In Armenia con Luca Argentero: i luoghi di “Hotel Gagarin” (Siviaggia.it 28.05.18)
Hotel Gagarin“, il nuovo film di Simone Spada con Luca Argentero come protagonista, ha per set un paesaggio non certo rigoglioso. Anzi. Girato in Armenia, manda in scena luoghi duri, inusuali e forse proprio per questo tanto affascinanti.
Le riprese, che si sono svolte tra il gennaio e il febbraio 2018, sono cominciate ad Erevan, capitale dell’Armenia. Costruita sulle rive del fiume Hrazdan, alle pendici del monte Ararat, Erevan è collegata via aereo a diverse città europee: Roma (con Air Italy, ex Meridiana), Londra, Vienna, Praga, Monaco di Baviera, Parigi.
Come tutta l’Armenia, è un luogo lontano dal tradizionale concetto di turismo: tra le mete che meritano una visita troviamo la Katoghike, la più antica chiesa della città fuggita alla distruzione stalinista, e l’Archivio Matenadaran, con la sua collezione di antichi manoscritti armeni, greci, siriani, ebraici, persiani e romani.
Everan, Armenia
C’è poi il Teatro dell’Opera e ci sono zoo, orti botanici, musei, come il Metz Yeghern (Il Grande Male), dedicato al genocidio del 1915 – 1916. Infine, il Giardino dei Giusti: qui, nel Muro della Memoria, sono tumulati pugni di terra delle tombe di tutte quelle grandi personalità che hanno fatto qualcosa per aiutare gli armeni peseguitati, tra cui l’italiano Giacomo Gorrini.
Le riprese di “Hotel Gagarin” con Luca Argentero sono poi continuate a Sevan, villaggio dell’entroterra famoso per il suo omonimo lago. Ed è proprio il lago di Sevan, una delle maggiori attrative turistiche del Paese: lago più grande dell’Armenia, nonché uno dei più grandi laghi d’alta quota al mondo, è cicondato da monasteri medievali ed è abitato da una fauna rara: qui si riproduce il gabbiano armeno, qui vivono il coregone del lago Ladoga e il gambero turco e, soprattutto, la trota di Sevan.
Lago di Sevan, Armenia
Secondo la leggenda, durante le invasioni barbare, gli abitanti di Sevan attraversarono le acque gelate del lago per raggiungere la vicina isola in cui sorgeva il monastero di Sevanavank, e qui si barricarono pregando Dio di salvarli; gli arabi tentarono anche loro di attraversare il ghiaccio, che però cedette facendoli cadere nelle gelide acque, uccidendoli.
E se si volesse soggiornare proprio all’Hotel Gagarin? In realtà, il suo vero nome è Akhtamar Hotel: si trova a Mashtotsner Street 3, a due passi dal lungolago che circonda il lago di Sevan.
Hotel Gagarin, sognatori e pataccari alla conquista dell’Armenia (Il Messaggero)
Il film di un sogno. O il sogno di un film, fate voi. In un caso o nell’altro è la storia di qualcosa che non si farà perché un produttore pataccaro chiamato Paradiso riesce a scappare coi soldi e spedire all’inferno attori e tecnici improvvisati quanto lui, ma con l’illusione di cambiar vita. Troupe e cast che più sgangherati non si potrebbe: cinque reietti – un professore, una prostituta, un operaio, un fotografo, un’ambigua “produttrice esecutiva” – deportati da Roma in un’Armenia immacolata e glaciale dove scoprono la verità ai piedi dell’Hotel Gagarin, casermone in mezzo al nulla destinato a farli “prigionieri” a lungo: senza negar loro, però, approcci amorosi e il sogno del “film” con l’aiuto degli abitanti di un vicino villaggio. Tra echi da “Lo stato delle cose” di Wim Wenders e i modi d’una romantica e bizzarra riflessione sul cinema, la commedia sollecita un soffice divertimento prima di declinare in favola e aprirsi a uno scenario fantasioso che s’accompagna alla qualità della recitazione collettiva e ai pregi pittorici di una fotografia palpitante.
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Come si fa a essere felici? Risponde il cast di Hotel Gagarin
Quanto conta la fortuna e quanto la volontà quando si parla di essere felici?
Siamo artefici della nostra felicità o piuttosto ci cade dall’alto, o ci si nasce, o capita?
Il sottotesto di Hotel Gagarin, opera prima di Simone Spada (al cinema dal 24 Maggio), fa sì che uscendo dalla sala ci si chieda se si sta facendo abbastanza per essere felici.
Il film, con Claudio Amendola, Luca Argentero, Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova, Silvia D’Amico, Caterina Shulha e Philippe Leroy, è una commedia corale in cui viene raccontata la (dis)avventura di un gruppo di cinque spiantati italiani uniti da un unico comune denominatore (non hanno niente da perdere) che si ritrovano bloccati in Armenia e scoprono di non aver mai capito niente riguardo la felicità.
Abbiamo incontrato il cast e approfondito con loro l’argomento.
Ecco cosa ci hanno raccontato.
Innanzitutto, la trama.
Per ottenere del denaro (e con l’idea di sparire) una rete di truffatori e aspiranti tali inscenano la produzione di un film ambientato in Armenia.
Per potersi tenere il gruzzolo più grosso, le spese devono essere ridotte al lumicino, e dunque al posto di attori e tecnici vengono ingaggiati tre personaggi che col cinema non hanno niente a che fare, con la promessa di soldi facili e un’esperienza da sogno.
Insieme a loro, l’autore della sceneggiatura, un professore di belle speranze, quella che dovrebbe essere una producer (e invece fa parte dell’organizzazione della truffa) e una guida locale.
Tempo di arrivare in Armenia scoppia una guerra e loro vengono bloccati dall’esercito all’interno dell’Hotel Gagarin, isolato nei boschi e circondato dalla neve.
Ognuno di loro reagirà in modo molto diverso.
«L’unica vera colpa dell’essere umano è l’immobilità», risponde Luca Argentero, quando gli chiediamo cosa pensa riguardo la felicità: siamo vittime del destino o artefici della nostra fortuna?
«I nostri personaggi sono dei precari indolenti e non hanno speranza di raggiungere la felicità restando fermi dove stanno. Sono costretti ad andare fino in Armenia, ma anche quando sono lì non sono capaci di cogliere l’occasione. Cominciare a essere felici dev’essere sicuramente prima di tutto una decisione, la fortuna è un’altra cosa».
Qual è il consiglio migliore che ti sia stato dato sull’essere felice?
«I consigli migliori sono quelli che ti vengono dati quando non li hai chiesti, penso alle cose che ti spiegano i nonni, che lì per lì non reputi importanti e poi magari anni dopo ti torna in mente come una folgorazione e capisci cosa voleva dire perché è in assoluto il consiglio migliore che potessi ricevere in quel momento.
Mio nonno siciliano mi ha trasmesso la passione per l’orto e diceva sempre che la terra è l’unica cosa davvero democratica perché è bassa per tutti.
E quindi adesso quando sono nell’orto zappettando col mal di schiena mi dico che “vedi non importa chi sei da dove arrivi, se sei piegato sulla terra la schiena fa male a tutti nello stesso modo”. E allo stesso modo ci sono delle occasioni sociali, dei momenti, delle situazioni in cui siamo tutti metaforicamente piegati sulla terra.
«Per quanto riguarda la felicità, penso che la chiave di volta per iniziare a essere felici sia la curiosità: viviamo sempre di più chiusi in realtà fittizie e virtuali, dove la curiosità è circoscritta a quello che vediamo su uno schermo, da cui non alziamo mai lo sguardo.
Il fatto è che così facendo finiamo per aver paura di ciò che è diverso e del nuovo, e questo è l’opposto della curiosità, della speranza e di conseguenza della felicità».
«La forza di volontà conta 70% insieme al carattere, la fortuna al 30%», tratta Silvia D’amico.
«Poi se vuoi motivarti quando hai già preso una decisione puoi anche leggere l’oroscopo, ma gli si deve credere solo se è positivo, se no no».
«Avendo scelto un mestiere come il mio, che è tutto tranne che certo, devi affrontare delusioni a non finire e metterti in gioco per ricominciare, e per farlo serve tanta forza di volontà nel chiudere e ricominciare.
È una fatica pazzesca ma anche uno stimolo, ti dà una gran vitalità il fatto di metterti in gioco».
«Quando non si ha niente da perdere si è sicuramente più coraggiosi», risponde Caterina Shulha.
«Se un anno e mezzo fa mi avessi chiesto come reagisco ai momenti di difficoltà ti avrei risposto che tendo a scappare dalle occasioni e dalle difficoltà, perché mi ha sempre fatto un po’ paura l’idea del cambiamento.
Poi però sono diventata mamma e questo ti cambia la palette che hai davanti.
La verità è checché se ne dica non dovremmo sempre guardare avanti: a volte fa bene anche guardare indietro e vedere fin dove sei riuscito ad arrivare.
Perché a volte ci sembra di non essere arrivati da nessuna parte se guardiamo avanti, mentre se ci fermiamo e facciamo il punto su quanta strada siamo riusciti a percorrere è più facile essere felici e a quel punto anche trovare la forza per andare avanti e il coraggio per farlo ancora meglio».
«La fortuna incontra le persone con la volontà», concorda Barbora Bobulova, la finta producer nel film.
«Apparentemente la società di oggi offre tutto, senza nemmeno bisogno di uscire di casa, ma è un Paradiso fittizio, anche rischioso.
Oggi la felicità è sempre di più legata all’essere coraggiosi, a chi sa andare controcorrente o osare. Certo, non c’è necessariamente bisogno di andare dall’altra parte del mondo, si può ricominciare anche appena fuori da casa propria».
Fa davvero così freddo come sembra dallo schermo?
«Ma no, sono loro che non sanno vivere il freddo (parlando dei colleghi, che hanno risposto di sì all’unisono, ndr) – c’era freddo, sì, eravamo pur sempre a meno 20 gradi, ma è un freddo secco, non è come quello umido qui che ti entra nelle ossa.
E poi considera che noi eravamo copertissimi, in tuta da sci e moon boot, mentre le persone del posto erano in jeans, giacca di pelle e mocassini, quindi forse è proprio un problema nostro, che non siamo abituati a quelle temperature».
«Perché i viaggi sono il miglior modo per essere felici», spiega il regista, Simone Spada.
«Arricchiscono la propria visione del mondo. Non si può riuscire a essere empatici più di tanto con quello che si vede solo attraverso gli schermi.
Certo, io sono di parte, perché amo viaggiare (d’altra parte lo si capisce anche dal fatto che sono andato a girare un’opera prima in Armenia), ma conoscere le culture diverse dalle nostre, vivere per il tempo di un viaggio una vita altra rispetto alla nostra, è una porta verso la felicità.
Dovessi decidere di realizzare un sogno? Come nel film, hai cinque righe per descriverlo.
Me ne basta una: che la Roma vinca lo scudetto».
Photo credits: Andrea Miconi