Il Consiglio d’Europa sospende l’Azerbaijan (Osservatorio Balcani e Caucaso 26.01.24)
Lo scorso 24 gennaio l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha votato a favore della sospensione delle credenziali della delegazione dell’Azerbaijan che rimarrà membro del Consiglio d’Europa, ma perderà il diritto di voto per un anno
Il 24 gennaio, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha deciso , con 76 voti favorevoli e 10 contrari, di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbaijan. Una volta all’anno, nel giorno di apertura della sessione, tutti i parlamenti nazionali degli Stati membri (47 in totale) presentano le credenziali delle proprie delegazioni all’Assemblea, che vengono poi votate dal resto degli Stati membri. Quest’anno, l’Azerbaijan ha presentato le credenziali di 12 membri della delegazione.
Le credenziali sono state contestate , sulla base del fatto che il Paese non è riuscito a rispettare i “grandi impegni” derivanti dalla sua adesione al Consiglio d’Europa, il 22 gennaio, all’apertura della sessione plenaria invernale. Ciò significa che l’Azerbaijan rimarrà membro del Consiglio d’Europa, ma perderà il diritto di voto per un anno e le sue attività “potranno riprendere quando saranno soddisfatte le condizioni previste dal Regolamento”.
Il voto si è basato su un rapporto preparato dal Comitato di monitoraggio del Consiglio d’Europa, che ha espresso “serie preoccupazioni” circa la “capacità dell’Azerbaijan di tenere elezioni libere ed eque, la separazione dei poteri, la debolezza del potere legislativo [del paese] nei confronti dell’esecutivo, l’indipendenza del potere giudiziario e il rispetto dei diritti umani, come illustrato da numerose sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e dai pareri della Commissione di Venezia”. La bozza del rapporto evidenzia anche il persistente problema dei “prigionieri politici [e] l’aumento del numero di violazioni della libertà di espressione”.
Secondo la PACE, “Nel lanciare la sfida, Frank Schwabe (Germania, SOC) ha citato i prigionieri politici nel paese, lo sfollamento violento di persone dal Nagorno Karabakh, il fatto che i relatori dell’Assemblea non hanno potuto visitare l’Azerbaijan almeno tre volte nel 2023, e la mancanza di un invito all’Assemblea per osservare le elezioni presidenziali del 7 febbraio nel Paese”.
L’Azerbaijan è citato anche in una risoluzione separata sulla “tortura sistemica e trattamenti o punizioni inumani o degradanti nei luoghi di detenzione” del 24 gennaio 2023. La risoluzione ha espresso preoccupazione per gli “agghiaccianti metodi di tortura”, in particolare nel contesto del caso Terter , una serie di arresti effettuati nel 2017 contro civili e personale militare dell’Azerbaijan in quella che i funzionari di Baku all’epoca descrissero come una “cospirazione su larga scala”. La risoluzione è stata adottata con 66 voti favorevoli, 0 contrari e un’astensione.
La fine della diplomazia del caviale
L’Azerbaijan è entrato a far parte del Consiglio d’Europa nel 2001. Da allora, l’Assemblea ha adottato numerose risoluzioni che criticavano il Paese per i suoi precedenti in materia di diritti e libertà, ma in passato le relazioni sono state oscurate dalla cosiddetta “diplomazia del caviale”: un termine coniato dal think tank europeo European Stability Initiative (ESI) nel 2012, che documenta come i funzionari azerbaigiani corrompessero i politici europei della PACE.
“I parlamentari di tutta Europa ricevevano in dono gioielli, vacanze e denaro; gli osservatori elettorali ricevevano decine di migliaia di euro per dichiarazioni positive sull’Azerbaijan. Il personale del Consiglio d’Europa ci ha confermato a porte chiuse che le azioni dell’Azerbaijan erano un segreto di Pulcinella”, ha spiegato il direttore e fondatore dell’ESI Gerald Knaus in un’intervista nel 2021.
Il rapporto ESI del 2012 ha portato a indagini e condanne in diversi Stati membri UE sulla base delle conclusioni di un organismo investigativo indipendente.
Poi, nel 2017, una rete di giornalisti investigativi ha scoperto come il governo dell’Azerbaijan fosse la forza trainante dietro un fondo nero segreto da 2,9 miliardi di dollari che potrebbe aver contribuito a pagare i politici europei.
Soprannominato la “lavanderia a gettoni dell’Azerbaijan”, il fondo è stato in funzione tra il 2012 e il 2014, secondo l’Organized Crime and Corruption Reporting Project:
“La lavanderia azera è il nome dato ad una complessa operazione di riciclaggio di denaro che ha movimentato in due anni 2,9 miliardi di dollari grazie a quattro società di comodo registrate nel Regno unito. Tra il 2012 e il 2014, le élite cleptocratiche al potere in Azerbaijan hanno pompato denaro attraverso i conti bancari estoni delle società. I veri proprietari delle società erano nascosti dietro sconosciuti azionisti offshore”.
Nel 2013, i trasferimenti di denaro effettuati sui conti dei politici in Europa potrebbero aver contribuito a convincere la PACE a votare contro un rapporto critico verso l’Azerbaijan che chiedeva l’adozione della risoluzione sui prigionieri politici.
Tuttavia, le indagini interne della PACE hanno preso di mira solo i politici europei, lasciando Baku fuori dai guai, almeno fino alla risoluzione del 24 gennaio.
Analogamente alle obiezioni e ai rifiuti opposti quando le indagini hanno rivelato i fondi segreti, l’Azerbaijan ha risposto immediatamente, accusando l’Assemblea di doppi standard verso “alcuni Stati membri”. Una dichiarazione rilasciata dal ministero degli Affari Esteri afferma che “un aperto disprezzo dei legittimi interessi dell’Azerbaijan e una retorica così minacciosa sono un chiaro esempio di doppio standard che esacerba ulteriormente le relazioni Azerbaijan-UE”.
Il 24 gennaio la delegazione azerbaijana ha dichiarato che avrebbe sospeso la cooperazione con l’Assemblea a tempo indeterminato.
Le reazioni a Baku
I media e i funzionari statali azerbaijani si sono affrettati a lanciare accuse contro la decisione dell’Assemblea. Secondo l’agenzia di stampa statale APA, l’Assemblea ha usato le violazioni dei diritti umani come copertura e il vero motivo del voto è stato “un atto di vendetta” contro l’Azerbaijan, che ha “ripristinato da solo la sua sovranità e integrità territoriale” dopo 30 anni di inazione da parte della PACE e delle altre istituzioni europee nei negoziati tra Armenia e Azerbaijan.
Il deputato Elshad Mirbashiroglu ha dichiarato in un’intervista ai media locali che la PACE sarà ora “incompleta” senza l’Azerbaijan.
Bahruz Maharramov, un altro deputato, ha affermato che “l’Azerbaijan non ha bisogno del Consiglio d’Europa, che è diventato un meccanismo ipocrita”.
Tuttavia, le minacce di lasciare l’organizzazione internazionale potrebbero suonare vuote. Secondo Azer Gasimli, direttore dell’Istituto di gestione politica di Baku, “se le intenzioni [del governo] fossero state vere, lo avrebbe fatto subito. Cercheranno di ingannare nuovamente i politici europei, promettendo che risolveranno i problemi, di guadagnare tempo per vedere l’esito della guerra in corso in Ucraina. Ma questa volta non sarà possibile ingannare l’Occidente”.
“Lasciare l’organizzazione avrebbe un impatto negativo sull’Azerbaijan”, ha detto l’attivista per i diritti umani Anar Mammadli, che è anche a capo di un’organizzazione indipendente di osservazione elettorale a Baku. “L’Azerbaijan è firmatario di diversi documenti del Consiglio d’Europa e ha accordi di cooperazione con diverse strutture [del Consiglio d’Europa]. Pertanto, l’uscita avrà delle conseguenze”, ha aggiunto.
Il voto è significativo in quanto, per la prima volta, il posto dell’Azerbaijan all’interno dell’istituzione è stato messo in discussione sulla base della violazione dei valori del Consiglio d’Europa. Nelle sue ultime parole prima del voto Morgens Jensen, autore del rapporto e membro del Comitato di monitoraggio, ha affermato che il voto era “necessario” perché l’Azerbaijan non è riuscito a garantire lo stato di diritto, la democrazia e i diritti umani: i valori fondamentali rappresentati dal Consiglio d’Europa.
Nel gennaio 2006 c’era stato un altro tentativo di sospendere la delegazione del paese perché l’Azerbaijan non è riuscito a garantire un ambiente elettorale “in linea con gli standard europei”, ma il voto era fallito con un margine ristretto, 24 contrari e 22 a favore.