Il conflitto in Nagorno-Karabakh accende i riflettori sulle vendite di armi israeliane all’Azerbaigian (Globalvoices 19.02.21)
Dopo 44 giorni di guerra, un accordo negoziato dalla Russia ha condotto a una pace incerta in Nagorno-Karabakh [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]. Il 27 settembre l’Azerbaigian ha lanciato un’offensiva per riconquistare questo territorio montuoso, che aveva perso a causa delle forze etniche armene nella guerra del 1988-1994. Baku ha vinto, ma la guerra è costata diverse migliaia di vite.
L’accordo di pace annunciato il 10 novembre ha ridisegnato la mappa del Caucaso meridionale. Nei prossimi due mesi, all’Azerbaigian verrà assegnato il controllo di tutti i distretti che circondano il Nagorno-Karabakh, caduto sotto il controllo degli armeni del Karabakh durante la prima guerra. Lo status di quella sezione del Nagorno-Karabakh che l’Azerbaigian non ha conquistato, compresa la capitale pesantemente bombardata di Stepanakert, rimane poco chiaro. Circa 2000 forze di pace russe pattuglieranno la regione, così come una strada strategicamente importante che la collega all’Armenia.
La vittoria dell’Azerbaigian è stata in gran parte dovuta al sostegno esterno. Lo stato membro della NATO, la Turchia, con cui l’Azerbaigian ha stretti legami culturali ed economici, si è schierato dalla parte di Baku, offrendo supporto politico, competenza militare e mercenari dalla Siria.
Anche l’amicizia di Baku con Israele è stata cruciale per i suoi successi sul campo di battaglia. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (IIRPS), il 60% di tutte le importazioni di armi dell’Azerbaigian tra il 2015 e il 2019 proviene da Israele. Tra questi ci sono il veicolo corazzato SandCat e diversi modelli di fucili.
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È importante sottolineare che queste importazioni hanno aiutato l’Azerbaigian a raccogliere una flotta di droni militari, che ha travolto i sistemi di difesa aerea dell’Armenia e ha ribaltato la situazione a favore di Baku. Come ha comunicato all’Asia Times il 14 ottobre una fonte importante dell’esercito israeliano, “l’Azerbaigian non sarebbe stato in grado di continuare la sua operazione a questo livello senza il nostro sostegno”.
Non tutti in Israele vedono in queste parole un motivo di orgoglio.
L’uso da parte dell’Azerbaigian di armamenti sofisticati come questi ha ucciso civili in Nagorno-Karabakh. Si ritiene che la maggior parte della popolazione etnica armena sia fuggita dal territorio. Nelle ultime settimane, i droni Harop di fabbricazione israeliana sono stati visti nei cieli sopra Stepanakert, mentre i residenti della città si sono riparati nei seminterrati. Questi cosiddetti “droni kamikaze” sono stati utilizzati anche dai militari azeri negli scontri in Nagorno-Karabakh nel 2016.
In Nagorno-Karabakh hanno fatto la loro comparsa anche le bombe a grappolo di fabbricazione israeliana. Nelle dichiarazioni del 5 e del 23 ottobre, Amnesty International e Human Rights Watch hanno affermato che in più occasioni l’esercito azero aveva sparato munizioni a grappolo M095 DPICM e LAR-160 fabbricate da Israele in aree residenziali della città (ci sono anche prove che suggeriscono che in un’occasione il 30 ottobre l’Armenia abbia lanciato un razzo con munizioni a grappolo Smerch contro la città azera di Barda). Né l’Armenia né l’Azerbaigian (né Israele) hanno firmato la Convenzione sulle bombe a grappolo, che vieta l’uso di tali armi indiscriminate.
Seppure il governo israeliano potrebbe non aver rilasciato alcun commento sul conflitto, gli armeni ritengono che questi accordi sulle armi dicano tutto ciò che debba essere detto.
La portavoce del ministero degli Esteri armeno @naghdalyan: “Per noi, la fornitura di armi ultramoderne da parte di Israele all’Azerbaigian è inaccettabile, soprattutto ora, data l’aggressione nei confronti dell’Azerbaigian supportata dalla Turchia”.
Dall’inizio del conflitto in Nagorno-Karabakh, giornalisti e controllori del traffico aereo in Israele hanno notato un aumento del numero di voli cargo della compagnia SilkWay Airlines, un vettore collegato al Ministero della Difesa dell’Azerbaigian che atterra alla base aerea militare di Ovda nel sud di Israele:
Terzo velivolo azero da Ankara questa settimana. Avvistato ieri in Israele un 4k-az40
L’Armenia ha reagito con forza. All’inizio di ottobre, appena due settimane dopo l’apertura di un’ambasciata a Tel Aviv, l’Armenia ha richiamato il suo ambasciatore per consultazioni. Quando in seguito gli è stato chiesto dal presidente israeliano Reuven Rivlin se l’Armenia accoglierebbe favorevolmente gli aiuti umanitari, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha esclamato: “Aiuti umanitari da un paese che vende armi ai mercenari, che le usano per colpire una popolazione civile pacifica? Propongo che Israele invii quegli aiuti ai mercenari e ai terroristi come logica continuazione delle sue attività”.
In un’intervista al Jerusalem Post del 3 novembre, Pashinyan ha paragonato Israele al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan per il sostegno dato all’Azerbaigian, un po’ strano date le relazioni tese tra i due paesi. Tel Aviv, ha concluso, aveva aiutato e favorito il genocidio contro gli armeni in Nagorno-Karabakh e prima o poi la Turchia avrebbe rivolto le sue “ambizioni imperialistiche” verso Israele.
Affinità eccentriche
Per quasi trent’anni, il conflitto in Nagorno-Karabakh ha eluso i tentativi di estranei di adattarlo a modelli precisi. All’apparenza, Israele e Azerbaigian potrebbero non essere i partner più ovvi. Ma questo è esattamente ciò che rende la loro amicizia così simbolicamente importante.
Fino alla recente distensione di Israele con gli Stati del Golfo, l’Azerbaigian era uno dei pochi Stati a maggioranza musulmana nel Vicino Oriente con cui Tel Aviv poteva dire di avere rapporti veramente cordiali. Ci si può aspettare che Baku nutra una certa simpatia per la difficile situazione dei palestinesi, dato un parallelismo con le centinaia di migliaia di etnici azeri espulsi dal Nagorno-Karabakh negli anni ’90, azeri che finalmente torneranno alle loro case.
Eppure questa amicizia richiede altro. Come ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel 2016, Israele e Azerbaigian sono “un esempio di come le relazioni tra musulmani ed ebrei potrebbero e dovrebbero essere ovunque”. Per questo motivo, elogi all’Azerbaigian e al presidente Ilham Aliyev emergono periodicamente sulla stampa israeliana e sui giornali della comunità ebraica di tutto il mondo, sebbene siano più cauti riguardo al record abissale di violazione dei diritti umani dell’Azerbaigian.
Questi spesso riguardano la comunità ebraica dell’Azerbaigian, che conta decine di migliaia di persone, e gode di buoni rapporti con il resto della società azera. Nelle ultime settimane, le autorità azere si sono adoperate per giustapporre il multiculturalismo del loro Paese, con particolare riferimento alla sua comunità ebraica, con un’Armenia relativamente monoculturale. Un esempio calzante è questo video di Daniel, un giovane azero discendente dagli ebrei della montagna [it], che spiega perché era pronto a combattere per l’Azerbaigian:
#Azerbaijan is home to many ethnicities & religions, inc. 30,000 #Jews who have peacefully lived in Azerbaijan for 2000 years. Here is the story of #Daniel, a Mountain Jew, who volunteered to fight for his homeland, defending its territorial integrity against invasion by #Armenia pic.twitter.com/yZUCIwV3Dn
— Nasimi Aghayev ?? (@NasimiAghayev) October 17, 2020
L’#Azerbaigian ospita molte etnie e religioni, inclusi 30.000 #ebrei che hanno vissuto pacificamente nel Paese per 2000 anni. Ecco la storia di #Daniel, un ebreo di montagna, che si è offerto volontario per combattere per la sua patria, difendendo la sua integrità territoriale dall’invasione dell’#Armenia.
Inoltre, circa 70.000 ebrei azeri vivono in Israele, dove hanno condotto una campagna a sostegno di Baku durante la recente guerra.
Questa amicizia ha anche un carattere profondamente pratico, poiché l’Azerbaigian condivide un lungo confine con l’Iran, l’arcinemico di Israele.
Ciò fornisce a Tel Aviv molte opportunità strategiche, afferma Jeff Halper, analista israeliano, attivista e autore di War Against The People, un libro del 2015 sullo stato di sicurezza israeliano. Per decenni, ha osservato Halper in uno scambio di e-mail con GlobalVoices, Israele ha perseguito una “strategia della periferia” per circondare il mondo arabo di alleati politici e militari, che dagli anni ’90 includono Stati post-sovietici come l’Azerbaigian.
“Israele fornisce all’Azerbaigian consigli e armi per l’antiterrorismo, anche contro la sua opposizione interna, mentre l’Azerbaigian fornisce a Israele un laboratorio sul campo di battaglia per tecnologie militari all’avanguardia”, spiega Halper. Anche le forniture energetiche dell’Azerbaigian costituiscono un’attrazione; Baku ha iniziato ad esportare petrolio in Israele nel 1999 e ora costituisce il 37% di tutte le importazioni israeliane.
Secondo Zaur Shiriyev, ricercatore del Caucaso presso l’International Crisis Group, la svolta nelle relazioni israelo-azere è avvenuta nel 2010 e aveva poco a che fare con l’Iran. In questo periodo, ha detto Shiriyev a GlobalVoices, Baku ha riconosciuto l’urgenza di modernizzare le sue forze armate, mentre il deterioramento delle relazioni con la Turchia ha costretto Israele a cercare nuovi partner. “Israele è stato complementare alla Turchia in un altro ruolo: fare pressioni su Washington per gli interessi azeri”, ha aggiunto Shiriyev.
L’Armenia non poteva competere con quell’offerta.
Tuttavia, il popolo armeno e israeliano condividono qualcosa di non meno tangibile: il trauma delle più grandi atrocità del ventesimo secolo. Entrambi sono gli Stati-nazione dei sopravvissuti al genocidio. Sono anche entrambi gli Stati che, nei decenni più recenti, hanno trionfato sui loro vicini in violenti conflitti, acuiti dal timore che la storia potesse ripetersi.
Per gli armeni, ciò rende il rifiuto di Israele di riconoscere il genocidio armeno del 1915 particolarmente imperdonabile, portando le relazioni in un vicolo cieco. Ciò potrebbe benissimo alimentare gli atteggiamenti negativi nei confronti degli ebrei in Armenia, come registrato dal Pew Research Center in un sondaggio d’opinione del 2019. Alcuni nella piccola comunità ebraica del paese si sono sentiti molto combattuti per il sostegno di Israele all’Azerbaigian; come ha chiesto un intervistato ebreo armeno in un’intervista al quotidiano israeliano Ha’aretz, “l’Armenia è Davide. Perché Israele sta armando Golia?”
Una questione etica
I funzionari israeliani hanno proposto in diverse occasioni l’idea di riconoscere il genocidio armeno. Tuttavia, questi hanno in gran parte coinciso con i cambiamenti nelle relazioni con la Turchia, dove gli omicidi di massa sono definiti come “deportazioni”. Alcuni israeliani credono che il loro paese abbia un imperativo etico per il riconoscimento e che il rifiuto di farlo suggerisca una priorità della geopolitica rispetto alla giustizia.
Molte delle voci più autorevoli della società israeliana che si oppongono alla vendita di armi all’Azerbaigian sono due eminenti studiosi dei genocidi, Israel Charny e Yair Auron, che hanno chiesto a Israele di riconoscere il genocidio armeno. Nel 2014 Auron, autore di due libri su Israele e il genocidio armeno, ha suggerito in un editoriale per Ha’aretz che la vendita di armi all’Azerbaigian potrebbe rendere Israele complice della pulizia etnica nel Caucaso. Nel 2016, Charny ha approfondito ulteriormente l’argomento, chiedendo al Times of Israel se Israele avrebbe venduto armi ad Adolf Hitler.
Gli attivisti contro il commercio di armi da parte di Israele hanno anche lanciato sfide legali mentre infuriava la guerra in Nagorno-Karabakh. Tuttavia, il 12 ottobre l’Alta Corte di giustizia israeliana ha respinto una petizione dell’attivista Elie Joseph per il divieto di vendite di armi all’Azerbaigian, rifiutando di tenere un’udienza in quanto non c’erano prove sufficienti che tali armi sarebbero state utilizzate in crimini di guerra contro gli armeni. L’avvocato israeliano per i diritti umani Eitay Mack ha tentato di integrare il caso legale con uno morale, sostenendo nella rivista +972 che le esportazioni di armi hanno incoraggiato le autorità azere a portare a termine le sue minacce bellicose nei confronti dell’Armenia.
Questa sfida legale è una delle tante lanciate da Elie Joseph, un attivista israeliano per i diritti umani nato in Gran Bretagna, che quest’anno ha portato avanti uno sciopero della fame contro le esportazioni di armi israeliane a chi abusa dei diritti umani.
“La gente all’estero sa di più su queste vendite di armi che la gente in Israele. Come ebrei ed esseri umani, dobbiamo smetterla di essere coinvolti in questo tipo di cose, per fermare il silenzio. C’è una connessione molto forte tra questo commercio e il mancato riconoscimento del genocidio armeno. Ieri eravamo noi, domani potremmo essere di nuovo noi, e oggi è qualcun altro.”
In una telefonata con Global Voices, Joseph ha dichiarato di voler lanciare un terzo appello contro la vendita di armi israeliane in Azerbaigian e di essere disposto a portare avanti un altro sciopero della fame. Un giorno spera che lo Knesset, il parlamento israeliano, approvi una legge che vieti la vendita di armi a chi abusa dei diritti umani.
“Abbiamo deciso di risvegliare la nazione, che si tratti di vendita di armi in Azerbaigian, Myanmar, Sud Sudan o Vietnam”, ha dichiarato Joseph, sottolineando che la sua era una posizione pro-israeliana e patriottica.
Tuttavia Halper rimane dubbioso che tali esportazioni verranno fermate, almeno nel prossimo futuro. Il commercio è troppo redditizio e l’Azerbaigian troppo strategicamente importante per Israele. Inoltre, ha detto a GlobalVoices, attivisti come Mack e Joseph potrebbero affrontare una dura battaglia quando si tratta di aumentare il sostegno pubblico:
“Niente che riguardi le armi o lo schieramento israeliano è un problema in Israele, né nei Territori Palestinesi Occupati, né quando viene impiegato tra i palestinesi in Israele e né nell’uso internazionale. Non è un problema. Oppure, gli israeliani provano un grande orgoglio per le loro abilità militari e di sicurezza”.
In ogni caso la vittoria dell’Azerbaigian, supportata dalle armi israeliane, è una vittoria significativa anche per Ankara, che ha rafforzato il suo ruolo nel Caucaso meridionale. Per gli armeni, questo è un disastro. Per gli israeliani è un dilemma, soprattutto se lo stile politico bellicoso di Erdoğan vivrà ben oltre il suo mandato.
In una certa misura, Aliyev sarà in debito con la Turchia. Cosa significa questo per i legami di Israele con l’Azerbaigian?
Secondo Shiriyev, Baku ha molti anni di esperienza nel bilanciare i legami con Ankara e Tel Aviv, anche quando le tensioni sono al massimo. “Nel Caucaso meridionale, direi che il potere della Turchia sta crescendo e svolge un ruolo di bilanciamento tra l’Azerbaigian e altre potenze, in particolare la Russia. Non credo che Israele abbia questo stesso ruolo”.