Il fico Armeno. I Frutti dimenticati (larivieraonline 22.10.19)
Prima della metà di settembre dell’anno in corso, gli appassionati di Archeologia Angela Maida e suo marito Raffaele Riversi, programmarono una proiezione di un video girato nella Locride e nel territorio di Santacaterina, dal dott. Antonio Renda, bravo fotografo e documentarista, riferito al fenomeno dei palmenti rupestri in Calabria.
Il convegno diede l’opportunità di parlare della viticoltura nel mondo classico nei nostri territori, specialmente nel periodo magnogreco, romano e bizantino, quando infinite vigne abbellivano le nostre contrade e davano vita a vini preziosi che venivano esportati in tutto il bacino del Mediterraneo.
I coniugi Riversi da quasi vent’anni si battono per evidenziare il patrimonio culturale di Santacaterina sullo Jonio, costituito da un numero cospicuo di Palmenti (23 circa ), talvolta impreziositi dalla croce di Giustiziano o comunque da quella potenziata bizantina che evidenzia come nel Tardo Antico la civiltà bizantina ebbe un ruolo importante nel diffondere la coltivazione della vite, incentivata specialmente dal monachesimo basiliano, a cui diede inizio nel IV d.C. S. Basilio Magno, nato a Cesarea in Cappadocia nel 329 d.C.
Tra le regole su cui si basava il monachesimo basiliano c’erano la preghiera ed il lavoro e naturalmente lo studio delle opere classiche della civiltà greca e latina, che venivano ricopiati diligentemente nei laboratori di scrittura dei monasteri.
La diffusione del movimento spirituale basiliano in Calabria avvenne dopo la conquista di Giustiniano nel VI sec. d.C ed uno dei palmenti di Santacaterina è ubicato proprio nella contrada S.Brasi (S.Basilio) che ricorda opportunamente il fondatore del movimento religioso, tanto più che nella stessa contrada sopravvivono i ruderi di una chiesetta bizantina intitolata a S. Basilio; lo stesso palmento è dotato di una croce bizantina.
I coniugi Riversi evidenziano nel loro studio anche altri aspetti del patrimonio culturale di Santacaterina costituito anche da grotte, ricadenti nella Val di Carìa, che vennero nel passato utilizzati come romitori dalle comunità religiose. I loro sforzi hanno inciso anche sulla sensibilità degli amministratori del comune, che cominciano a prestare attenzione ai beni culturali ritenuti, in passato, minori o addirittura di poco valore.
Essi, oltre ad interessarsi dei beni culturali ritenuti propriamente tali, da tanto tempo si stanno preoccupando di evidenziare anche la ricchezza della Calabria nell’ambito della biodiversità che in tanti ambiti ormai è messa all’attenzione di tante persone interessate e sensibili al fenomeno, di cui la nostra regione possiede un importante patrimonio.
Essi tentano di evidenziare questo aspetto della nostra terra e proprio durante il convegno sui palmenti, tenuto di recente a Santacaterina, personalmente da loro sono stato gratificato da una piccola pianta di fico tipica di Petrizzi, comune che gravita nell’area di Soverato.
Essi hanno avuto tale varietà dal signor Antonio Gatto che in un suo podere in contrada Feudo Marascio di Petrizzi appunto, colleziona anche fichi di cui conosce fra l’altro la provenienza; egli si occupa anche di altri tipi di piante, ma evidentemente, data l’abbondanza di tipi, la sua preferenza va ai fichi appunto.
Il nome di quello in questione lo connota d’origine armena, ma non possiamo sapere attraverso quali vie sia arrivato in Calabria, considerando che parte dell’Armenia aveva fatto parte già dell’impero romano e poi di quello bizantino, a cui fornì addirittura una serie di imperatori oltre che di funzionari, ma specialmente di valorosi soldati.
Guardando il frutto con attenzione esso ricorda tanto i fichi tardivi di tante parti della Calabria, che riescono a resistere alle prime acque autunnali, che notoriamente possono danneggiare i frutti.
La foto presente è stata scattata negli ultimissimi giorni di settembre, quando ancora sulle piante erano presenti altri frutti che sarebbero andati a maturazione nei primi giorni di ottobre; quindi la varietà è interessante in quanto è tardiva e può prosperare a quote altimetriche di rilievo, considerando che la pianta madre è posta a circa 500 metri di altitudine.
I frutti sono di pezzatura media, mentre il colore che li connota è il marroncino tenue.
La polpa dei frutti è rosato e il sapore che evidenziano è squisito e delicato.