IL NAGORNO-KARABAKH TRA IERI E OGGI (Gariwo 05.12.23)
Gli armeni da 2600 anni non hanno mai iniziato una guerra. L’impero armeno di Tigran il Grande agli albori dell’era cristiana, formatosi per cooptazione delle varie etnie anatolo-caucasiche, si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio, al Mediterraneo. Da allora si sono succeduti stati, regioni, province armene disseminate nell’area, sostenute spesso non da entità statuali, ma fondatesi da rapporti umani, religione, lingua, arte. L’Artsakh, l’odierno Karabakh, ha goduto di autonomia fino dall’antichità sotto i più svariati regimi: persiani, romani, arabi, turchi selgiuchidi, tatari, ottomani, ancora persiani, russi, sovietici, tataro-azeri.
Oggi non esiste più, cancellato dalle carte geografiche. Con la dissoluzione dell’URSS, secondo una legge sovietica, ogni stato, repubblica, regione, provincia autonoma aveva diritto di divenire indipendente. Il Nagorno Karabakh dichiarò, dopo un referendum, la sua volontà di indipendenza. L’Azerbaigian, resosi a sua volta indipendente dall’URSS, non accettò l’indipendenza del territorio autonomo del Karabakh. Ne seguì una guerra che è durata più di trent’anni, fino all’ottobre del 1923. Il Karabakh, dopo quasi un anno di carestia provocata dagli azeri, venne attaccato dall’esercito azero. Invece di opporre resistenza all’attacco, il Karabakh intero si arrese alla prepotenza, 120.000 armeni lasciarono la loro patria ancestrale e divennero profughi.
La stessa cosa era accaduta nel corso dei millenni, gli armeni si sono sempre arresi, sono andati in diaspora nelle terre vicine e lontane, senza mai subire il fascino di ricorrere alla violenza.
Oggi gli armeni devono sentirsi orgogliosi della resa di fronte alla violenza. Hanno preferito salvare vite piuttosto che combattere per un pezzo di territorio.
Per gli armeni l’”uomo” è più importante della terra su cui abita. E questo è un monito che l’antichissima civiltà armena scaglia contro i possessori, i conquistatori, i conservatori di un pezzo di terra che stanno imbrattando il mondo di cadaveri.
Cosa sarebbe la Terra senza l’”Uomo”? Un luogo di sola violenza.
Gli armeni lanciano un grido all’umanità: “Lasciateci perdere!”
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Luis Moreno Ocampo sul Karabakh
Luis Moreno Ocampo, il primo procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) seguita al Trattato di Roma, intervistato da Harout Mardirossian per France Armenie del novembre 2023, così si è espresso riguardo la situazione attuale in Karabakh: “È un genocidio”.
In quanto procuratore della CPI, ha lavorato per accusare e perseguire Omar el Bechir per genocidio in Sudan: è stata una lotta difficile che è riuscito a vincere e perciò conosce bene gli aspetti legali e quelli politici che implicano tale attività. Ciò che più impressiona nel caso degli armeni del Karabakh è la decisione della Corte Penale di Giustizia dell’ONU, che spiega perché si tratta di “genocidio”. Il fatto essenziale dell’utilizzo del termine genocidio è che non è stato deciso da Luis Moreno Ocampo, ma da 50 giudici della Corte Internazionale di Giustizia. Hanno ascoltato l’Azerbaigian e gli avvocati dell’Armenia e hanno deciso che il blocco del corridoio di Lachin ha messo in pericolo la vita della popolazione armena del Karabakh. La convenzione sul genocidio non richiede che ci siano dei morti. Uccidere è una forma genocidaria, ma esistono anche altre forme di genocidio, quali la carestia procurata e il blocco alimentare. Come nel 1915, quando gli armeni sono stati forzati ad abbandonare le loro case per marciare nel deserto. I primi giorni non morivano, ma si trovavano in una situazione che li avrebbe condotti alla morte. È per questo che il blocco del corridoio di Lachin si configura come un genocidio. Ma dopo il blocco si è verificata un’altra fase genocidaria quando l’Azerbaigian ha iniziato ad uccidere centinaia di armeni. Anche l’esilio forzato che ne è seguito è genocidio. Si hanno quindi tre forme genocidarie nel caso degli armeni del Karabakh. I media e i diplomatici parlano di “crisi umanitaria” , di “conflitto”, ma non è così quando dei civili armeni vengono uccisi da forze armate azere. Secondo Ocampo, Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, dovrebbe già trovarsi in carcere, o andare in prigione o essere oggetto d’inchiesta della Corte Penale Internazionale, se non della Corte di Giustizia Nazionale.