Il genocidio degli armeni, riconosciuto dagli USA agita Erdogan (Opinione 04.11.19)
Martedì 29 ottobre, a seguito del riconoscimento da parte della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti del “genocidio armeno”, Ankara ha convocato l’ambasciatore degli Usa, in Turchia, David Satterfield.
Potremmo sintetizzare, con queste poche parole, un tema di assoluta rilevanza storica e sociologica, che come altri fenomeni simili, rientra in un “negazionismo anacronistico” al quale ci si aggrappa solo per ottusità globale. Il voto Usa ha un “profilo” chiaramente simbolico, evidentemente non porterà ripercussioni o sanzioni a carico della “Nazione” artefice, ma ovviamente è un riconoscimento importante, che dopo la commemorazione francese del 24 aprile scorso, giorno della “Memoria armena” in memoria della retata di intellettuali armeni avvenuta a Costantinopoli nel 1915, spalanca un ampio canale di “giustizia storica”, che sta provocando l’ira di Recep Tayyip Erdoğan.
Ipotizzando che in politica la casualità è improbabile, la decisone presa dalla Camera dei Rappresentati, unita a quello che sta accadendo nelle ultime settimane nell’area del Vicino Oriente, dove è conclamata la forte tensione tra gli Stati Uniti e la Turchia (sinteticamente), potrebbe apparire come un “colpo” strategico all’arroganza della politica di Ankara. Politicamente Erdoğan è alla ricerca di una rivincita “globale” dopo le sconfitte elettorali interne; non si esime dall’utilizzare vittime curde o irachene o siriane, al fine di immaginare una ripresa dei consensi in patria, ma l’ampliamento del riconoscimento del genocidio del popolo armeno, apre un altro difficile fronte politico da gestire.
Nancy Pelosi, presidente della Camera dei rappresentanti, ha affermato che: “Troppo spesso, tragicamente, la realtà di questo abominevole crimine è stata negata”… “Oggi stiamo dicendo chiaramente, in quest’Aula, che verranno incisi nel marmo degli annali del Congresso, che gli atti barbarici commessi contro il popolo armeno costituiscono un genocidio”.
Il “testo” della “risoluzione”, votato dall’Aula Usa, si è basato sull’approvazione dei seguenti punti: “la commemorazione del genocidio armeno”; “il rifiuto dei tentativi di associare il governo degli Stati Uniti alla negazione del genocidio armeno”; e la necessità di “educare su questi fatti”. La sensibilità dei “Rappresentati” si è espressa con una sorprendente e rara comunione di vedute tra democratici e repubblicani, che hanno adottato con 405 voti su 435 (undici contrari), la complessità della risoluzione proposta.
Ricordo, brevemente, che il genocidio del popolo armeno avvenne in due fasi: la prima fase, che potremmo definire propedeutica, tra il 1890 ed il 1896, dove l’antica comunità cristiana degli armeni iniziò a subire una prima forte oppressione da parte “turca”; la seconda inizia il 23-24 aprile 1915 con l’arresto, a Costantinopoli, di quasi 3000 armeni: leader di comunità, funzionari pubblici, studenti, commercianti, uomini d’affari, dirigenti politici, intellettuali e giornalisti, segnando l’inizio, del “Genocidio”. La “pulizia” etnica dell’Anatolia, della Cilicia, della città di Zeytun, della regione di Van, verso il Mar Nero, fino al confine persiano, non può essere negata; gli storici ne danno conferma, cosi come circa trenta Nazioni; i numeri del Genocidio, perpetrato durante la Prima guerra mondiale, stimano dal milione al milione e mezzo, gli armeni uccisi dalle truppe dell’Impero ottomano (successivamente la Porta strinse alleanza con gli altri imperi in “liquidazione”, quello germanico e quello austro-ungarico).
L’annuncio del voto della Camera dei Rappresentati è stato accolto, dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan, con riconoscenza e profondo apprezzamento: “saluto il voto storico del Congresso americano che ha riconosciuto il genocidio armeno”, affermando inoltre che la risoluzione “è un passo coraggioso verso la verità e la giustizia storica, che offre anche conforto a milioni di discendenti dei sopravvissuti al genocidio armeno”.
Da parte sua la Turchia, tramite il proprio Ministero degli Esteri, ha affermato che: “Questo atto politico insignificante si rivolge esclusivamente alla lobby armena e ai gruppi anti-turchi”, criticando la decisione presa ha affermato: “Riteniamo che gli amici americani della Turchia a favore della continuazione dell’alleanza e delle relazioni amichevoli, si domanderà il perché di questo grave errore”.
Recep Tayyip Erdoğan, mercoledì, durante un discorso ai deputati nella capitale turca, ha dichiarato: “Vediamo questa accusa come il più grande insulto alla nostra nazione”, aggiungendo: “Mi rivolgo al pubblico americano e al resto del mondo: questa misura non ha valore, non la riconosciamo”.
Nel “gioco delle parti” martedì, la Camera dei Rappresentanti Usa, a seguito del voto sul “genocidio armeno”, ha anche approvato all’unanimità un “documento” che annuncia sanzioni contro i dirigenti turchi che hanno deciso l’offensiva in Siria, prevedendo sanzioni anche verso istituti bancari turchi.
Per concludere, il disegno di legge dovrà essere approvato dal Senato e dalla Camera Alta del Congresso Usa per diventare esecutivo; nel frattempo le ire di Erdoğan, tra ricatti e minacce, terranno alto il suo nome nella drammatica ricerca di attenzione “geopolitica” e consenso interno, utilizzando “teatralmente” i tragici “fatti storici” del passato e di cronaca, come “scudi umani” delle sue difficoltà a gestire un compito fuori dalla sua portata.