primi uomini ottomani a denunciare e a prendere le distanze da questo orrendo crimine, a cui molti altri sarebbero seguiti, con un’Europa, spettatrice, come in altre occasioni si rivelerà. Fu anche questo olocausto a scuotere Vlora, a portarlo a interrogarsi sul destino del proprio popolo e a indurlo a impegnarsi in prima persona per l’indipendenza albanese, ora che l’età dell’odio era cominciata.
Uomo straordinario Ismail Qemal Vlora, venuto dal futuro per un’Albania ancorata al Medioevo, non solo sarà incompreso e frainteso dai suoi coetanei del primo ‘900, ma sarà censurato per altri 70 anni. I due regimi, quello di Zog prima e quello di Hoxha dopo, non hanno mai permesso la pubblicazione delle sue «Memorie», delle quali bisognerà aspettare la caduta del regime comunista. Molto poco della sua straordinaria “Opera” (non soltanto in riferimento alla questione nazionale) è stato consegnato agli albanesi e ciò è anche comprensibile, poiché davanti a un uomo di questa statura, alle sue teorie politiche, al suo straordinario senso per la res publica o anche semplicemente alla sua vita o alla sua la capacità di tradurla in «racconto», i piccoli dittatori, come ogni altro uomo politico albanese recente, scomparirebbero.