Il film della regista armena nel villaggio abitato, gestito e curato solo da donne dalla primavera all’inverno (Ilmessaggero 31.08.20)
Si intitola Villaggio di donne, il film in concorso in vari festival minori, in Italia e all’estero, della registra e sceneggiatrice armena Tamara Stepanyan. La giovane cineasta formatasi in Libano ha scelto di registrare per un intero anno la vita di un paese abitato solo da donne che accudiscono vecchi e bambini. Un villaggio armeno che si è lentamente svuotato dai mariti e dai figli più grandi per trovare lavoro all’estero, soprattutto in Russia, dove c’è la possibilità di un impiego stagionale, dalla primavera all’inverno.
Le donne, improvvisamente diventano capo famiglia e tutto ruota attorno a loro. Il nome del villaggio non viene definito volutamente, proprio perché il destino di queste donne è una condizione femminile molto comune nelle regioni più disagiate dell’Armenia, paese caucasico dalle radici antichissime, divenuto indipendente dall’Urss dopo il crollo del Muro di Berlino. Per nove mesi i mariti di quasi tutte le donne partono per quello che viene definito un autentico esilio.
E’ in quel momento che il testimone di capo famiglia passa dall’uomo alle mani della moglie e, di conseguenza, anche il potere simbolico di presiedere ad ogni aspetto della vita comunitaria, organizzativa, gestionale assicurando la continuità di vita per i figli, le piccole aziende agricole, la campagna. E’ sulle spalle di queste donne che si accumulano i lavori degli uomini, ai quali si aggiungono anche quelli che solitamente svolgono le donne in casa in qualità di care-giver.
Il film percorre una condizione difficilissima mettendo a nudo ansie, problemi,contraddizioni di chi resta e di chi torna, ma anche la capacità di fare rete tipicamente femminile. La regista ha fatto tutto da sola, entrando con una telecamera da ospite nelle case, riprendendo scene di vita comune, ascoltando le storie, raccogliendo le lacrime, studiando gli orizzonti comuni. Le donne armene legate alla terra sopportano l’attesa, dimostrando di riuscire a fare tanto quanto i loro mariti se non di più.
Una giovane lasciata in paese dal marito ventenne dopo pochi mesi di matrimonio per il lavoro in Russia, racconta: «Quando tornava era sempre un estraneo e ho faticato anni ad accettarne la presenza in casa». Gli uomini armeni che emigrano stagionalmente hanno una vita ugualmente durissima. Generalmente vivono in cameroni tutti assieme per risparmiare sui costi del’alloggio, lavorano senza avere orari, sfruttati al massimo nel’agricoltura o nell’edilizia. Poi quando arriva la neve gli uomini fanno ritorno e tutto riprende come prima, compresa la vita patriarcale tipica delle famiglie rurali armene. I bambini però si abituano crescendo a questo cambiamento di ruolo, accettando con maggiore semplicità l’idea di una uguaglianza tra uomo e donna.