Il Consiglio d’Europa e il caso Azerbaijan tra regali e milioni (Corriere della Sera 30.01.17)

La storia si svolge dentro al Consiglio d’Europa, che è il presidio nato nel 49 per difendere i pilastri della democrazia: libertà d’espressione, diritti umani, successione di governi democraticamente eletti. Tutti i paesi che nel corso degli anni hanno chiesto di aderire (come le ex repubbliche sovietiche), hanno firmato la convenzione che li obbliga a rispettare questi principi non negoziabili. Se un Paese li viola, il Consiglio deve condannare, sanzionare, o sospendere; la patente di paese democratico non si compra. Dentro al Consiglio d’Europa l’Azerbaijan da una decina d’anni ha attivato la nota «caviar diplomacy» : nessun parlamentare nega di aver ricevuto dai colleghi azeri almeno una scatoletta del pregiato caviale del Caspio. Che sarà mai! Luca Volontè quando dentro l’Assemblea era presidente del più numeroso gruppo politico europeo, il PPE, accetta dal deputato e lobbista azero Suleymanov, qualcosa in più in più: una «donazione» di 10 milioni di euro, ripartita in pagamenti da 100mila euro al mese. Alla base c’è una convenzione fra la ONG azera di Suleymanov e la Fondazione di Volontè che sta a Saronno; entrambe dichiarano di occuparsi di diritti umani. I versamenti iniziano nel 2013, arrivano da 4 società diverse, controllate da anonime collocate in Belize, Seychelles e British Virgin Island. Un anno dopo la BCC di Barlassina, dove Volontè ha i suoi conti, si allerta. Volontè spiega che si tratta di una consulenza sull’agroalimentare e presenta una fattura praticamente vuota. La Banca segnala l’operazione sospetta, si attiva la procura di Milano e il flusso di interrompe nel 2014 a quota 2 milioni e 390.000 euro. Prima domanda: perché una Ong che si occupa diritti umani, per versare dei soldi a una fondazione italiana triangola dai paesi più opachi del pianeta? Risposta di Volontè (che un po’ di paradisi se ne intende, avendo seguito corsi di filosofia in Liechtenstein): «Non vedo dov’è il problema».

I fondi per le consulenze

I soldi invece come sono stati usati? Volontè li motiva come consulenze personali al lobbista azero, ricerche, petizioni, iniziative non meglio precisate, in concreto la stampa di 2 brochures. Dopo due anni di indagine i magistrati milanesi chiedono il rinvio a giudizio per riciclaggio e corruzione: quei soldi sarebbero una tangente pagata dal governo dell’azerbaijan in cambio di appoggio politico nel Consiglio d’Europa. Proprio in quel periodo (gennaio 2013) si vota il rapporto sugli 85 prigionieri politici in Azerbaijan, e Volontè avrebbe orientato la votazione del gruppo popolare di cui era presidente. A supporto le dichiarazioni del deputato tedesco Strasser (autore del rapporto) e i corposi scambi di email fra Volontè e i politici azeri, come quella del deputato Muslum Mammadov che chiede di ritirare una risoluzione presentata al Consiglio d’Europa, e Volontè risponde: «Ogni Tuo desiderio è un ordine». Con 79 voti favorevoli e i 125 contrari la risoluzione di condanna viene bocciata. E’ importante evitare una risoluzione di condanna perché sporca la reputazione, e rende più difficili anche gli accordi commerciali. Proprio in quel periodo era in corso con il presidente Alyev quello molto travagliato sul Tap, il gasdotto che sbarcherà in Puglia. Ma forse è solo una coincidenza.

A processo a Milano

Venerdì scorso il gup del tribunale di Milano ha deciso di mandare a processo Volontè per il reato di riciclaggio (non riesce a spiegare da dove vengono quei soldi e a cosa servono), mentre per la corruzione «non luogo a procedere» perché coperto da immunità. La Procura ricorrerà in Cassazione poiché non viene contestata l’insindacabile decisione del singolo voto dell’ex parlamentare, ma la sua intera attività all’interno del Consiglio. Se quei soldi sono stati incassati per orientare i voti degli altri parlamentari o meno lo si può chiarire solo in un processo. Ancor più importante chiarirlo per la credibilità stessa dell’intero Consiglio d’Europa, e dei valori che rappresenta, per i quali abbiamo versato lacrime e sangue. Intanto in Azerbaijan la repressione interna contro gli oppositori politici e organi di stampa va avanti. In carcere sono un centinaio. In occasione delle ultime elezioni politiche del 2015 il parlamento europeo non ha inviato i suoi osservatori perché non esistevano le condizioni, e il governo ha chiuso gli uffici dell’Osce.

Paradiso fiscale

Il Presidente Alyev, che ha «ereditato» il paese dal padre nel 2003, sceglie i parlamentari e i giudici; ha appena prolungato la durata dei mandati, ha abolito il limite minimo di età per la candidatura a presidente (basta avere 18 anni, forse sta preparando la successione per il giovane figlio). Le banche piu importanti, le holding, i settori piu produttivi, sono tutti in mano sua. Dei 135 miliardi di dollari di entrate statali provenienti dal petrolio, 48 li ha portati nei paradisi fiscali. Le figlie Arzu e Leyla, usano società panamensi per controllare le compagnie di telefonia mobile, la banca azera Atabank e sei miniere d’oro in Azerbaigian. È la giornalista azera Khadija Ismaylova ad aver scoperto i Panama Papers della famiglia Aliyev. Lei sulla base di un’accusa inventata si è presa sette anni e mezzo di carcere. Dopo le pressioni internazionali la pena è stata sospesa. Le accuse si inventano anche nei confronti di cronisti stranieri.

Confronti

A fine novembre scorso, la sottoscritta, dopo aver dedicato una puntata di Report all’intera vicenda, curata da Paolo Mondani, ha avuto l’onore di vedersi dedicate ben 8 pagine sul più diffuso sito on line del paese «Day.Az» molto vicino al governo. L’articolo, a firma di Elchin Alyoglu, mi discrive cosi: «Milena Gabanelli è definita dai media italiani la Dino Alfieri in gonna (Alfieri fu sottosegretario alla stampa e propaganda di Mussolini, nda). I politici italiani sanno della coincidenza fra la data del ritorno della Gabanelli dall’Armenia e dal Karabah, dove ha incontrato i leader separatisti, e l’inizio della pseudo indagine» (in Armenia e Karabah ci sono stata come inviata all’inizio del conflitto, nel 1992 nda). Prosegue:« Ha partecipato all’audizione anti-azera nella Commissione dei Diritti Umani del Congresso degli Stati Uniti, dove su 23 presone presenti in sala c’erano 12 rappresentanti dell’Armenia e Milena Gabanelli»(non sono mai entrata nella sala del Congresso Usa in vita mia, nda). Aggiunge: «E’ possibile che abbia ricevuto aiuto materiale e tangibile dalla stessa lobby armena. Infatti i giornalisti italiani scrivono sui social media della natura avara, avida e insaziabile della loro collega». Infine: «Ha contatti frequenti con i capi delle organizzazioni della diaspora armena in Francia, Italia, Germania, Spagna, Grecia». In effetti ho incontrato un famoso artista di origine armena che ha aiutato i suoi connazionali in difficoltà, e lo ho intervistato 2 anni fa in Francia, si chiama Charles Aznavour.

Milena Gabanelli