Il filo tragico che lega il genocidio armeno e la Shoah è l’Islampolitik (Il Foglio 27.04.17)
– JUDEN UND ÜBERJUDEN, EBREI E SUPEREBREI. Questo titolo delirante, antisemita e – come si vedrà – antiarmeno, corrispose alla normalità della politica, della cultura e dell’informazione tedesca dagli anni Novanta del XIX secolo sino al nazismo. Ciò basti per comprendere l’importanza e la preziosità della grande mostra sul Genocidio Armeno, il Metz Yeghern, che oggi si inaugura al Memoriale della Shoah di Milano.
L’Islampolitik – economica, strategica e culturale – del Kaiser Guglielmo II normalizzò la stampa in chiave antiarmena e filoturca, adottando argomenti e stereotipi antisemiti contro questo antico popolo cristiano. Una delle poche eccezioni fu il Frankfurter Zeitung, quotidiano fondato da due ebrei tedeschi – L. Sonneman e H.B. Rosenthal – schieratosi in difesa degli armeni.
Nel 1913 – dopo i massacri degli armeni di Adana (1909) – l’ambasciatore tedesco Wangenheim, sostenne che quella dell’alleato turco era “la naturale reazione al sistema parassitario dell’economia armena. E’ noto che gli armeni sono gli ebrei di oriente”. E ancora: “Le attività economiche, che altrove sono portate avanti dagli ebrei, ossia la spoliazione dei poveri, sono qui condotte esclusivamente dagli armeni. Nemmeno gli ebrei sefarditi ivi residenti possono competere con loro”. Gli armeni, in pratica, erano peggiori persino di noi ebrei: si trattava di überjuden, “superebrei”!
L’Islampolitik si saldò con i provvedimenti omicidi del “sultano rosso”, il famigerato Sultano-Califfo Abdul Hamid II (1894-1896). Si ripropose poi, con silenzi, connivenze e collaborazioni con i Giovani Turchi nel corso del Genocidio Armeno. Ebbe, infine, un’ulteriore oscena riedizione con la sinergia tra Mussolini, Hitler e i vari movimenti jihadisti, che da allora saldarono all’islam politico innumerevoli elementi nazifascisti, divenuti pandemici sino a oggi.
Lewis Einstein, diplomatico ebreo dell’ambasciata Usa a Istanbul, nel 1917 scrisse da testimone oculare: “In questa guerra di orrori, l’annientamento degli armeni deve rimanere l’orrore supremo. Niente ha eguagliato la distruzione pianificata di un popolo, né i burocrati tedeschi possono facilmente sfuggire alla loro terribile parte di responsabilità per la loro acquiescenza in questo crimine”. Una testimonianza giunge anche dai fratelli Aaronsohn, fieri sionisti, residenti all’epoca dei fatti in Eretz Israel. Aaron Aaronsohn, insigne agronomo e fondatore della rete di spionaggio NILI a favore degli Alleati dell’Intesa, così si espresse nel suo Memorandum (1916): “Centinaia di corpi di uomini, donne e bambini su entrambi i lati della ferrovia e cani che si cibavano di questi cadaveri umani”. E ancora: “Il popolo armeno, una delle componenti più parche e più industriose dell’impero turco, se non addirittura la più parca e la più industriosa – e, badate bene, è un ebreo a dare questa patente – è ora un popolo di mendicanti affamati e calpestati. L’integrità delle vite familiari è andata distrutta, i suoi uomini sono stati uccisi, i suoi bambini, maschi e femmine, fatti schiavi nelle case private dei turchi, per compiacere vizi e depravazioni, questo è diventato il popolo armeno in Turchia”. Concluse: “I massacri armeni sono frutto dell’azione pianificata con cura dai turchi, e i tedeschi certamente dovranno condividere per sempre con loro l’infamia di questa azione”.
Ebrei e armeni, due popoli originali e tenaci, esigui quanto a numeri; due minoranze assolute, costitutive sia dell’oriente sia dell’occidente, a cavallo di entrambi i mondi. Una miscela sufficiente per risultare incomprensibili e persino alieni ai più, con antiche, reiterate e violente accuse di “doppia fedeltà” o di tradimento. Questa la sorte, spesso simile, di entrambi.
Nei secoli, armeni ed ebrei hanno egualmente sperimentato, pur da diverse prospettive, la perdita della sovranità nazionale; l’asservimento ad altre potenze e culture; la dhimmitudine; la diaspora; delazioni, massacri, deportazioni ferroviarie, marce della morte e l’annientamento genocidario; la rinascita culturale e politica della propria Nazione sopravvissuta; due diversi negazionismi. In entrambi i popoli la moderna rinascenza culturale è stata preceduta, sollecitata e accompagnata dal risorgimento linguistico e letterario, rispettivamente dell’ebraico e dell’armeno.
Nell’imperversare del Metz Yeghern degli ebrei salvarono degli armeni; nel corso della Shoah degli armeni salvarono degli ebrei. Non è quindi un caso che l’inventore del lemma “genocidio”, il grande pensatore e giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, lungamente abbia meditato anzitutto proprio sulla tragedia sofferta dagli armeni. Henry Morgenthau, in particolare, ebreo e ambasciatore americano presso la Sublime Porta, fu il promotore della prima operazione umanitaria del XX secolo, la Near East Relief, che con un’enorme raccolta fondi – ammontante nel 1922 attorno ai 226 milioni di dollari – salvò le vite di molti armeni, soprattutto bambini (i bambini salvati tra il 1915 e il 1930 furono circa 132 mila, di cui sessantamila armeni).
La passione genocidaria tedesca portò a tre genocidi nel corso del XX secolo: quello africano, in Namibia, degli Herero e dei Nama (1904-1907); il Metz Yeghern (1915-1922) e la Shoah (1939-1945). Negli ultimi due casi, l’islam fu purtroppo ampiamente e attivamente coinvolto. L’istituto della dhimma, con i suoi squilibri e instabilità, le sue contraddizioni e la sua crudele subordinazione, servì a sostenere e giustificare, tra gli altri, i Massacri Hamidiani prima e il Genocidio Armeno poi.
A parte il grande Johannes Lepsius – teologo protestante testimone del genocidio, che lottò strenuamente per gli armeni, difendendoli – e pochi altri, la chiesa luterana tedesca sposò la causa del Kaiser, come precedentemente – nel corso del genocidio degli Herero e dei Nama – poco ebbe a obiettare e come, successivamente, trovò ampie sue frange sostenitrici del nazismo.
Non è un caso che nel 1933 lo scrittore ebreo Franz Werfel, amico di Kafka, abbia scritto il suo libro di maggior successo, I Quaranta Giorni del Mussa Dagh, tributo imperituro al genocidio patito dagli armeni, i cui bambini orfani vide in medio oriente. L’opera di Werfel divenne fuorilegge in Germania nel 1934. Per comprendere il ruolo “iconico” che il Genocidio Armeno ebbe per i nazisti, va evidenziato che per le SS SchwarzeKorps il libro fu il frutto indigesto dell’“ebraismo armeno degli Stati Uniti”!
La Germania guglielmina fu il paese culturalmente più vivace dell’occidente, cosicché per ben tre occasioni il genocidio si è accompagnato alla modernità e alla civiltà raffinata. Quella tedesca fu una cultura filosofica e musicale; nelle facoltà tedesche filosofia e teologia, da secoli, si alimentavano vicendevolmente. Una metastasi letale e omicida è dunque latente nel pensiero filosofico, politico e teologico che da Lutero, passando per gli Idealisti, arrivò a Friedrich Naumann – tra i padri della Repubblica di Weimar –, Adolf Von Harnack, Carl Schmitt e Martin Heidegger.
Fu così – tra acquiescenze germaniche, aguzzini turchi e curdi e, non da ultimo, jihad– che 1.500.000 armeni furono perseguitati e trucidati, assieme a centinaia di migliaia di vite di cristiani assiri, di greci del Ponto e di altre confessioni cristiane orientali minoritarie. Terribili furono le sofferenze patite dalle donne e dai bambini armeni, con riduzioni in schiavitù e compravendita di esseri umani nei mercati, islamizzazioni forzate, sevizie e persino crocifissioni.
Si sarà compreso che Genocidio Armeno e Shoah sono inquietantemente collegati a doppio filo. Né il Metz Yeghern né la Shoah si prestano in alcun modo a ermeneutiche generalizzanti – e quindi dissolventi – ma richiedono sorvegliata serietà. Qualsiasi indebita generalizzazione falsa la storia e il pensiero. Per non perderne la comprensione e l’unicità, bisogna considerarli connessi, come avvenne.
Ci sono alcuni fatti atroci occorsi ad armeni ed ebrei che equivalgono ad altrettante tremende rivelazioni sull’umanità dell’essere umano, che può scegliere di essere demone e facilmente educare altri in tal senso.
Vi è tuttavia un fatto positivo, enorme per la forza della sua testimonianza, mai sufficientemente assunto, ricordato e portato a pensiero, talora persino oscurato: il popolo Armeno e il popolo di Israele non hanno smarrito, pur provata, piagata e scossa, la loro fede nel Signore Dio.
Sorgente: Il filo tragico che lega il genocidio armeno e la Shoah è l’Islampolitik – Il Foglio