“Il popolo armeno è vivo e vuole dirlo al mondo” (Il Giornale 22.04.21)
Ancora oggi, in Turchia, chi si azzarda a utilizzare la parola «genocidio» per definire la strage degli armeni perpetrata tra il 1915 e il 1916 rischia una condanna ad anni di carcere. La negazione della colpa più grave commessa in nome del nazionalismo turco è uno dei cardini ideologici dell’attuale regime autoritario, e di matrice sempre più islamica, guidato da Recep Tayyip Erdogan. Un dogma assurdo, perché fondato su un sofisma che pretende di ridurre il sistematico massacro di un milione e mezzo di persone inermi a un capitolo marginale della più vasta storia delle inutili stragi della Prima guerra mondiale. E tutto questo per negare ciò che è provato dalle fonti storiche: e cioè che già dalla fine dell’800 l’impero ottomano aveva cominciato ad attuare il progetto dello sterminio delle minoranze non solo armene, ma anche greche e assire all’interno dei suoi confini. Una pulizia etnica su basi anche religiose che fa impallidire per dimensioni e crudeltà quella perpetrata dai serbi in Bosnia negli anni ’90 del secolo scorso, e per la quale lo scoppio della Grande Guerra fornì solo l’atteso pretesto.
Per quanto Erdogan s’infuri e minacci di ritorsioni a chiunque, anche all’estero (Papa Bergoglio compreso, che meritoriamente se n’è infischiato), rinfacci alla Turchia questa sua vergogna, i fatti rimangono. Il 70 per cento della popolazione armena di allora fu sterminata, soprattutto nelle regioni orientali abitate da millenni da questo popolo orgoglioso che resistette all’impero romano vittorioso e che per primo al mondo, intorno all’anno 300, fece della religione cristiana il pilastro della propria identità nazionale. Le modalità con cui i nazionalisti denominatisi Giovani Turchi attuarono uno dei massacri meno ricordati del mondo furono orrende: si cominciò uccidendo a sangue freddo in terribili pogrom centinaia di migliaia di uomini. Si proseguì poi deportando donne e bambini verso il deserto della Siria, dove venivano abbandonati a morire di fame e di sete. Vi furono episodi bestiali, come l’applicazione di ferri da cavallo ai piedi dei bambini per mezzo di chiodi: a tanto può arrivare l’odio nazionalistico e religioso.
Quello che gli armeni chiamano Medz Yeghern (il Grande Male) era però cominciato altrove, a Costantinopoli, con gli omicidi mirati nelle case degli intellettuali armeni. Era il 24 aprile 1915. Ed è per questo che il 24 aprile è diventata la data che ogni anno marca nel mondo il doloroso ricordo del genocidio degli armeni. Perché oggi sono calcolati in undici milioni i discendenti della diaspora armena sparsi dall’Europa alle Americhe all’Australia. Gente orgogliosa e fiera della propria identità, che non dimentica mai pur integrandosi bene e volentieri nei Paesi in cui vive. Anche in Italia, naturalmente. Ed è in Italia che Paolo Kessisoglu, popolarissimo attore e conduttore tv genovese di origini armene, ha deciso di lanciare per questo 24 aprile un’iniziativa a sostegno della memoria e dell’identità del suo popolo. Un corto intitolato semplicemente Io sono armeno in cui tanti armeni italiani più o meno illustri prestano il loro volto e la loro voce.
Paolo, tu sei famoso in Italia per il tuo lavoro di attore comico, ma qui ti sei impegnato per una causa molto seria. Ci spieghi che cosa vuole essere Io sono armeno?
«È uno strumento video, che ho ideato e prodotto insieme al mio amico ed ex ambasciatore armeno in Italia Sargis Ghazaryan, a Desirée Restuccia e con la collaborazione di Sonia Chiarotto, che raccoglie volti e voci di 40 armeni d’Italia per farci conoscere e riconoscere. Persone dei più vari talenti: oltre al sottoscritto, ci sono tra i tanti il calciatore della Roma Henrykh Mkhitaryan, la scrittrice Antonia Arslan, l’ambasciatore Laura Mirachian, l’attrice Laura Efrikian, l’accademico dei Lincei Ermanno Arslan, ma anche persone più normali, imprenditori, ristoratori, lavoratori. La loro testimonianza vuole ricordare agli italiani il valore della nostra presenza, l’orgoglio di un popolo antico con la sua identità cristiana. E purtroppo dobbiamo anche ricordare a chi non lo sa che il negazionismo, in particolar modo quello turco, uccide ancora. L’indifferenza e, peggio, l’insistere nel negare la verità storica significa mancare di rispetto a milioni di vittime innocenti di un odio etnico che non ha più senso».
Odio che tra l’altro continua a manifestarsi drammaticamente anche in questi mesi con la guerra lanciata dagli azeri, con l’appoggio militare dei turchi, contro gli armeni del Nagorno-Karabakh.
«Quella in realtà non è una guerra. Gli armeni sono pochi e non intendono prevaricare nessuno. Mentre Erdogan ha avuto il coraggio di dire in una seduta parlamentare che l’intento turco è finire quello che i nostri nonni non hanno portato a termine. Un linguaggio agghiacciante, ed è triste che l’Europa resti a guardare mentre la Turchia usa la sua potenza per tradurlo in atti violenti. È giusto che di questo si parli, e che il governo italiano prenda posizione».
Chi sono coloro che in Italia potete chiamare amici?
«Sono molti anche nella politica. È qualcosa che appartiene alla sensibilità individuale, un sostegno dunque che definirei trasversale. Mentre a livello internazionale la situazione è complessa, e per esempio il ruolo della Russia non è sempre coerente e comprensibile».
Venendo alla vostra iniziativa per il 24 aprile, quali tracce speri che lasci?
«Il desiderio, al di là della ricorrenza che pure è importante, è soprattutto quello di far conoscere il popolo armeno come un popolo vivo. Nella percezione comune è un popolo sterminato e disperso, o magari sconfitto dagli eventi come nel caso del terribile terremoto che fece strage nel 1988: insomma gli armeni sono visti come persone occupate a piangere le proprie disgrazie storiche. Invece noi siamo un popolo forte, e fiero di partecipare alla vita sociale, politica ed economica anche dell’Italia. Questo dicono i quaranta protagonisti del video. Ma il claim Io sono armeno possono pronunciarlo tutti, e noi speriamo che diventi virale»