IL GENOCIDIO ARMENO, OGGI. 105 ANNI DI NEGAZIONISMO TURCO (Di Marco Tosatti)
Marco Tosatti
Il 24 aprile di centocinque anni fa, a Istanbul, cominciava il genocidio degli armeni, ad opera del governo turco; il primo genocidio del secolo dei genocidi, quello che ha ispirato ai nazisti il “know how” che avrebbero applicato, mutatis mutandis, nei confronti degli ebrei. Non a caso il capo dell’intelligence tedesca in Turchia durante il genocidio definiva gli armeni gli ebrei di quella zona geografica; ed egli stesso rimase ucciso, mentre era a braccetto, realmente a braccetto, con Adolf Hitler durante il fallito putsch di Monaco.
Una grande differenza separa questi due crimini mostruosi. Mentre la Germania postbellica ha riconosciuto le responsabilità del regime nei confronti dello sterminio, i governi turchi, a partire da quello di Kemal Ataturk, hanno messo in opera una determinata implacabile azione di negazionismo, che dura fino ad oggi, a dispetto delle evidenze storiche – anche di storici turchi, che per il loro coraggio sono costretti a vivere in Occidente – che a oltre un secolo di distanza non fanno che aumentare.
Si capisce allora perché sia necessario, a oltre un secolo di distanza da quello che gli armeni definiscono il Metz Yeghern, il Grande Male, che ha portato alla morte in maniera atroce un milione e mezzo di uomini, donne e bambini, continuare a fare memoria; perché un governo che nega un crimine è un governo pericoloso, pronto – come peraltro vediamo anche oggi – a compierne altri.
“Il Consiglio esecutivo dell’ebraismo australiano, l’organo nazionale eletto di punta che rappresenta la comunità ebraica australiana, si unisce ai nostri colleghi del Comitato nazionale armeno d’Australia nell’invitare tutte le nazioni e tutti i governi a riconoscere la realtà del genocidio avvenuto tra il 1915 e il 1923, quando più di un milione di armeni, greci e assiri, quasi tutti civili, persero la vita per mano del califfato ottomano, e molti altri furono espulsi dalle loro case”, si legge nella dichiarazione firmata dal Co-CEO dell’organizzazione, Peter Wertheim.
“Alla luce di tutte le prove, non si può seriamente suggerire che queste azioni, mirate a civili su così vasta scala, e condotte con sistematica brutalità, siano state un mero caso di guerra. L’ECAJ ha da tempo accettato il verdetto schiacciante degli studiosi di storia secondo cui le uccisioni e le espulsioni sono state effettuate con intento genocidario”.
La dichiarazione conclude: “L’opportunità politica non deve mai accecarci di fronte alla verità storica. Un crimine non cessa di essere un crimine semplicemente perché viene negato, non importa quanto spesso la negazione venga ripetuta. Il flagello del genocidio può essere superato solo quando i leader politici si uniscono per identificarlo e condannarlo”.
Dal 1923, la Turchia ha negato di aver commesso quello che è stato definito il genocidio armeno. (Così come ha negato la stessa responsabilità verso Assiri e Greci). Ha fatto pressione sui suoi alleati affinché si astenessero dal dichiarare ufficialmente gli eventi un “genocidio”, che le Nazioni Unite definiscono come atti commessi con “l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Ma in un voto che rappresenta una pietra miliare, alla fine del 2019, sia la Camera che il Senato degli Stati Uniti hanno sfidato quella pressione e il peso di oltre 40 anni di precedenti. Hanno approvato una legge che dichiarava che l’uccisione di 1,5 milioni e mezzo di armeni da parte dei turchi ottomani era, in realtà, un genocidio.
Quest’anno in molti Paesi la commemorazione del genocidio armeno non potrà svolgersi secondo le modalità consuete, a causa delle misure di contenimento della pandemia di Covid 19, e molte cerimonie avranno un palcoscenico virtuale. Ma avverranno: ed è bene che ciò accada, fino a quando un’assunzione di responsabilità da parte di un governo turco non compia un grande gesto di pacificazione, verso gli armeni di oggi, e la memoria delle vittime.