“Il deserto non finiva mai la gente si lasciava cadere” (La Stampa 29.10.15)
È morta un mese prima del 2015 Marie Papazian, l’anno del centenario del genocidio armeno e del suo centenario. Avrebbe compiuto cento anni lei che è nata durante la deportazione che portò il padre e la madre lontano dalla loro terra ad attraversare il deserto di Deir ez-Zor e a sopravvivere alla fame, alla sete, ai massacri e poi a attraversare un secolo di vita fino a terminare i suoi giorni a Martina Franca, in Puglia, dove prima di lei non ricordavano altri armeni in città e dove, con il tempo, è diventata l’ultima dei sopravvissuti al genocidio armeno in Italia.
Fu un viaggio lunghissimo e pieno di vita quello di Marie anche se iniziò mentre tutt’intorno a lei un milione e mezzo di armeni venivano uccisi dai soldati su ordine dei Giovani Turchi che in quegli anni avevano il potere nell’impero ottomano. «Ogni tanto raccontavano di quei momenti, la marcia sotto il sole, il cibo e l’acqua che mancavano, i compagni di viaggio che morivano uno dopo l’altro», ricorda Edouard, il figlio di Marie e nipote di quei Papazian costretti a arrivare fino al nulla di Deir ez-Zor.
Nessuno sa davvero come uscirono vivi dalla deportazione i genitori e come sopravvisse al parto e ai primi mesi di vita la piccola Marie, di sicuro i suoi genitori ci sapevano fare. Il padre era un mastro ferraio, Serpouhie, la madre, originaria di Ourfa, aveva carattere da vendere. Quando i massacri terminarono, la famiglia si stabilì a Damasco ma il lavoro era poco e mal pagato anche per un bravo artigiano.
Il padre decise di partire per la Francia come tanti altri armeni in quegli anni. Arrivò a Lione da solo. Marie e la madre rimasero a Damasco. Nel 1928 arrivarono anche loro, il padre aveva una bottega di fabbro molto ben avviata, sarebbe arrivato a costruire finestre e cancelli in ferro battuto per una chiesa molto cara agli armeni della città. Acquistò anche un negozio di alimentari che gestiva con la moglie e poi con Marie. Continua a leggere