Inquietudini armene (Electomagazine 08.09.23)

Non è certo una novità. La regione caucasica, intrico di popoli, etnie, religioni, è sempre stata, per usare un eufemismo, inquieta. E lo è divenuta ancor di più, da che i diversi stati regionali sono divenuti indipendenti dopo il crollo dell’URSS.

Indipendenza che non ha, però, risolto molti nodi. Anzi, ha acuito tensioni e conflitti latenti e compressi dal dominio degli Zar rossi. Quello per il Nagorno Karabach, tra Azeri e armeni, ne è solo l’esempio più eclatante. Non certo l’unico. E, forse, neppure il più pericoloso.

 

E proprio dall’Armenia giungono, in queste ore, segnali gravidi di minaccia. Che potrebbero far sospettare una, prossima, esplosione di tutta la regione caucasica.

In sintesi, il primo ministro Armeno, Nikol Pashinyan, ha dichiarato pubblicamente che l’alleanza,cormai storica, con la Russia è un peso per Erevan. Un peso dal quale vuole liberarsi al più presto. Reazione secca del Cremlino. Che attraverso il suo portavoce, ha ribadito che il rapporto Russia Armenia è un’alleanza, un’amicizia “fra pari”. Nell’interesse di entrambi. Punto e a capo.

Ma non si tratta solo di parole. Sono state annunciate manovre militari congiunte fra l’esercito armeno e quello statunitense. Quasi una prolusione all’uscita di Erevan dall’alleanza con la Russia. E a un suo ingresso nella NATO.

Cosa questo possa comportare è facile immaginarlo. Trovarsi la NATO nel Caucaso, da sempre il suo “giardino di casa”, non è qualcosa che possa lasciare indifferente Mosca. E neppure Teheran, sino ad oggi l’altro alleato regionale dell’Armenia.

Fabio L. Grassi – che insegna alla Sapienza di Roma ed è uno dei massimi esperti della geopolitica caucasica – ha rilevato come sia angosciante notare che i leader armeni riescano, infallibilmente, a non azzeccarne una.

Infatti, abbandonare il campo russo per passare dalla parte americana, significa, in questo momento, un totale isolamento per l’Armenia. Che si trova circondata, fra vicini ostili. Da un lato Mosca e Teheran che, come dicevo, vedono come fumo negli occhi la presenza NATO nella regione. Dall’altro Azerbaijan e Turchia. Nemici storici. Una inimicizia acuita dalla crisi del Nagorno Karabach. Dove sembra sul punto di riaccendersi il conflitto.

Al di là dei calcoli, ed errori, del governo di Erevan, la situazione che si sta venendo a creare presenta un elevato tasso di rischio. Washington, ormai sempre più cosciente del fallimento ucraino, tende a generare un nuovo focolaio di tensione con Mosca nel Caucaso.

E siccome puntare sulla Georgia, in questo momento, appare difficile, per la riottosità della sua classe dirigente memore dell’infelice esperienza del 2008 – quando Tblisi fu abbandonata a se stessa di fronte al fulmineo attacco russo – punta, ora, sull’Armenia.

Per aprire, a Sud, un nuovo fronte nella complicata partita a scacchi per isolare, e in prospettiva smembrare, la Russia e la sua area di influenza.

Questa operazione potrebbe, però, facilmente scatenare un effetto a catena. Coinvolgendo anche la Turchia. Dove Erdogan non potrà certo accettare supinamente il sostegno, implicito, dell’Amico Americano alle rivendicazioni armene sul Nagorno. A spese di quell’Azerbaijan che, per Ankara, è un “paese fratello”.

L’amministrazione Biden rischia, dunque, un nuovo effetto boomerang. Strappando Erevan alla sfera di influenza russa, segna un ulteriore allontanamento dalla Turchia. E fa sì che Baku, sino a ieri abbastanza vicina a Washington, cominci a guardare con sempre maggiore interesse nella direzione di Mosca.

Il Caucaso è un mosaico delicato e complesso. Spostare una pedina implica sempre un gioco di reazioni a catena. Che possono portare a un ginepraio tale da far sembrare facile da comprendere l”attuale conflitto russo-ucraino.

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