Il romanzo epico del Genocidio Armeno, Ian Manook racconta la storia (vera) della nonna Araxie (Il Messaggero 22.04.22)
Tutto inizia nel 1915, nei dintorni di Erzerum, territorio turco dove esisteva, all’epoca, una fiorente comunità armena. Il romanzo decolla subito, potentissimo, come se fosse un film, proiettando con forza all’esterno, già nelle prime pagine, le scene strazianti e crudeli della cacciata degli armeni dalle loro case. Il destino aveva segnato la minoranza cristiana che viveva numerosa sotto l’impero ottomano ed era stata destinata al macello dal governo mediante un piano premeditato, efficace e terrificante.
«I bambini non capiscono nulla della guerra. Preferiscono stuzzicare gli scarabei dorati nell’ombra azzurra degli eucalipti». Inizia così «L’uccello blu di Erzerum» di Ian Manook, l’ultima opera dello scrittore francese di origine armena (il vero cognome è Manoukian) pubblicato da Fazi (pagine 520, euro 20,00) alla vigilia della Giornata per il ricordo del genocidio armeno che si celebra in tutto il mondo il 24 aprile.
Le protagoniste sono due bambine: Araxie (che poi è la nonna dell’autore) e Haiganouch, entrambe sopravvissute allo sterminio. Avevano appena 10 e 6 anni quando furono catapultate in cammino incredibile, denso di colpi di scena, sospeso tra l’urgenza di restare vivi e l’oppressione di un passato tragicamente spazzato via dall’oggi al domani. Il romanzo è commovente, crudo, benchè altamente documentato per accompagnare gli orrori vissuti e la diaspora dei sopravvissuti.
L’autore nella prefazione precisa di essersi basato sui racconti della nonna decise di affidare quei ricordi ai nipoti, saltando di fatto la generazione di mezzo perché temporalmente ancora troppo vicina a quei fatti tanto dolorosi. La memoria di Araxie è la base di partenza. Nella prima scena le bimbe terrorizzate vedono la madre torturata e bruciata viva, una sorellina squartata e la stessa Haiganouch diventare cieca. I soldati che erano entrati nella loro casa per compiere il delitto «sono turchi, sono tchetè. Sono musulmani e loro sono cristiane». Sullo sfondo intanto si programma la marcia della morte di altri migliaia di armeni destinati al macello, deportati verso l’ignoto. Le bimbe ormai orfane e sole al mondo vengono affidate prima a parenti e poi vengono salvate da una signora che si spaccia per la loro nonna, insegnando alle piccole a non morire di fame lungo il percorso tracciato dai soldati ottomani, lungo zone desertiche da attraversare senza acqua e cibo. Anche loro sarebbero dovute morire così, in quel tragitto, come tutti gli altri armeni dove in effetti ne moriranno fino un milione e mezzo, benché il computo fu fatto solo alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918, quando le potenze europee iniziarono a occuparsi delle centinaia di migliaia dei piccoli orfani rimasti in vita. Araxie e Haiganouch non arrivarono mai al deserto di Deir-er-Zor (oggi territorio siriano) nè ai campi di concentramento allestiti dai turchi, ad Aleppo. Un medico le vide prima e le acquistò come schiave. A quel punto le loro vite si intrecciano con quelle di due altri bambini, anch’essi rimasti orfani, Agop e Haigaz.
Haigaz, una volta in Francia, anni dopo, incontrerà Araxie e la sposerà. Haiganouch, invece, si muoverà in Unione Sovietica dove diventerà scrittrice e poetessa. L’uccello blu di Erzerum si chiude nel 1939, alla vigilia di un’altra guerra, foriera di un secondo genocidio ancora più devastante: la Shoah. Il libro è una grandiosa ed epica saga familiare, carica di umanità capace di offrire le chiavi emotive per entrare nelle dinamiche nascoste dell’odio che fu alla base del primo genocidio del 900.