Il difficile cammino verso la pace fra Armenia e Azerbaigian, fra proteste e raduni (Scenarieconomici 12.05.24)
Ieri si sono conclusi i negoziati tra Ararat Mirzoyan, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Armenia, e Jeyhun Bayramov, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Azerbaigian, ad Almaty, in Kazakistan.
I Ministri hanno accolto con favore i progressi sulla delimitazione e gli accordi raggiunti a questo proposito. I Ministri e le loro delegazioni hanno proseguito le discussioni sulle disposizioni del progetto di Accordo bilaterale sull’istituzione della pace e delle relazioni interstatali tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Le parti hanno concordato di continuare i negoziati sulle questioni aperte in cui esistono ancora delle differenze.
Quindi tutto bene, ma solo in apparenza: i colloqui, che comportano anche l’abbandono di alcuni villaggi al confine fra Armenia e Azerbaigian, oltre che l’addio a ogni pretesa sul Nagorno Karabakh, ha provocato delle profonde proteste. A Yerevan molte persone si sono radunate per potestare contro gli accordi. La polizia ha operato 41 arresti di manifestanti, mentre ha dovuto stabilire un cordone protettivo attorno al Parlamento. La manifestazione si basa soprattutto su un invito alla disobbedienza civile.
I manifestanti chiedono le dimissioni del primo ministro Nikol Pashinyan attraverso un voto di sfiducia, proprio per il suo atteggiamento, giudicato rinunciatario, nelle trattative con l’Azerbaigian.
Uno dei leader della protesta pare essere il vescovo Bagrat Galstanyan che ha tenuto un discorso ai manifestanti in Piazza della Repubblica a Yerevan, elencando la sequenza di obiettivi dei partecipanti al movimento.
“Se avete a cuore la vostra patria, la statualità, il sangue e le vite dei nostri figli caduti, non importa quanto siano difficili questi 2-3 giorni, dovremo passare attraverso queste sofferenze per ottenere la vittoria attraverso queste sofferenze. Non ci sarà altro modo.
Di conseguenza, dal momento che vi ha ignorato e non ha risposto, ha escluso coloro che lo hanno eletto, e questa richiesta è la richiesta dell’intera nazione, non solo di coloro che si sono riuniti in piazza, ma dell’intera Armenia e della Diaspora, che hanno separato: ci sono famiglie che non si parlano.
Lo costringeremo a farlo. Il primo passo che faremo sarà un voto di sfiducia all’Assemblea Nazionale e la sua rimozione. Discuteremo con le tre fazioni dell’Assemblea Nazionale per organizzare questo processo, come e quanto ne discuteremo. Se la risposta continuerà ad essere il silenzio, intraprenderemo atti pacifici di disobbedienza”.
Oggi sono attese colonne di manifestanti da altre città dell’Armenia che si uniranno a quelli già presenti per chiedere la sfiducia al governo Pashinyan. Auguriamoci che tutto questo comunque avvenga in modo pacifico e, comunque, allo stato attuale non sembra che l’Armenia abbia molte alternative alle trattative.