Intervista a Bruno Scapini L’esperienza di vita del diplomatico nelle sue opere di fantapolitica (Meer.it 05.01.25)

Oggi ci occuperemo dell’opera originale di S.E. Bruno Scapini, Diplomatico, per anni Ambasciatore dell’Italia in Armenia, che dopo quarant’anni di carriera ha iniziato il suo percorso di scrittore nel 2018, col romanzo Operazione AKHTAMAR sul genocidio armeno (Albatros, Il Filo).

Avendo scoperto la sua cifra stilistica in questo genere che lui stesso definisce “fantapolitico”, ‒ che rappresenta un modo per denunciare molti problemi irrisolti del mondo contemporaneo e delle guerre che stanno distruggendo il pianeta e una parte dell’umanità ‒ ha proseguito con altri quattro romanzi, tutti pubblicati da Calibano Editore, ossia nel 2021 ARTSAKH – Confessioni sulla linea di contatto, incentrato sul conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaijan e, sempre nel 2021, SOMNIUM – Urla dall’Universo, il cui tema scottante è quello della militarizzazione dello spazio, nonché, proprio alla fine del 2021, la sua quarta opera Arktikos. La scacchiera di ghiaccio, sul tema attualissimo dell’imminente fusione dei ghiacci artici. Infine, l’ultimo libro, nel 2023, è L’anomalia della terra promessa, sul tema oggi più discusso di tutti di una soluzione della questione palestinese e della realizzazione del sogno biblico della Grande Israele.

La novità di queste opere di “Fantapolitica” consiste nel trasporre le conoscenze storico-politiche maturate in una esistenza dedicata alla Diplomazia, in situazioni realistiche, che raccontano vicende possibili ma costruite mediante “l’invenzione”, una sorta di missione del nostro ex-Ambasciatore che mira a scavare nella complessità dei fili intessuti dagli attori in campo, per raccontare la verità di ogni possibile interlocutore, svelando anche numerosi misteri racchiusi nelle vicende narrate, mai rivelati dall’informazione al grande pubblico…

Lei ha ricoperto per quattro anni l’incarico di Ambasciatore Italiano in Armenia: cosa lo ha affascinato del popolo armeno?

L’Armenia è il Paese che più mi ha affascinato in tutto l’arco della mia carriera. L’aspetto che mi ha fin da subito colpito è la forte prossimità di questo popolo ai modi di sentire italiani. In fondo c’è una grande cultura e una grande storia che accomuna i due paesi. Fondamentalmente cristiani fin dai tempi più antichi, armeni e italiani condividono in fondo la stessa visione del mondo interpretandolo con gli stessi canoni. Molto simili sono le tradizioni familiari, il gusto per la bellezza, i valori spirituali e le attitudini all’arte. Solo un esempio: grande è l’inclinazione degli armeni per l’arte lirica, quella del “bel canto”, che è del resto una tipica espressione della cultura musicale italiana. Ecco, queste sono le ragioni che mi inducono ad apprezzare il popolo armeno.

Il fatto che l’Armenia sia stato il primo paese ad adottare il cristianesimo, ha influito nelle relazioni con i paesi confinanti?

Sì, l’Armenia ha adottato la religione cristiana fin dai tempi più lontani, anticipando addirittura l’imperatore Costantino di un decennio all’incirca. E questo è probabilmente il fattore principale che ha inciso nel corso della storia sulla formazione di una comune spiritualità con l’Italia determinando quelle affinità elettive che ancora oggi riscontriamo tra i due paesi. Ma il fatto di essere un paese cristiano ha indubbiamente inciso, ma negativamente, sul tipo di relazioni intrattenute con i vicini di casa.

La diversa connotazione religiosa di costoro, di credo musulmano, ha, infatti, determinato un netto divario in termini di sensibilità e di interessi con loro. Oggi l’Armenia, contrariamente al passato, quando era un regno lambito da più mari (dal Mar Nero, dal Mar Caspio e dal Mediterraneo) è diventata un piccolo fazzoletto di terra incuneato nel Caucaso meridionale, ed è, suo malgrado, circondato da paesi islamici particolarmente aggressivi, come la Turchia e l’Azerbaijan, che ne minacciano l’integrità territoriale.

Un elemento, questo, che implica una seria vulnerabilità di cui il paese deve tener conto obbligatoriamente nel gestire al meglio la sua politica estera.

Nel suo primo romanzo Operazione Akhtamar, il titolo fa riferimento a una antica leggenda armena, che cosa racconta la leggenda?

Con il romanzo intitolato Operazione Akhtamar, ho voluto denunciare il grande dramma del popolo armeno che si presenta tutt’oggi come una questione irrisolta: quello del Genocidio del 1915. Dico trattarsi di questione irrisolta in quanto quel genocidio, il primo del XX secolo, non ha ancora ottenuto il riconoscimento, che invece ad esso spetterebbe, dal paese autore dell’eccidio: la Turchia. Ma non solo da questo. Altri stati ancora si rifiutano di riconoscerlo, e non per dubbi sulla sua esistenza, bensì per un deprecabile fine politico: quello di non urtare la suscettibilità della Turchia, paese membro della NATO e, pertanto, prossimo agli interessi strategici dell’Occidente nell’area.

Ebbene, io ho inteso denunciare con questo romanzo la questione; e l’ho fatto attraverso una trama di fantasia, ma inserita in un contesto storico, politico e geografico intessuto di riferimenti veri e reali. Il nome Akhtamar deriva da una antica leggenda armena in cui si narra dell’amore di un pastorello per la figlia del sacerdote che abitava sull’isola del lago di Van, nella Turchia orientale, e che si chiamava per l’appunto Tamar. Una storia triste, devo aggiungere, in quanto il pastorello miseramente annega la notte in cui la torcia, che la ragazza metteva in vista per far orientare il suo amato nella traversata del lago, a causa del vento si spegne.

Perché possiamo parlare di “Genocidio” armeno?

Secondo i turchi gli eccidi commessi nel 1915, e che hanno visto la morte di ben oltre 1.800.000 civili armeni, non sarebbero stati programmati come sterminio di un popolo, bensì sarebbero la conseguenza di turbolenti eventi politici interni all’impero Ottomano al tempo incontrollabili. Una tesi ovviamente che non regge né sul piano politico, né su quello storico-documentale. Troppe sono le prove, infatti, che portano a concludere come si sia trattato di una eliminazione fisica di un popolo perseguita volontariamente dal governo ottomano alla cui azione non erano estranei elementi curdi e cripto-ebraici appositamente convinti dalle autorità per l’esecuzione dell’eccidio.

Il suo secondo libro ARTSAKH – Confessioni sulla linea di contatto, denuncia un’altra questione irrisolta, quale?

In questo romanzo ho voluto concentrare la narrazione su un aspetto sì particolare, ma che si è rivelato determinante nel plasmare la storia dell’Armenia moderna, anzi proprio quella dei nostri giorni, direi. In quest’opera, infatti, tratto la questione dell’indipendenza degli armeni del Nagorno Karabagh (Artsakh in lingua armena), una regione di insediamento storico di questo popolo che varie vicissitudini politiche al tempo di Stalin lo hanno visto indebitamente trasferito – sebbene in regime di autonomia – nel perimetro della sovranità dell’Azerbaijan.

Tuttavia, con il dissolvimento dell’URSS una apposita legge del soviet supremo prevedeva la possibilità non solo per le Repubbliche sovietiche, ma anche per le loro entità autonome interne di dichiarare la propria indipendenza. Questo era il caso del Nagorno Karabagh. Ma la sua scelta in virtù del principio dell’autodeterminazione non è stata riconosciuta da Baku che ha avviato un processo di repressione causa di una prima guerra finita in favore dell’Armenia nel 1994, ma che oggi, dopo le guerre del 2020 e del 2023, per attacco dell’Azerbaijan, ha portato alla impietosa sconfitta di Yerevan.

La questione è del resto della massima importanza per l’Armenia in quanto trattasi di una vera causa storica nazionale che purtroppo resta, alla luce degli ultimi eventi bellici, ancora irrisolta. Anche in questo romanzo la trama è naturalmente di fantasia, ma prende spunto da crimini commessi dagli azeri a danno di civili armeni inermi che per la solita relatività della giustizia sono rimasti tuttora impuniti. Una circostanza che ho voluto porre con forte enfasi e convinzione al centro della trama.

Un altro dei suoi temi prediletti è quello trattato nel suo romanzo SOMNIUM – Urla dall’Universo, in che cosa consiste?

Nel romanzo Somnium. Urla dall’Universo il tema è la militarizzazione dello spazio. Non è una fantasia ipotizzare in un futuro neanche troppo lontano che qualche superpotenza pensi di utilizzare il cosmo per fini strategici e geopolitici. Negli ultimi anni il progresso della scienza ha dato l’abbrivio al concepimento di armi sempre più sofisticate, prevedendo così tecnologie estremamente avanzate e più letali; il che induce a ritenere che armi spaziali possano prima o poi affermarsi, soprattutto se le attuali tensioni internazionali dovessero continuare ad acutizzarsi nel prossimo futuro.

Si è immedesimato nel giovane astrofisico Timothy Sanders protagonista della vicenda?

Non lo nascondo. Ebbene sì. Lo confesso. Mi sono visto nel ruolo di Timothy Sanders quando scrivevo il romanzo. Del resto l’astrofisica è sempre stata la mia grande passione. E anche se all’Università ho abbandonato quel corso di studi (per motivi legati alla scarsa funzionalità delle mie conoscenze matematiche derivanti dagli studi classici), il desiderio di approfondire le scienze astrofisiche ancora vive in me e mi spinge tuttora ad occuparmi di spazio cosmico. Tornando al romanzo, posso quindi affermare che amo quel personaggio, Sanders, e aggiungo pure che lo invidio. Lo invidio per la sua innata inclinazione allo studio dei grandi misteri dello spazio, per la sua predisposizione matematica e, infine, per il successo raggiunto nel realizzare il suo grande e ambito sogno.

Altro romanzo, Arktikos. La scacchiera di ghiaccio con un altro argomento cruciale, ci spiega perché è così importante?

Il riscaldamento globale è il tema cruciale di questo romanzo. Come vede, nelle mie opere si tratta sempre di situazioni estreme, di fatti fantasticati, ma che potrebbero però trovare una corrispondenza nella realtà. Oggi si parla tanto di clima e dell’aumento della temperatura media del pianeta. Ebbene, al di là della narrativa che da più parti si pone come giustificazione alle tante transizioni che i governi ci vogliono imporre, io dico che il riscaldamento della Terra è un fatto che certamente può risultare vero e reale. Nego per contro che il livello drammatico che si pretende sia da attribuirsi all’antropizzazione eccessiva del pianeta.

I dati scientifici a disposizione, infatti, non confermerebbero questa spiegazione. Vera e inconfutabile invece è la tesi che dal 1850 la Terra sta attraversando una fase di graduale aumento della temperatura essendo venuta a cessare al tempo l’ultima fase di una glaciazione. In ogni caso, se la temperatura andrà ad aumentare è chiaro che l’Artico sarà uno dei primi luoghi in cui si vedranno le conseguenze, e tra queste lo scioglimento graduale del “pack artico”. L’effetto immediato sarà l’apertura dei due noti passaggi di Nord-Est e di Nord-Ovest che consentiranno la navigabilità del Mar Glaciale Artico circumnavigando le masse continentali dell’Asia e del Nord America.

Naturalmente lo scioglimento dei ghiacci ai due Poli, Nord e Sud, non mancherebbe di influire sulle condizioni ambientali di tutto il Pianeta; e ciò per via di effetti feed back che si innescherebbero a catena alterando le condizioni ecologiche originarie.

E perché le due superpotenze di Stati Uniti e Russia si contendono queste acque ghiacciate?

La contesa tra le superpotenze per il dominio dell’Artico è un fatto reale. Non scordiamolo. Abbiamo già moltissimi indicatori che inducono a pensare come lo scioglimento dei ghiacci venga a catturare l’attenzione per il controllo della regione. Non solo vi sarebbero interessi strategici, e anche con finalità militari, ma è sul piano economico che l’Artico libero dai ghiacci acquisterebbe un significativo rilievo: in primo luogo per la navigazione che accorcerebbe a quella latitudine i tempi di viaggio dall’Atlantico al Pacifico, e poi ai fini dello sfruttamento delle immense ricchezze che la regione artica ancora nasconde.

Nell’ultimo libro scritto recentemente, l’L’anomalia della terra promessa, il protagonista Abraham Kenen è un agente della CIA che agisce «segretamente anche per conto delle organizzazioni sioniste», si tratta solo di “Fantapolitica”? Quale anomalia intende denunciare?

Lo Stato di Israele è nato nel 1948, ma le guerre succedutesi nel corso degli anni hanno causato enormi tensioni tra Gerusalemme e i paesi arabi limitrofi; il che ha implicato il ricorso alle attività di “intelligence” da parte della CIA al fine di gestire le situazioni in conformità degli interessi americani e delle lobby sioniste. Ma nel quadro mediorientale la questione più critica che non ha ancora trovato soluzione è proprio quella palestinese.

Un popolo di insediamento storico in Palestina che rischia oggi di essere cacciato dal suo territorio per via di una improvvida politica seguita dal Regno Unito fin dal tempo del colonialismo. Ecco, il romanzo, seguendo ormai un mio tipico cliché, intende denunciare questa anomalia, ovvero la promessa fatta dagli inglesi con la Dichiarazione Balfour del 1917 di creare un “focolare domestico” per gli ebrei. Un luogo identificato poi con la Palestina, ovvero con una terra che loro ancora non apparteneva per essere parte dell’Impero Ottomano.

Tra le “anomalie” suggerite dal titolo dell’opera, mi piacerebbe sapere di più sulla prima anomalia, quella biblica, sulla quale si innestano le anomalie successive.

Leggendo il romanzo ben si comprende come essenzialmente due siano le anomalie della Terra Promessa. La prima anomalia è di natura politica e, come prima precisato, risalirebbe alla Dichiarazione Balfour del 1917. Una promessa fatta dagli inglesi di destinare una terra agli ebrei quando ancora questa terra non era nel loro possesso. Io definirei questa promessa una sorta di vendita allo scoperto che il Regno Unito avrebbe al tempo fatto agli ebrei. Ed è la prima anomalia.

La seconda ha una matrice religiosa che risalirebbe alla Bibbia e più esattamente alla Genesi, quando Dio promette ad Abramo “la più bella di tutte le terre, la terra dove stilla il latte e il miele”, un luogo, questo, che coinciderebbe con la terra di Canaan, la Palestina di oggi. Ma Lei si domanderà ora dove sarà l’anomalia di questa promessa…

Ebbene, Dio promette ad Abramo che dalla sua stirpe nasceranno due grandi nazioni, una da Isacco, l’ebraica, l’altra da Ismaele, l’araba. Orbene i due popoli, sebbene per esegesi della Bibbia, avrebbero dovuto convivere, presumibilmente, in pace, ecco che oggi si trovano invece confrontati da un profondo contrasto. E non è forse questa una anomalia riconducibile proprio alla promessa fatta da Dio? Lascio ad ognuno dei lettori farsi un proprio giudizio sul caso.

Un aspetto interessante nella sua opera è la cura che pone nei dettagli di natura storica e nelle ambientazioni geografiche: perché l’arma segreta, il “cannone laser”, su cui è incentrata la narrazione sarà installata proprio sul Monte Ararat?

Sì, ricorro molto alla geografia nei miei romanzi. È vero. Ma credo sia doveroso per via dello spirito di aderenza alla realtà che anima tutte le mie opere. Mi spiego. Poiché la narrazione, sebbene trasfigurata da una trama di fantasia, rispecchia situazioni, fatti, avvenimenti concreti e reali, anche i riferimenti geografici devono avere un preciso ruolo nello sviluppo della trama.

E per la descrizione dei luoghi mi avvalgo molto spesso proprio della mia personale esperienza, come in Africa per esempio, o in Turchia dove mi sono spinto fino ai confini con l’Iraq e l’Iran in alta montagna e in condizioni assai critiche. Il Monte Ararat fa per l’appunto parte di questo mio bagaglio di esperienze. È una montagna splendida, altissima per via dei suoi 5100 metri, ma dolcissima nei profili che la descrivono.

Perché l’ho scelta? Semplice. Come luogo ideale per piazzare un cannone il cui raggio d’azione avrebbe dovuto essere assai ampio da comprendere i confini dell’Iran, dell’Iraq e della stessa Turchia.

Quali storie si raccontano sull’Arca?

Sulla possibilità che il Monte Ararat nasconda da qualche parte la famosa Arca di Noè vi sono tantissime storie e racconti, perfino anche ai limiti della leggenda.

Varie sarebbero poi le fonti, ma generalmente queste sono o armene, o, se documentate, provenienti da rapporti militari dell’ultima guerra. Si racconta per esempio che qualcuno abbia effettivamente visto un reperto dell’Arca, ma che questo periodicamente scompaia a causa dei ghiacci che in fasi alterne si formano in alcuni profondi canaloni ad alta quota. Si dice anche che qualcuno abbia in passato portato lui stesso un frammento di legno antico sul monte facendo credere che l’avesse trovato.

E poi, vi sono i rapporti dell’aviazione britannica e americana che farebbero stato di un uso militare dell’Ararat da parte dell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Si ipotizzerebbe addirittura la costruzione di una base militare poi fatta scomparire.

Certo è che la questione dell’Arca è ancora un mistero. Un enigma che affascina le menti e stimola i cuori a credere di porter effettivamente trovare la risposta al quesito della sua esistenza. Ma a ben guardare, quella sporgenza che talvolta appare e che talvolta scompare sotto i ghiacci dell’Ararat, non è forse anch’essa un’altra anomalia? Una anomalia di cui si serve il protagonista del romanzo, Abraham Kenen, per aprire una crisi di proporzioni bibliche al fine di salvare ancora una volta il popolo prediletto da Dio?

Possiamo parlare di “genocidio” del popolo palestinese, oppure anche in questo caso dobbiamo attenerci a quello che dicono i nostri Governi?

Siamo sinceri! Se, come è vero, l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso ha fatto molte vittime tra gli israeliani, la reazione di Gerusalemme, per quanto legittima quale forma di rappresaglia finalizzata all’auto-tutela è del tutto sproporzionata per entità di danni causati e per numero delle vittime. La rappresaglia, quella ammessa dal Diritto Internazionale, deve risultare obbligatoriamente proporzionata e commisurata al danno ricevuto. Orbene, mi sembra che l’azione condotta da Gerusalemme abbia largamente superato questi limiti e che sia sconfinata in quella forma di massacro che più propriamente si definisce “genocidio”.

Non avrei dubbi al riguardo, perché l’uccisione, fino ad oggi, di ben oltre 34.000 civili palestinesi non è il risultato di una semplice azione bellica i cui esiti erano difficilmente prevedibili! Al contrario. Il massacro è stato conseguenza di una operazione bellica programmata ed eseguita peraltro in un ristrettissimo lembo di terra per giunta ad alta intensità abitativa. Era tutto prevedibile. Per questo dico che per me è un genocidio. Ma vedremo come sentenzierà in merito la Corte Internazionale di Giustizia alla quale il Governo del Sudafrica si è rivolto citando in giudizio proprio il Governo di Israele.

Che cosa ha deciso di fare nel prossimo futuro?

Se Lei intende riferirsi alla letteratura, penserei forse per il prossimo romanzo ad una trama legata alla traumatica esperienza pandemica vissuta dalle società occidentali con il Covid-19. Ma dovrà essere una trama comunque avvincente, come mio stile, e al contempo un’occasione per denunciare i rischi che certi regimi sanitari implicano per la integrità della persona umana, sul piano corporale certamente, ma anche su quello della sua identità naturale.

Al di là della letteratura mi sono posto, però, anche un obiettivo molto più impegnativo: la politica. Ho deciso, infatti, di mettere la mia esperienza e le mie conoscenze al servizio di una causa ineludibile: cercare di rimettere in asse un corso politico dell’Europa degradatosi nei valori da perseguire. Il mondo in cui viviamo, infatti, è decisamente allo sbando oggi. Non abbiamo più riferimenti valoriali capaci di guidarci, ma anzi abbiamo una classe politica governante che li sta calpestando e distruggendo in nome delle “transizioni”, dall’ecologica alla digitale, dall’ambientale alla energetica. E di queste transizioni, ammettiamolo, non si comprendono i veri traguardi né i veri obiettivi.

E il tutto oltre ogni ragionevole spiegazione. La politica ha perso il suo vero protagonista: l’uomo. Dunque, occorre rimettere l’uomo al centro dell’azione politica e non farne un mero oggetto come sta oggi invece accadendo.

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